artemisia gentileschi
15 Gennaio 2019   •   Redazione

Artemisia Gentileschi: la passione per la pittura e il diritto di splendere

«La storia di Artemisia Gentileschi è una storia di rivalsa, una storia di lotta. Donna in un mondo di uomini, pittrice nell’Italia del ‘600, epoca di cui ricordiamo volentieri il Caravaggio o Annibale Carracci, seppe affermare con coraggio e determinazione la sua arte, a dispetto di molte difficoltà, sprigionando sapientemente quell’energia femminile, che è madre e creatrice, direttamente sulla tela.»

Sempre la solita questione: le donne, nell’arte e nella storia, vengono spesso dimenticate. Il punto di vista di tipo maschile e maschilista, pur inteso nell’accezione più neutrale possibile, fa da filtro principale, consegnando irrimediabilmente gli eventi ad essere custoditi e catalogati secondo il costume degli uomini. Ed è così che, sfogliando i libri di storia dell’arte, troviamo fiumi di inchiostro e colori su Leonardo Da Vinci e il suo genio, sulla ricerca di Michelangelo o la sregolatezza di Caravaggio. Donne artiste? Non pervenute. Eppure, è grazie al coraggio di alcune di queste, umili dissidenti in un mondo dell’arte padroneggiato da uomini, che oggi possiamo rivedere la storia attraverso un altro punto di vista. Oggi parliamo di Artemisia Gentileschi, pittrice donna fra gli uomini, fiore tra le spine.

artemisia gentileschi

Tra Caravaggio e la bottega di papà

Artemisia Gentileschi nacque nel luglio del 1593 da Prudenzia di Ottaviano Montoni e da Orazio Gentileschi, pittore di origine pisana trasferitosi a Roma richiamato dal fermento artistico e culturale vissuto dalla capitale in seguito alla Riforma Cattolica succeduta al Concilio di Trento (1545-1563). L’Urbe stava vivendo un profondo processo di rinnovamento dal suo ormai antiquato carattere medievale: le chiese andavano ristrutturate, la città aveva bisogno di un nuovo volto che potesse dimostrare con fermezza la forza della nuova Chiesa Cattolica, e per questo crescevano committenze e compensi per gli artisti. Orazio, che partiva da uno stile tardo-manieristico, incontra a Roma l’innovazione e l’originalità di Caravaggio la cui opera influenzerà inevitabilmente anche lo stile della più dotata nell’arte della pittura fra i suoi sei figli, Artemisia per l’appunto.

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Devono essere state quelle giornate passate nella bottega del padre a far scoppiare nella piccola Artemisia la scintilla che avrebbe innescato l’amore per il dipingere. Fra un pennello e l’altro, l’odore del legno e della tela, dei colori ad olio, riesce ad esorcizzare il dolore provato per la prematura scomparsa della madre, che viene a mancare quando la piccola artista ha solo dodici anni. È talentuosa. Il padre se ne accorge subito, tanto che in una lettera inviata alla Granduchessa di Toscana nel 1603 scrive: “Questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”.

Artemisia Gentileschi impara in fretta, la pittura è il suo mezzo di espressione privilegiato, anche se praticare quest’arte per le donne del XVII secolo è difficile, se non impossibile. Tanto che Artemisia si sente come soffocare dalla pressione che su di lei impongono suo padre, Orazio ed un paesaggista molto affermato a quel tempo, tale Agostino Tassi, affiancatole dal padre stesso per uno studio più accorto della prospettiva. Un suo dipinto, Susanna e i Vecchioni (1610 c.ca) sembra proprio riproporre lo stato d’animo della ragazza: sulla tela, Susanna, giovane eroina biblica, è sorpresa a fare il bagno nel cortile di casa da due anziani signori che la ricattano sessualmente. Se non sazierà i loro appetiti la accuseranno di adulterio davanti a suo marito. Le sacre scritture ci raccontano del processo alla ragazza che viene salvata da Daniele perché riconosciuta innocente. Novella Susanna, Artemisia si sente stretta dai due Vecchioni: suo padre ed il Tassi.

Agostino Tassi, il mostro

Agostino Tassi, ovvero il mostro che cambierà per sempre la vita di Artemisia Gentileschi. Già noto per il suo temperamento violento e indecoroso, nel 1611 è protagonista di un’azione di stupro ai danni della giovane pittrice, rea di aver resistito più volte alle sue avance. Ma lo spirito combattivo di Artemisia Gentileschi riesce a portare l’affermato paesaggista, che non aveva potuto porre rimedio alla situazione con un matrimonio riparatore in quanto già sposato, in tribunale. Verrà sottoposta essa stessa ad umilianti visite ginecologiche nonché alla tortura tramite stritolamento dei pollici delle mani tramite delle cordicelle. I pollici, certamente essenziali per una pittrice. Il resto lo raccontano i fatti di cronaca: Agostino venne condannato nel 1612 all’esilio da Roma. Pena che non scontò mai.

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Artemisia e Firenze

Artemisia Gentileschi invece fu costretta a fuggire dalla capitale, la sua dignità di donna era stata inevitabilmente compromessa da tutta questa vicenda. Così il padre decise di darla in sposa ad un certo Pierantonio Stiattesi, anch’egli pittore, ma decisamente meno brillante di Artemisia. Finalmente a Firenze, la coraggiosa e brillante pittrice trova la sua pace: è la prima donna ad entrare nella prestigiosa Accademia di Disegno del capoluogo toscano, dove rimane dal 1616 al 1620. La sua personalità è ricca e variegata, semplicemente luccicante come i colori ad olio che riempiono i suoi quadri, le sue eroine bibliche, attraverso le cui storie, Artemisia racconta se stessa: nella grinta che traspare dagli occhi di Giuditta che decapita Oloferne (1614-1620) o nella seduzione velata della Conversione della Maddalena (1615-1616) ritroviamo il coraggio di un’artista, prima che di una donna, che non ha paura di osare per affermarsi agli occhi del pubblico, al pari dei suoi colleghi uomini.

Una donna libera

Di lì a poco la carriera di Artemisia Gentileschi decolla anche grazie alla sua capacità di intessere relazioni e sodalizi importanti con artisti ed intellettuali dell’epoca, oltre a grandi mecenati. Artemisia intervalla il suo essere moglie, mamma e pittrice ai viaggi: Venezia, Napoli, Londra. È una donna libera in un tempo di poche concessioni per il gentil sesso. E forse per questo, per lunghi anni dopo la sua morte è stata condannata alla damnatio memoriae. La sua figura è ritornata in auge solo nel 1916 grazie ad un articolo di Roberto Longhi, storico dell’arte, denominato Gentileschi padre e figlia, in cui ne esalta la veemenza e la forza delle rappresentazioni pittoriche. Di lì seguiranno libri, studi vari, spettacoli teatrali e persino una Graphic Novel edita da Coconino Press (Fandango) nel 2017.

Oggi è importante rivalutare e parlare di ciò che Artemisia Gentileschi può rappresentare non solo per le donne, ma anche per tutte quelle categorie sociali che continuano a ricoprire posizioni di svantaggio sotto la maschera di pari dignità e diritti per tutti. Se è vero che i diritti sono una conquista quotidiana, da portare avanti giorno per giorno, Artemisia non può che essere il vessillo perfetto di questa lotta alle pari opportunità. Al diritto di esprimersi. Al diritto di splendere.

Lavinia Micheli