Angelo Jacopucci
03 Gennaio 2018   •   Snap Italy

Angelo Jacopucci: l’angelo biondo del pugilato italiano

Conoscete la storia di Angelo Jacopucci? Una delle figure più drammatiche e importanti del pugilato italiano, che merita di essere conosciuta e ricordata sempre.

Ci sono storie che anche a distanza di anni meritano di essere di nuovo raccontate. Questa è una di quelle. È la storia di Angelo Jacopucci, meglio conosciuto come “l’angelo biondo” del pugilato italiano. Lo aveva chiamato così la stampa italiana, la stessa che dopo la sua morte lo consacrò come simbolo di uno sport e protagonista, suo malgrado, di una morte atroce, che avrebbe dovuto insegnare molto al mondo della boxe, cambiando il modo di combattere per evitare che tragedie come questa potessero accadere di nuovo. Era il 19 luglio 1978 quando Angelo Jacopucci affrontò l’inarrestabile Alan Minter, una sfida forte, cruda, che piaceva al pubblico, in cerca di qualcosa di sensazionale, ma che costò la vita a questo giovane ragazzo, morto all’età di soli 29 anni. Aveva una vita davanti Angelo, e invece è stato ucciso dalla sua più grande passione, dalla voglia di dimostrare che anche lui sapeva combattere.

Angelo Jacopucci

Nato a Tarquinia, ha esordito tra i professionisti l’8 luglio 1973 proprio sul ring della sua città natale, sconfiggendo il britannico Lawrence Ekpeli. Il 16 agosto 1975, dopo aver collezionato 19 vittorie, conquistò il titolo italiano dei pesi medi battendo il padovano Luciano Sarti, sempre a Tarquinia. Difese il titolo il 30 gennaio 1976, a Milano, battendo Renato Benacquista, ai punti in quindici riprese.

Il 4 giugno 1976, sempre a Milano, conquistò la cintura europea dei pesi medi battendo il britannico di origine giamaicana Bunny Sterling, ai punti in 15 round. Il titolo gli fu strappato il 10 ottobre 1976, dal pugile milanese Germano Valsecchi, ai punti in quindici riprese.

Riconquistò il titolo italiano dei medi, al quale aveva rinunciato per difendere quello europeo, il 13 agosto 1977, a Civitavecchia, contro Mario Romersi, per ko tecnico alla nona ripresa. Il 19 novembre dello stesso anno, a Torino, subì una dura sconfitta contro il non irresistibile britannico Frank Lucas, per knock-out alla seconda ripresa. Difese poi vittoriosamente il titolo italiano nel maggio 1978, a Lido di Camaiore, contro Trento Faciocchi, per ko alla dodicesima ripresa. Questa vittoria lo convinse ad accettare la chance di combattere ancora per il titolo europeo, lasciato vacante dal francese Gratien Tonna, contro il temibile inglese Alan Minter.

Angelo Jacopucci

Angelo Jacopucci aveva le mani da pianista, sottili, non adatte per fare a pungi ma la sua forza era la velocità nel colpire. Poi a proteggere le mani c’erano i guantoni. Aveva imparato a difendersi da piccolo, quando a Tarquinia un bulletto aveva deciso di sfogare su di lui le sue frustrazioni. Quando il padre se ne accorse, non prese le difese del figlio, ma lo incitò a non avere paura, a reagire. Così Angelo ritrovò la sua dignità, l’orgoglio e, a testa alta, come sempre, smise di incassare il colpo in silenzio. Da lì, dal sentirsi forte e capace di reagire, iniziò la passione per la boxe.

Il suo idolo era Muhammad Ali, un pugile statunitense tra i più apprezzati della storia, figura carismatica, controversa e polarizzante, sia dentro che fuori dal ring. E Angelo amava farsi chiamare il “Clay dei poveri”, proprio in suo onore. Iniziò ad allenarsi e fece della velocità la sua caratteristica, rimanendo il ragazzo buono e pacifico di sempre. Non era un ragazzaccio, inutile trasformarlo in tale. E di questo Angelo Jacopucci fece anche la sua caratteristica sul ring: colpiva e scappava, senza accanirsi troppo sull’avversario. La sua carriera era accompagnata dall’amore, quello per Giovanna e per il figlio Andrea che rappresentarono le vittorie più importanti della sua vita.

Per un ragazzo come lui, le emozioni contavano, la boxe era una sport, una passione, ma non un modo di essere, non un mezzo per giustificare sangue e ferite. Ma a quei tempi quello sport pretendeva altro. Chiedeva ai suoi atleti il massacro: più si menava, più si era forti, più la stampa era generosa. Con Angelo non funzionava così, gli dicevano sempre di essere più aggressivo. Ma lui teneva alla sua persona e non gli piaceva fare del male.

Angelo Jacopucci

Tutto questo venne fuori in quel match che doveva essere l’ultimo. Angelo Jacopucci aveva deciso di chiudere con il mondo della boxe, che lo voleva diverso da quello che era. Alan Minter, il suo avversario, era già campione europeo e vantava vittime illustri del calibro di Kevin Finnegan, Germano Valsecchi. I suoi colpi erano temibili.

Sul ring di Bellaria iniziò e finì sia quel tragico match, sia la sua vita. Alla 12ª ripresa, infatti, l’angelo biondo abbassò improvvisamente la guardia, consentendo a Minter di colpirlo ripetutamente e duramente al volto (qui il video integrale dell’incontro). Jacopucci era alla mercé dell’avversario, la testa, rimbalzando all’indietro, era sottoposta a traumi evidenti, i muscoli del collo erano rilassati e non offrivano più la seppur minima resistenza. A quel punto ci sarebbero stati tutti i presupposti per una immediata interruzione del match. Ma né l’arbitro, né i secondi, né il medico a bordo ring lo ritennero opportuno. Finì al tappeto e fu sconfitto per ko.

Jacopucci, tuttavia si rialzò, rassicurando tutti sulle sue condizioni. Ma il match non finì lì per Angelo. Il suo ottimismo lo portò a festeggiare il neo campione d’Europa a cena con i suoi avversari, che si sa, una volta scesi dal ring, diventano amici. E proprio durante quella cena avvertì forti attacchi di vomito. Una volta tornato in albergo cadde improvvisamente in coma. Angelo Jacopucci fu dichiarato morto per emorragia cerebrale nella mattina del 22 luglio 1978 all’età di 29 anni. L’edema cerebrale contratto nello scontro aveva avuto conseguenze letali. Era morto con la testa alta, per dimostrare di avere fegato, di non tirarsi indietro.

Angelo Jacopucci

Una vittima, un martire, un uomo dal grande valore sportivo, che ha dato la vita per essere d’esempio. Questo è stato Angelo Jacopucci. La sua morte rappresentò la fine di un’epoca per il pugilato. Da allora furono apportate modifiche sostanziali al regolamento: le riprese di un titolo europeo furono ridotte a 12, dalle 15 originarie; fu richiesta obbligatoriamente la TAC cranica di ciascun pugile, nell’ambito delle visite mediche rituali; non furono più ammessi incontri in zone distanti più di un’ora da un centro neurologico.

La perizia medico-legale accertò che Jacopucci poteva essere salvato. Si aprì un fascicolo giudiziario: l’allenatore Rocco Agostino, l’arbitro Raymond Baldeyrou e il medico Ezio Pimpinelli furono accusati di omicidio colposo. Ma la corte d’appello di Bologna li scagionò. Nessun colpevole. Una storia che insegna come lo sport debba sempre e solo essere vita, non morte. Il lascito di Angelo Jacopucci è una lezione non indifferente da cui qualsiasi atleta, pugile e non, dovrebbe imparare.

Chiara Rocca