tiny house in italia
17 Ottobre 2019   •   Carolina Attanasio

Benvenuti su aVoid, la più piccola tiny house in Italia su ruote

«La più piccola tiny house in Italia ha già risposto a tanti interrogativi fondamentali, tipo: posso vivere in 9 metri quadri? Mi serve davvero quell’armadio a 6 ante? Riesco a vivere in centro città e al mare senza aprirmi un mutuo centennale? Queste e altre risposte nell’intervista di seguito, che farete bene a leggere»

Nomadi moderni, fatevi avanti, la soluzione di design a tutti i vostri spostamenti si chiama aVoid ed è la prima tiny house in Italia su ruote. L’ha ideata Leonardo di Chiara, un giovane architetto di Pesaro, che attualmente ci vive dentro, gironzolando qua e là in Europa. Leonardo, che più della grande creatività ha solo la chiacchiera entusiasta, mi ha spiegato tutti i perché di aVoid, 9 mq quadri modulabili come neanche Nostra Signora IKEA è mai riuscita a fare. Tutti gli arredi sono a scomparsa, dandoti l’idea di tante microscopiche case in una, a seconda di cosa tiri fuori. Fate appello a tutto il vostro desiderio di vivere zen e leggete cosa mi ha detto Leonardo, magari direte addio ai vostri coinquilini per lanciarvi anche voi all’avventura.

tiny house in italia
Si sa che gli architetti pensano in grande, quanto è stato impegnativo pensare così piccolo?
Per me non è stato così impegnativo perché sono diventato architetto in uno spazio piccolo. Ho abitato in una piccola camera da quando avevo 8 anni, avendo un’allergia alla polvere avevo bisogno di uno spazio piccolo che si potesse facilmente mantenere pulito e in ordine, era una camera di 7 mq. Credo che alla fine il mio concentrarmi sui piccoli spazi derivi proprio da questo. Un’altra influenza è stata determinata da mio padre, che ha una barca a vela, difatti mi sono molto ispirato anche al mondo nautico.
Nella pratica, spostarsi con una tiny house in Italia e all’estero è come avere un camper o una roulotte? Puoi fermarti ovunque? 
Praticamente è come una roulotte, la differenza col camper è che la casa non è integrata nel mezzo che la trasporta. L’esigenza principale è proprio il mezzo, che deve poter trasportare una massa corrispondente a quella del rimorchio, nel mio caso 3.500 chili. Mi posso fermare ovunque se l’automobile rimane attaccata al mezzo, nel momento in cui la stacco nascono dei problemi, poiché i rimorchi non possono sostare nelle aree urbane; ci sono delle zone di sosta prestabilite, in cui possono stare senza essere attaccati all’automobile, e sono davvero poche. Questa regola non si applica ai terreni che non sono stradali, quindi aree private o comunali, dove serve comunque un permesso. La sosta lunga è complessa, perché la normativa sulle case mobili è relativa quasi esclusivamente alle casette mobili del mondo del turismo, che possono sostare per tempo indefinito nelle aree prestabilite, dedicate però all’uso turistico e non abitativo. Se si volesse usare una tiny house su ruote per uso abitativo, e viverci nel proprio terreno privato, anche agricolo, la normativa a riguardo non è chiara. In genere puoi avere una casa mobile parcheggiata, ma deve essere per uso temporaneo e non permanente. Quanto sia lunga la temporaneità non è stato specificato, se non da alcune sentenze che definiscono “temporanea” una situazione che non si ripete in modo ciclico, per esempio non sostare tutte le estati nello stesso posto. Anche un periodo inferiore ai 90 giorni è considerato temporaneo, ma non c’è una regola precisa. Nel mio caso, la tiny house è completamente staccata da tutto, perché autonoma, è su ruote e ogni volta che mi fermo più di 90 giorni chiedo un permesso, così posso dimostrare che la mia permanenza è temporanea.
tiny house in italia
A parte l’ideatore, quanto c’è di italiano nella tiny house?
Beh, a parte l’ideatore, nella tiny house sono presenti certamente la sensibilità italiana e l’utilizzo che gli italiani fanno della casa. Ho dato importanza ad alcuni spazi, come la cucina, o ad alcuni colori (bianca come le caratteristiche case bianche italiane), la forma a capanna. Tantissimi materiali e prototipi interni sono italiani, perché l’ho costruita a Pesaro in occasione dell’Esposizione di Berlino, organizzata dall’associazione di cui faccio parte, la Tiny House University, che proprio in quel periodo stava organizzando questa mostra – un villaggio vero e proprio – all’interno del museo del Bauhaus. Sono tornato in Italia e ho messo insieme un gruppo di aziende italiane e tedesche, che hanno lavorato in modo complementare. Idee e manodopera italiane, tecnologia tedesca, ho voluto mettere insieme le competenze migliori dei due Paesi.
tiny house in italia
aVoid ha molti elementi in comune con Diogene, la tiny house di Renzo Piano esposta dal 2013 al Vitra Campus in Germania. La differenza è che, a differenza di Piano, tu la casa la usi davvero. Qual è il più grande limite e quale la più grande opportunità di vivere in uno spazio così?
Diogene so che non è più al Vitra Campus, è stata una collaborazione proprio tra Piano e il Campus. Il progetto, anche filosoficamente, è molto interessante. Non so se lui ha mai provato ad abitarci, mi piacerebbe molto – se lui non ha voglia di fare la cavia per Diogene – di farla io al suo posto. Penso che non sia mai andato in produzione, nonostante sia un prototipo forse anche più completo del mio, perché ancora oggi c’è molta incertezza sulla sua applicazione nella vita reale, anche per la questione della regolamentazione. Il fatto poi che Diogene non abbia le ruote, rende ancora più complesso dimostrare che non è una struttura temporanea. Io in qualsiasi momento posso spostarmi. Non ci sono grandi limiti alla quotidianità nella tiny house, nel mio caso ho scelto di rendere tutto l’arredo richiudibile, in modo che lo spazio sia modulabile e ci sia posto per muoversi, fare anche delle attività,  non i salti mortali magari. Certo, non puoi ospitare 50 persone. Forse il limite è che devi sempre trovare dove parcheggiare e spostarti periodicamente. Se vuoi fissarti in un posto devi chiedere molti permessi, così come per una casa tradizionale. L’opportunità è che, avendo pochissimi oggetti, sei molto più libero, se oggi sono a Pesaro e domani devo trasferirmi a Milano, posso farlo senza cambiare il posto dove abito.
Nel nostro Paese, specie nelle grandi città, il trentenne medio divide casa con dei coinquilini e sogna un divano tutto per sé. A chi si rivolge la tiny house in Italia?
Secondo me il sogno erotico del trentenne non è solo il divano, ma proprio tutta la casa per sé. Dopo una certa età avere un posto proprio dove poter vivere e ospitare chi vuoi, senza avere troppi contatti quando torni a casa da lavoro, è importante. Sarebbe bene che si progettassero delle case, se sono piccole, dove il letto può diventare il divano stesso. Nella tiny house non servono entrambi, quello cerco di spiegare a molte persone. La tiny house si rivolge sopratutto a chi si sposta, a chi è un po’ nomade, diversamente non ha senso una casa su ruote. Non deve essere per forza un nomadismo di lunghe distanze ma, come nel mio caso, anche dalla campagna alla città, a seconda delle stagioni. Sei nomade, ma nello stesso posto. Lo sviluppo vero di questo progetto è la sperimentazione per la società, capire come la modulazione dello spazio interno può essere utile a creare dei microappartamenti, per esempio in edifici tradizionali, di riuso, come vecchi hotel o scuole, con tanti appartamenti microscopici che siano dotati in modo indipendente di cucina e bagno, ma con dei grandi spazi in comune come nei co-living. La differenza è che, se hai uno spazio molto piccolo dove vivere, sei più portato a usare lo spazio comune e a stare insieme agli altri.  Questo progetto lo sto sviluppando proprio ora a Pesaro, mi piacerebbe utilizzare un vecchio hotel e modularlo in questo modo, per trasformarlo in un luogo di socialità.
Carolina Attanasio