Valentino Grassi
17 Novembre 2017   •   Carolina Attanasio

Valentino Grassi, quando il surrealismo incontra i Social

«Abbiamo fatto due chiacchiere con Valentino Grassi, giovane fotografo autodidatta, che ha trovato nel surrealismo il miglior modo d’espressione e nei social un seguito sempre crescente»

Questa vita è una giungla, e i social network sono la fotografia lampante di quanto sia possibile perderci tra milioni di informazioni e immagini: Valentino Grassi (sito ufficiale) queste cose le sa bene, ma poco gli interessa, perché la fotografia – per lui – è prima di tutto l’espressione di se stesso, per se stesso. Riavvolgiamo il nastro: Valentino, classe 1985, scopre nella fotografia il suo mezzo di espressione reale, ma già dopo poco questo non basta più. Sogni, immaginazione fervida e tanti stimoli lo portano ad approcciare il surrealismo, ispirato da Magritte.

L’oniricità delle sue immagini non passa inosservata nell’infinito scrollare di Instagram, così Valentino Grassi si ritaglia uno spazio tutto suo, con follower di qualità, e il suo lavoro viene notato anche dalle radio e dal profilo ufficiale di Adobe su Facebook. Da qui, inizia a partecipare a mostre ed esposizioni, che lo portano un po’ in giro per l’Italia.

Valentino è uno di quelli che è riuscito a ritagliarsi la sua nicchia nel mare magnum dei social network, non perché ha cercato a tutti i costi l’approvazione del pubblico integerrimo, ma perché ha saputo crearsi uno stile e l’ha fatto pure da autodidatta.

Personalmente ho sempre ammirato molto  – e un po’ invidiato –  quelli la cui forza di volontà riesce a portare grandi risultati partendo da zero, e senza il supporto di un mentore o qualche facile aiuto. Ancor di più, è bello vedere la passione di qualcuno riscuotere successo non sull’onda dell’approvazione social a tutti i costi, ma solo e soltanto per la bontà del lavoro svolto.

Lo raggiungo telefonicamente e la sua bella voce squillante, che mi ricorda quella di un altro Valentino – quello che va in moto col numero 46 –  mi spiega un po’ quant’è bello quando la determinazione ti porta a trovare il giusto canale nelle tue passioni.

  1. Cosa ha avvicinato Valentino Grassi alla fotografia e, in particolare, al surrealismo?
    Sentivo il bisogno di far sgorgare tutti i miei pensieri, sia belli che brutti, in qualcosa di costruttivo. Non sono mai stato bravo a disegnare e allora mi sono buttato sulla fotografia: il surrealismo è arrivato poco dopo,  la fotografia classica non mi soddisfaceva al cento per cento, volevo creare qualcosa che stupisse e emozionasse chi guardava.
  1. Sei completamente autodidatta, quanta pazienza ci vuole per padroneggiare le tecniche che utilizzi?
    Diciamo che la tecnica non è fondamentale nel surrealismo, ma serve comunque per creare qualcosa di irreale ma credibile. Però applicando i consigli di chi ne sa più di te, non è difficile arrivare a certi risultati. È necessario provare e riprovare, pian piano ci si avvicina sempre di più a quello che si ha in mente.
  1. In percentuale, quanto del tuo lavoro è merito della costanza e quanto della creatività?
    Direi un 30% costanza 70% creatività. Devi avere in testa qualcosa in più degli altri per arrivare a certe situazioni e conclusioni.
  1. Perché proprio il surrealismo?
    Perché l’idea di dare corpo e forma a qualcosa di irreale/surreale è una cosa che mi stimola. Pensare di poter far nascere un’idea assurda e trasformarla in qualcosa di tangibile è la cosa più bella che c’è nell’arte.
  1. Che ruolo ha avuto Instagram nello sviluppo del tuo lavoro? Hai ricevuto proposte oltre che complimenti?
    Non importantissimo. Certo, mi aiuta sempre a capire se qualcosa piace o meno, ma fondamentalmente il mondo social è sempre stato un orrendo dare/avere, se tu sei carino con me io lo sono con te eccetera, quindi diciamo che non sempre ti dà la vera dimensione di quello che stai facendo. Però è un piacevole passatempo. “Purtroppo” ricevo moltissimi complimenti, ma poche proposte concrete. Io vado comunque avanti,  poi se succede qualcosa sarà un plus  che non guasta mai.
  1. Dove hai esposto finora?
    Ho esposto alla gallerie d’arte Wikiarte di Bologna, alla galleria Arte Borgo di Roma e all’Ambasciata Araba, sempre a Roma.
  1. Prima mi hai detto che bisogna rompere per ricostruire, cosa rompi di te stesso ogni volta che ricostruisci un’immagine fotografica?
    Rompo il lucchetto che blocca la mia immaginazione e cerco di far entrare nella quotidianità un po’ di magia.

Carolina Attanasio