Valentino Grassi, quando il surrealismo incontra i Social
«Abbiamo fatto due chiacchiere con Valentino Grassi, giovane fotografo autodidatta, che ha trovato nel surrealismo il miglior modo d’espressione e nei social un seguito sempre crescente»
Questa vita è una giungla, e i social network sono la fotografia lampante di quanto sia possibile perderci tra milioni di informazioni e immagini: Valentino Grassi (sito ufficiale) queste cose le sa bene, ma poco gli interessa, perché la fotografia – per lui – è prima di tutto l’espressione di se stesso, per se stesso. Riavvolgiamo il nastro: Valentino, classe 1985, scopre nella fotografia il suo mezzo di espressione reale, ma già dopo poco questo non basta più. Sogni, immaginazione fervida e tanti stimoli lo portano ad approcciare il surrealismo, ispirato da Magritte.
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L’oniricità delle sue immagini non passa inosservata nell’infinito scrollare di Instagram, così Valentino Grassi si ritaglia uno spazio tutto suo, con follower di qualità, e il suo lavoro viene notato anche dalle radio e dal profilo ufficiale di Adobe su Facebook. Da qui, inizia a partecipare a mostre ed esposizioni, che lo portano un po’ in giro per l’Italia.
Valentino è uno di quelli che è riuscito a ritagliarsi la sua nicchia nel mare magnum dei social network, non perché ha cercato a tutti i costi l’approvazione del pubblico integerrimo, ma perché ha saputo crearsi uno stile e l’ha fatto pure da autodidatta.
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Personalmente ho sempre ammirato molto – e un po’ invidiato – quelli la cui forza di volontà riesce a portare grandi risultati partendo da zero, e senza il supporto di un mentore o qualche facile aiuto. Ancor di più, è bello vedere la passione di qualcuno riscuotere successo non sull’onda dell’approvazione social a tutti i costi, ma solo e soltanto per la bontà del lavoro svolto.
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Lo raggiungo telefonicamente e la sua bella voce squillante, che mi ricorda quella di un altro Valentino – quello che va in moto col numero 46 – mi spiega un po’ quant’è bello quando la determinazione ti porta a trovare il giusto canale nelle tue passioni.
- Cosa ha avvicinato Valentino Grassi alla fotografia e, in particolare, al surrealismo?
Sentivo il bisogno di far sgorgare tutti i miei pensieri, sia belli che brutti, in qualcosa di costruttivo. Non sono mai stato bravo a disegnare e allora mi sono buttato sulla fotografia: il surrealismo è arrivato poco dopo, la fotografia classica non mi soddisfaceva al cento per cento, volevo creare qualcosa che stupisse e emozionasse chi guardava.
- Sei completamente autodidatta, quanta pazienza ci vuole per padroneggiare le tecniche che utilizzi?
Diciamo che la tecnica non è fondamentale nel surrealismo, ma serve comunque per creare qualcosa di irreale ma credibile. Però applicando i consigli di chi ne sa più di te, non è difficile arrivare a certi risultati. È necessario provare e riprovare, pian piano ci si avvicina sempre di più a quello che si ha in mente.
- In percentuale, quanto del tuo lavoro è merito della costanza e quanto della creatività?
Direi un 30% costanza 70% creatività. Devi avere in testa qualcosa in più degli altri per arrivare a certe situazioni e conclusioni.
- Perché proprio il surrealismo?
Perché l’idea di dare corpo e forma a qualcosa di irreale/surreale è una cosa che mi stimola. Pensare di poter far nascere un’idea assurda e trasformarla in qualcosa di tangibile è la cosa più bella che c’è nell’arte.
- Che ruolo ha avuto Instagram nello sviluppo del tuo lavoro? Hai ricevuto proposte oltre che complimenti?
Non importantissimo. Certo, mi aiuta sempre a capire se qualcosa piace o meno, ma fondamentalmente il mondo social è sempre stato un orrendo dare/avere, se tu sei carino con me io lo sono con te eccetera, quindi diciamo che non sempre ti dà la vera dimensione di quello che stai facendo. Però è un piacevole passatempo. “Purtroppo” ricevo moltissimi complimenti, ma poche proposte concrete. Io vado comunque avanti, poi se succede qualcosa sarà un plus che non guasta mai.
- Dove hai esposto finora?
Ho esposto alla gallerie d’arte Wikiarte di Bologna, alla galleria Arte Borgo di Roma e all’Ambasciata Araba, sempre a Roma.
- Prima mi hai detto che bisogna rompere per ricostruire, cosa rompi di te stesso ogni volta che ricostruisci un’immagine fotografica?
Rompo il lucchetto che blocca la mia immaginazione e cerco di far entrare nella quotidianità un po’ di magia.
Carolina Attanasio