statue parlanti
08 Settembre 2018   •   Snap Italy

Statue parlanti: miti e leggende della Capitale

«Le statue parlanti erano considerate l’arma con la quale Roma si è sempre opposta all’arroganza e alla corruzione delle classi dominanti.»

Fin dagli inizi del XVI secolo, a Roma, di notte, venivano appesi sulle statue cartelli satirici in luoghi ben frequentati della città, in modo che, la mattina dopo, chiunque potesse leggerli o farseli leggere (visto che la maggioranza della gente era analfabeta) prima che fossero rimossi dalle guardie. I cartelli a volte contenevano poesie, a volte dialoghi umoristici e nella maggior parte dei casi la satira era indirizzata al papa; ai tempi infatti il papa governava la città, i potenti tremavano nel sentire i nomi di questi eroi di pietra, come se fossero stati paladini in carne e ossa. Pasquino, Marforio, Madama Lucrezia, Abate Luigi e Babuino, sono questi i sei personaggi che parlavano per bocca del popolo. Le sei statue parlanti, anche note con il nome di il Congresso degli Arguti.

Pasquino e le “Pasquinate”

Cominciamo con Pasquino, forse la più celebre tra le statue parlanti di Roma; dal 1501 si trova in un piccolo slargo alle spalle di Piazza Navona. Si tratta di una figura maschile, in cosi cattivo stato di conservazione che rende impossibile capire se si tratti di un gladiatore, una divinità o un eroe. Anche se le ipotesi più accreditate sono che rappresenti il re Menelao che sostiene il corpo di Patroclo morente; precedentemente si era pensato raffigurasse Aiace con il corpo di Achille oppure Ercole in lotta con i Centauri. Trilussa recitava: … “Te n’hanno date de sassate in faccia! Hai perso l’occhi, er naso… e che te resta? Un avanzo de testa. Su un torso senza gambe e senza braccia.” La ristrutturazione, di cui si è occupato il Bramante, è stata eseguita per conto dell’influente cardinale Oliviero Carafa; che insistette per salvare l’opera, da molti ritenuta invece di scarso valore, facendola sistemare nell’angolo in cui ancora si trova e applicandovi lo stemma dei Carafa ed un cartiglio celebrativo. Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Erano le cosiddette “pasquinate”, dalle quali emergeva il malumore popolare nei confronti del potere e l’avversione alla corruzione ed all’arroganza dei suoi rappresentanti. Il suo nome deriva da una leggenda: pare infatti, sia stata rinvenuta presso una bottega di un barbiere o un’osteria il cui proprietario si chiamava appunto Pasquino.

Il barbuto Marforio

Una lunga figura barbuta distesa su un fianco che decora il cortile di Palazzo Nuovo, un’ala dei Musei Capitolini è Marforio; forse rappresenta un allegoria di un fiume o forse è Nettuno il dio dei mari, anche se l’ipotesi più accreditata è quella riportata da alcuni storici, che attribuiscono alla statua la personificazione del fiume Nera, che al Tevere fornisce la maggior parte delle sue acque. Il suo luogo originario era il Foro Romano, è stato spostato nel XVI secolo per mano del papa Sisto V e in quella occasione è stata rinvenuta anche la vasca circolare. Marforio era considerato la spalla di Pasquino, poiché in alcune satire le due statue parlanti dialogavano fra loro, una faceva domande riguardo a problemi sociali e politici e l’altra rispondeva a tono con una battuta; tra le più famose una riferita a Napoleone che durante l’occupazione francese, aveva cominciato a razziare tutte le opere d’arte presenti a Roma: “È vero che i francesi sono tutti ladri? Tutti no, ma Bona Parte”. Il nome Marforio sembra derivare dall’espressione Marte in Foro, essendo stata rinvenuta nel Tempio di Vespasiano che nel Rinascimento veniva creduto essere il Tempio di Marte.

Statue parlanti… in rosa

Tra le statue minori si ricordano: Madama Lucrezia, l’unica rappresentante femminile della Congrega degli Arguti; busto di epoca romana che si trova in un angolo di Palazzetto Venezia, in piazza San Marco adiacente a Piazza Venezia. Questo busto proviene da un tempio dedicato a Iside e rappresenta la stessa divinità o una sua sacerdotessa; Madama Lucrezia era in realtà Lucrezia D’Alagno, una nobildonna amante del re di Napoli Alfonso V di Aragona, il quale era già sposato; per questo motivo lei nel 1457 arriva a Roma per chiedere al papa la concessione del divorzio per il sovrano, purtroppo rifiutata. L’anno seguente il re muore e l’ostilità del figlio la costrinse a trasferirsi definitivamente a Roma, abitando proprio vicino al luogo dove oggi ci sta la statua. Tra le satire più famose a carico suo, se ne ricordano in particolare due: la prima, del 1591, quando papa Gregorio XIV, ormai in fin di vita, si fece trasferire al Palazzetto Venezia, sperando (grazie anche alla presenza di un alto steccato che attutiva i rumori della città) in un miglioramento che invece non ci fu, e Lucrezia sentenziò che La morte entrò attraverso i cancelli. L’altra durante la Repubblica Romana del 1799, quando il popolo romano in rivolta gettò a terra il busto, apparve sulle sue spalle la scritta “Non ne posso veder più”.

“Fui dell’Antica Roma un cittadino,ora Abate Luigi ognun mi chiama”. Proprio questo è l’epitaffio che si legge sulla base che sostiene l’Abate Luigi, una delle statue parlanti più famosa, situata dal 1924 in piazza Vidoni, non lontano da Piazza Navona; questa sistemazione è quella originaria poiché la statua è stata ritrovata nelle fondamenta di Palazzo Vidoni, nell’area del Palazzo di Pompeo. La statua raffigura un uomo, probabilmente un alto magistrato con una toga di epoca tardo-romana. In mancanza di una precisa identificazione, il nomignolo gli è stato assegnato dalla fantasia popolare che, con la solita arguzia, trovava il personaggio particolarmente somigliante al sagrestano della vicina chiesa del Sudario, conosciuto appunto con quel nome. La scultura ha subìto, anche di recente, diversi atti di vandalismo, orientati soprattutto all’asportazione della testa, che è stata più volte sostituita. È in occasione di una “decapitazione” del 1966 che la statua ha parlato l’ultima volta, con una pasquinata indirizzata proprio all’ignoto vandalo.

Babuino “babbione

Concludiamo con la statua del Babuino, si trova a fianco della chiesa di Sant’Atanasio dei Greci; è la raffigurazione di un sileno giacente su una base rocciosa, che prende questo nome perché cosi brutto e deforme da poter essere paragonato a una scimmia. Una tesi interessante, ma non dimostrata, vuole che in realtà il termine “babbuino” non sia altro che una variante fonetica del diffuso termine popolare “babbione”. Questo, a sua volta, deriverebbe dal latino avente significato di vecchio svanito e cialtrone; la posa e l’espressione del Sileno, in effetti, potrebbero indurre un tale giudizio. La statua della fontana era talmente singolare che ha influenzato fortemente la fantasia e l’interesse dei romani. Uno dei primi effetti è stato di determinare il cambiamento dello stesso toponimo della strada, che da via Paolina è cambiato appunto in via del Babuino.

Oggi la maggior parte delle statue parlanti sembra aver perso questa caratteristica, solo Pasquino si mantiene fedele alla tradizione: la sua base è sempre ricoperta da tante graffianti satire in versi sempre rivolte a chi detiene il potere. La differenza è che oggi gli autori dei componimenti non rischiano più di finire in carcere, ma vige ancora l’usanza di lasciarli senza firma.

Argia Renda