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12 Ottobre 2018   •   Redazione

Moka, ovvero come il signor Bialetti ci ha insegnato l’arte del caffè

«Presente in ogni casa, in diverse declinazioni e colori. Tutti ne abbiamo una e di farne a meno non sarebbe in grado nessuno. Vi parliamo della Moka, ovvero come il signor Bialetti ci ha insegnato l’arte del caffè.»

Per noi italiani un vizio irrinunciabile. Lo cerchiamo ovunque andiamo, ci affidiamo a lui nel momento del bisogno. Lo adottiamo come scusa per gli appuntamenti. Insieme a lui ci riscaldiamo, ci tiriamo su il morale, ci svegliamo. Amico e confidente dal profumo inconfondibile. Non può che essere il caffè. Quando ha un cattivo sapore può rovinarci la giornata, quando siamo all’estero diventiamo dei bambini capricciosi. Perché quella del buon caffè espresso è un’arte tutta italiana, che ha origini antiche ma che trova la sua realizzazione più completa con l’invenzione della Moka.

Per essere uno degli oggetti di design italiano che più caratterizzano il nostro Paese all’estero, la Moka ha un’origine piuttosto recente. Era il 1933 infatti quando Alfonso Bialetti ideò quella che diventerà la regina delle caffettiere di tutto il mondo, la Moka Express. Il giovane piemontese, nato a Montebuglio, aveva lavorato per molti anni come operaio fonditore in Francia per poi tornare in terra natìa e fondare la Alfonso Bialetti & C. – Fonderia in Conchiglia nel 1919. Inizialmente concepita per la produzione di semilavorati in alluminio, l’officina diventa presto un atelier per la progettazione e produzione di prodotti finiti pronti per il mercato.

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Storia del caffè

A quel tempo in Italia e nel mondo esistevano già delle macchine per il caffè, e la presenza della scura bevanda ristoratrice affiancava i nostri antenati sin dal XVI secolo. La miracolosa bacca, proveniente dall’antica provincia di Kefa, situata nel sud-ovest dell’Etiopia viene citata in numerosi miti e leggende che ne accrescono fascino e mistero.

Pare che il primo ad accorgersi del magnifico potenziale di questa pianta sia stato un pastore etiope, tale Kaldi, che, nel lontano ’800, notò gli effetti energizzanti che le proprie pecore avevano subito dopo aver pascolato presso un insolito cespuglio dalle bacche rosse. Kaldi stesso, incuriosito decise di masticarle; si sentì talmente energico ed euforico da decidere di portarle ad un monaco lì vicino. Questi non volle provarle e le gettò nel fuoco: il profumo fragrante che ne derivò attirò altri monaci che cacciarono le bacche dalle fiamme, le triturarono e aggiunsero dell’acqua calda.

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La coltivazione della pianta si diffuse presto nella vicina penisola arabica, in particolare nell’attuale Yemen. La sua fortuna crebbe vertiginosamente, in particolare grazie al divieto dell’Islam riguardo il consumo di alcol. E dall’impero ottomano ben presto (le macchine del caffè turche o Ibrik sono molto utilizzate ancora oggi in Turchia) le bacche tostate arrivarono a Venezia, intorno al 1570. Inizialmente solo i ricchi potevano permettersi di bere la preziosa bevanda che aveva costi elevatissimi e veniva venduta in farmacia. Nel 1763 a Venezia si poteva gustare il caffè in 218 locali, il caffè divenne simbolo di amore e di amicizia tanto che agli inizi del ‘700 i corteggiatori solevano mandare alle proprie predilette vassoi ricolmi di cioccolata e caffè.

Ma la Moka era ancora lontana. Il caffè veniva principalmente preparato per infusione in acqua calda e si diffuse presto in tutta la penisola, nonostante inizialmente venisse osteggiato da alcuni esponenti della Chiesa. Fu lo stesso papa Clemente VII che approvò il consumo di quella che veniva definita da alcuni come la bevanda del diavolo. Ne assaggiò una tazzina e non poté fare altro che gradirla. Ad ogni modo, per evitare la sgradevole sensazione di assumere oltre al liquido il residuo di granelli di caffè, furono in molti a tentare vie alternative di preparazione della bevanda.

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Genealogia della Moka

Nell’800 fu inventata la Vacuum, costituita da due contenitori: uno per il caffè e uno per l’acqua, inferiore. Questa macchina era posta sopra una fiamma che permetteva all’acqua in ebollizione di salire nel contenitore superiore, solubilizzare il caffè e riscendere in basso tramite un filtro. La caffettiera a filtro nacque successivamente: una versione rovesciabile di caffettiera fu inventata da un certo Morize in Francia nel 1819. In Italia venne perfezionata: nasceva la famosa caffettiera napoletana. La nonna dell’attuale Moka, meno veloce e immediata nella preparazione, ma molto simile.

Cos’hanno in comune una lavatrice e una moka?

Alfonso Bialetti ebbe l’intuizione geniale che cambiò la storia della preparazione del caffè mentre osservava la moglie, che utilizzava la lavatrice chiamata al tempo Lisciveuse. La liscivia era un detersivo molto economico che veniva posto insieme ai panni e all’acqua in una sorta di caldaia con un tubo, la cui estremità superiore era forata. Quando l’acqua della lavatrice si riscaldava e raggiungeva la temperatura di ebollizione, l’acqua risaliva questo tubo e raggiungeva l’estremità forata raffreddandosi. A questo punto l’acqua riscendeva, sciogliendo la liscivia che si spargeva sui panni.

Nella mente del suo ideatore, la Moka era già nata. Il principio per la preparazione del caffè con la nuova macchinetta è molto simile a quello della Lisciveuse: la fiamma, che non deve essere troppo forte, porta l’acqua ad una temperatura di circa 90°, la forte pressione che si crea la spinge su per il piccolo imbuto fino a creare per percolazione della polvere di caffè, la nostra amata bevanda.

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By Jcmontero [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], from Wikimedia Commons

L’omino con i baffi

Il nome Moka deriva da Mokha, il porto yemenita da cui venivano esportate le bacche di caffè in tutto il mondo. La vendita esplode negli anni ’50: dal 1958, il simpatico omino con i baffi (che altro non era che la caricatura dello stesso Alfonso Bialetti), simbolo distintivo dell’azienda, spopola in tv grazie a Carosello. Ancora oggi lo troviamo stampato su tutte le caffettiere. Leggenda vuole che la moka debba essere cambiata quando il disegno dell’omino pian piano svanisce.

Negli ultimi anni l’azienda Bialetti (sito ufficiale) è cresciuta ed è andata avanti, grazie soprattutto a Renato, il figlio del signor Bialetti, la cui lungimiranza ha reso l’omino con i baffi famoso in tutto il mondo. Se preparare il caffè è il gesto più naturale del mondo, la moka si può benissimo assimilare ad un membro della nostra famiglia. La sua presenza ci riporta a casa in ogni momento. Grazie, signor Bialetti!

Lavinia Micheli