Mauro Uliassi: «La mia è una cucina erotica, tocca tutti i sensi»
«Mauro Uliassi, il nuovo tre stelle Michelin che cucina per dare piacere alle persone, si racconta a Snap Italy. Dalla prima alla terza stella, una cucina fatta di amore, semplicità e autenticità»
L’amor che move il sole e l’altre stelle e che accende nello chef Mauro Uliassi l’ardore e la passione per la cucina. Una cucina che, coinvolgendo tutti i sensi, seduce, ammalia, tocca delle corde e fa bene alle persone. Una cucina in continuo divenire, perennemente alla ricerca di nuovi stimoli, pur rimanendo sempre fedele ai concetti di semplicità e autenticità. Questi e molti altri gli aspetti di cui abbiamo parlato con Mauro Uliassi, lo chef di Senigallia che ha da poco ottenuto con il suo ristorante in riva al mare il massimo riconoscimento dalla Rossa: le ambitissime tre stelle Michelin.
Ecco l’intervista a Mauro Uliassi
Mauro Uliassi, cosa si prova ad ottenere il massimo riconoscimento dalla Rossa? Qual è stata la sua prima reazione?
È stata una gioia infinita e soprattutto per me è stato molto bello vedere l’esplosione di gioia del mio gruppo di lavoro, di quelli che hanno creduto in questa cosa e si sono messi a lavorare con la speranza di raggiungere quest’obiettivo. Perché, sai, non è facile: è una cosa piuttosto ambiziosa, che si è creata poi nel tempo, non è che è venuta fuori subito, perché il nostro percorso è stato abbastanza lungo e negli ultimi anni avevamo questa possibilità, ci era stato proprio detto che potevamo provare ad ambire a questa terza stella. Vedere la gioia negli occhi di Mauro Paolini, Michele Rocchi e di tutto il gruppo che lavora con me da anni è stata una cosa che mi ha commosso profondamente. E poi anche tutta la felicità che si è creata intorno a noi: questa terza stella ha creato un effetto domino, una felicità contagiosa. È stato davvero un qualcosa di straordinario! Adesso siamo ancora un po’ frastornati; la terza stella ha scatenato subito una grande richiesta, siamo sotto un tiro di fuoco incredibile, e non solo con le richieste al ristorante: persone che vogliono lavorare con te, che chiamano dall’estero per delle consulenze… non c’è più il tempo di fare nulla! Non vediamo l’ora di chiudere il ristorante per riunirci, fare il punto della situazione e capire come gestire questa nuova condizione, questo nuovo tipo di campionato che andiamo a giocare.
È stata una sorpresa o ve lo aspettavate?
La sorpresa c’è sempre perché il fatto di essere tra i papabili non vuol dire che tu sia il Papa poi. Anzi, fino a cinque minuti prima eravamo lì in sala e non sapevamo nulla, c’era una tensione molto molto alta. Eravamo stati invitati lì per cucinare per la serata di gala, eravamo stati invitati alla conferenza stampa… però c’erano anche altri cuochi, per cui potevi essere tu ma potevano essere anche altri. Quello che sapevo è che negli ultimi quattro, cinque anni la Michelin aveva posto un’attenzione particolare su di noi, ma come su altri. Siamo stati proposti alla Francia come potenziali tre stelle, insieme ad altri quattro o cinque ristoranti. A questo punto si apre un dossier su di te dove vengono raccolti tutti i report degli ispettori che vengono, stavolta non più italiani ma stranieri. Il dossier si riempie sempre più, fino a quando si decide che potresti essere veramente un tre stelle; a quel punto passa il grande capo, in questo caso una donna, e viene a verificare se effettivamente potresti esserlo oppure no. Non è cosa semplice, anzi è molto complessa, e tu non sai niente! Quindi quando la Michelin ti premia è sempre una sorpresa, oltre che una bellissima emozione.
L’ottenimento della terza stella è di certo un’emozione indescrivibile, ma torniamo un po’ indietro. Nel 1995, quando si è aggiudicato la prima stella, che emozione ha provato? Che differenze ci sono?
È stata la stessa cosa, una grande sorpresa. Noi avevamo una capanna sul mare, eravamo un gruppo di ragazzini che giocavano a fare i ristoratori e un giorno è arrivato un telegramma: era la prima stella Michelin. Eravamo molto stupiti, meravigliati che un ristorante di quel genere potesse già meritare un riconoscimento di quel calibro. Ricordo che la prendemmo insieme a Moreno Cedroni.
Andiamo ancora più indietro: com’è nata in Mauro Uliassi la vocazione per la cucina?
Io questo lavoro lo faccio da tantissimo tempo. All’inizio lo facevo soltanto per mantenermi all’università. Insegnavo anche alla scuola alberghiera e il lavoro del cuoco mi dava la possibilità di vivere abbastanza bene. L’ho sempre fatto bene questo lavoro, anche perché ho avuto degli ottimi maestri, ma senza quella passione e quell’ardore che poi mi hanno caratterizzato successivamente. Ho iniziato a far carriera quando ho conosciuto mia moglie. In quel periodo lì io mi sono innamorato di mia moglie e lei mi chiese di cucinare per i suoi amici il giorno del suo compleanno. Erano tutti ragazzi che avevano sempre mangiato nelle pizzerie, nelle paninoteche e che per cui non conoscevano la cucina professionale; io cucinai invece una sorta di pranzo di Babette: ho cucinato facendo tutto quello che sapevo fare, ma soprattutto con una passione diversa, perché cucinavo con il cuore gonfio d’amore! È questa sostanzialmente la differenza che c’è tra cucinare tanto per cucinare e cucinare invece per colpire davvero qualcuno: lo fai con amore, con il desiderio di dare piacere agli altri. Lì ho scoperto qual è lo straordinario potere che un cuoco ha quando cucina in questo modo, perché è molto seduttivo, nel senso più ampio del termine: quando cucini entri dentro alle persone e le conquisti, perché se il cibo è buono tocchi delle loro corde e gli dai piacere. Mia moglie mi ha spinto molto dicendomi che la cucina e, appunto, dare piacere alle persone era il mio talento, quello che io dovevo fare, e quindi ho cominciato a studiare ancora di più, a fare degli stage, fin quando poi ho aperto il ristorante insieme a mia sorella Catia.
A chi non l’ha mai provata, come si potrebbe descrivere la cucina di Mauro Uliassi?
È difficile descrivere la propria cucina… posso dire che noi facciamo una cucina moderna, che utilizza il massimo delle tecniche e delle tecnologie che esistono oggi sul mercato, ma che affonda comunque le radici nella tradizione, pur non essendo una fotocopia del passato: è una tradizione sempre contaminata dal nuovo e da quello che ci circonda. Però sostanzialmente io definirei la nostra cucina una cucina erotica, nel vero senso della parola. È una cucina che cerca il piacere nelle persone. L’erotismo e la cucina sono le uniche due attività della natura umana che coinvolgono tutti e cinque i sensi, e poi sono anche le uniche due di cui non si può fare a meno. L’arte pittorica, la musica non sono indispensabili come invece lo sono il cibo e il sesso. Quando uno supera la necessità di fare sesso per mettere al mondo bambini e supera la necessità di mangiare per fame, allora il sesso diventa erotismo e il cibo diventa gastronomia. Ed è qui che si apre la dimensione del piacere. Quindi, se mi chiedono com’è la mia cucina, io rispondo che è una cucina che tocca tutti i sensi, esattamente come avviene nell’amore.
Senigallia è la sua città e la città dove sorge il suo ristorante. Come la porta a tavola? Che legame c’è tra territorio e cucina?
È un legame fondamentale. La nostra cucina si muove entro due parametri che sono due paletti fissi: la semplicità e l’autenticità. Deve essere semplice nel senso che deve avere un costo comprensibile, deve essere fatta con ingredienti facilmente reperibili, quindi più locale possibile, e che tutti devono essere in grado di replicare. È autentica poi perché nasce proprio nel territorio, respira il mare: ce lo abbiamo davanti e questo ci ispira moltissimo. È autentica perché cuciniamo la selvaggina, perché l’abitante della costa adriatica era contadino e pescatore allo stesso tempo; la cucina mare e monti non è infatti l’idea di un cuoco geniale, ma fa proprio parte della cultura della costa adriatica. Per cui, quando noi cuciniamo raccontiamo questo: raccontiamo la storia di un territorio e delle sue persone.
Il piatto in cui Mauro Uliassi si identifica di più?
Non c’è. Quello che ci identifica meglio è sempre l’ultimo piatto, nel senso che ogni volta che noi prepariamo qualcosa, quel qualcosa si porta appresso tutto quello che hai imparato prima. È come quando ti innamori l’ultima volta: l’ultimo amore è sempre quello più prezioso, perché grazie alle esperienze precedenti puoi riuscire a dare il meglio di te. La stessa cosa avviene con un piatto, quando lo prepari ci metti dentro tutta la tua esperienza, per cui sicuramente sarà migliore degli altri. La cucina è in continuo divenire, cerca sempre di andare oltre a quello che in quel momento è.
Il menu del suo ristorante si divide in tre anime: i Classici, la Caccia e il Lab. Ce li racconta?
I Classici sono i piatti che raccontano un po’ la nostra storia, quelli che hanno creato il nostro successo, i best sellers. Il menu Caccia comprende tutti i nostri piatti a base di selvaggina, piatti che potevano sembrare una follia per un ristorante sul mare ma che invece si sono rivelati un’idea geniale, esprimono il nostro modo di essere marchigiani. Il Lab invece è quello che noi siamo in questo momento, con tutta quanta la nostra ricchezza, la nostra cultura. Racconta la nostra evoluzione e il nostro desiderio di andare sempre a guardare cosa c’è oltre la siepe; è il menu più contemporaneo.
Oltre al mare, da cosa trae ispirazione?
Il mare è sicuramente la fonte d’ispirazione principale, ma lo sono ad esempio anche i viaggi. Quando viaggi rimani incantato dalle meraviglie di un altro paese e ne vieni contaminato. Quando poi però lo racconti questo viaggio, lo racconti sempre facendolo passare attraverso la tua terra; per cui, in un piatto estremamente marchigiano puoi mettere dentro un profumo che hai trovato in Oriente, oppure puoi portarci un’idea che hai visto in Sudamerica o nel Nord Europa. Insomma, il mare è la prima fonte ma poi c’è tutto il resto, c’è tutto quello che sei tu qui e ora. Già in questo momento io non sono lo stesso di stamattina, perché magari mi sono arricchito della vista del sole e questo può aver cambiato il mio modo di pensare rispetto a una certa questione. È un continuo divenire, e questo vale per tutte le arti: se invece che lo chef Mauro Uliassi, io fossi stato un musicista, avrei suonato il mare di Senigallia o il suo profumo.
Marcella Scialla