lorenzo luporini
31 Dicembre 2018   •   Redazione

Lorenzo Luporini: «Così vi racconto mio nonno, il Signor G»

«Intervista a Lorenzo Luporini, nipote orgoglioso del mai dimenticato Giorgio Gaber»

Navigavo su Instagram quando per la prima volta mi sono imbattuta, per caso, sul profilo (ed è un profilo riconoscibilissimo) di Lorenzo Luporini. Ci ero arrivata grazie ad un post di Teresa Guccini, figlia di un certo Francesco (sono sicura che qualcuno di voi ne abbia già sentito parlare): erano andati a raccontare di quei tempi meravigliosi vissuti e raccontati da babbo Francesco e nonno Giorgio al Liceo Malpighi di Bologna. L’idea, il progetto, mi piacquero molto e così decisi di andare più infondo a questa storia. D’altra parte non ci si poteva aspettare nulla di diverso da una fan sfegatata dei due miti in questione con la passione per il giornalismo. Così ho chiesto a Lorenzo, classe 1995, dai modi gentili e maturi, di concedermi quest’intervista, perché di una persona come Giorgio Gaber non si dovrebbe smettere mai di parlare e perché ritengo che sia un piacere ed un onore farlo tramite la sua propagazione naturale, il somigliantissimo nipote, che, filmati e chitarra alla mano, porta il Signor G nelle scuole, facendolo rivivere negli occhi e nelle orecchie dei giovani studenti.

Intervista a Lorenzo Luporini

Che tipo era tuo nonno nella vita privata e che ricordo hai di lui?
Allora, mio nonno è mancato che io avevo otto anni, quindi ho dei ricordi molto intimi legati più al suo essere nonno che al suo essere artista. Mi ricordo in particolare che giocavamo a biliardino, di quando mi insegnava a suonare la chitarra, di guardare le partite insieme a lui. Quindi, ricordi molto normali, familiari, diciamo. Da quello che mi hanno raccontato gli altri però, ti posso dire che era un uomo molto spiritoso, essenziale, onesto. La cosa che più spesso mi hanno detto è quanto mio nonno fosse principalmente una persona per bene.

E che cosa si prova, se si prova qualcosa in particolare, ad essere nipote d’arte? Cosa significa essere il nipote di Giorgio Gaber?
Beh, essere nipote d’arte sicuramente e meglio che essere figlio d’arte. Perché non senti sulle spalle il peso del confronto, dell’aspettativa e non ricevi nemmeno molta attenzione, perché sei più distante. Quindi rimane solo il grande orgoglio di far parte in qualche modo di questa bella storia di mio nonno e di Sandro Luporini, che è il suo coautore storico.

E sicuramente il tuo cognome c’entra qualcosa con Sandro Luporini…
Sì, c’è una parentela. Mia madre (Dalia Gaberščik n.d.r.) è la figlia di Gaber, Sandro Luporini è lo zio di mio padre. Sembra fatto per i diritti d’autore ma in realtà è una coincidenza (ride n.d.r.), però è bello che le due famiglie si siano in qualche modo unite.

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Com’è nato il tuo progetto nelle scuole? In che cosa consiste?
È un progetto che nasce prima di quando lo prendo in mano io. Io me ne occupo dal 2013 ma già da qualche anno prima, Andrea Pedrinelli che è un giornalista, portava questa lezione nelle scuole. Quando lui ha smesso di farlo ci piaceva andare avanti con questo lavoro, un’attività di divulgazione molto reale e concreta. Quindi mia madre e Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione Gaber, mi hanno chiesto di fare questa cosa. Io avevo diciott’anni, all’epoca ero in quinto liceo, e quindi andavo a parlare a dei miei coetanei: all’inizio era molto spaventoso perché andavo a fare il professore a ragazzi della mia età. Adesso dopo cinque anni e quasi 100 lezioni sono molto più sciolto, sia perché quando fai ripetutamente una cosa la impari a fare, sia perché è sempre molto divertente raccontare di mio nonno a chi non sa chi sia. Inoltre mi piace rapportarmi con i ragazzi: parlare con gli adulti mi interesserebbe meno, è più utile far conoscere Gaber a chi non ha mai avuto modo di conoscerlo.

Trovo che le canzoni di tuo nonno siano estremamente vere, nel senso che possiedono una grande spontaneità di testi che riescono a parlare di argomenti grandi e piccoli con la stessa profondità. Chi pensi possa essere l’erede del Signor G in questo senso?
Guarda, credo che musicalmente sia talmente cambiato il suono che sia difficile fare questo ragionamento. Però come tematiche e contenuti ce ne sono molti che propongono cose che per provocazione o profondità lo ricordano. Mi viene in mente Dario Brunori (Brunori Sas), che sicuramente è il più classico dei cantautori, che però ha dei contenuti, un approccio al lavoro simile a quello di mio nonno: tocca degli argomenti anche filosofici. Parla di Bauman, di sociologia, di società liquida. Insomma, per me è un super! Poi i miei ragazzi de Lo Stato Sociale (Lorenzo Luporini li segue per lavoro n.d.r.) sicuramente fanno qualcosa di simile. La loro prima tournée, nel 2011, era una tournée di teatro-canzone. Una cosa curiosa. Certo, con un linguaggio abbastanza diverso da quello di Gaber perché loro sono bolognesi e, come dice qualcuno, “Bologna è una regola” ed ha ragione! Gli altri due che segnalo sono Willie Peyote (tra i cantanti emergenti italiani uno dei più apprezzati n.d.r.), che tra l’altro cita La Libertà in una sua canzone, Metti che domani, e Ghali il quale una volta mi ha detto: “Tuo nonno mi ha aperto un sacco di prospettive.

Domanda d’obbligo: cosa pensa Lorenzo Luporini della Trap?
A me piace, l’ascolto, sia quella americana che quella italiana. Considera che al primo posto nella mia playlist Spotify dei brani più ascoltati del 2018 c’è Thoiry! Sono un grande fan di Post Malone, Travis Scott. Mi piace.

Alla luce dei fatti accaduti qualche giorno fa a Corinaldo, cosa pensi riguardo le critiche rivolte da certa parte dell’opinione pubblica nei confronti della musica Trap e soprattutto dei testi, tacciati di dare il famigerato cattivo esempio ai giovani di oggi?
Secondo me c’è un bigottismo tremendo. Cioè come sono vecchi quelli che criticano la Trap e, in questo caso, Sfera Ebbasta? Sfera intercetta una realtà che è comune a molti ragazzi. Io vengo da una famiglia privilegiata, ma, probabilmente, se così non fosse stato, anche io mi sarei riconosciuto in quella voglia di arrivare lì. Lui non fa altro che intercettare, come tutti gli artisti pop, quello che c’è in giro per poi farne un’esternazione. È una situazione culturale. Positiva, negativa? Chi sono io, Lorenzo Luporini, per giudicare? Il volerlo colpevolizzare è una cosa un po’ assurda. Quando sento criticare la nuova musica mi viene sempre in mente che tra vent’anni ci sarà qualcuno che la rivaluterà. Cioè vogliamo parlare di Heroin dei Velvet Underground, Cocaine di Eric Clapton? Sempre la stessa storia.

Perché secondo te siamo comunque ancora legati ai grandi cantautori del passato, pur non avendoli vissuti nel quotidiano, come i nostri genitori o i nostri nonni?
Sicuramente perché invecchia una sonorità ma resta attuale la parola. Poi c’è anche un linguaggio che è accessibile in quanto leggero. Parlo specialmente per Gaber ma anche per tutti gli altri. E poi c’è anche una cifra poetica che stiamo imparando a riconoscere adesso: Gaber non è mai stato considerato un poeta in vita. Un filosofo, un pensatore, mai un poeta. Invece adesso quel tipo di scrittura lì è riconosciuta come un qualcosa che ha contatti anche col mondo della poesia. Per me è legittimo: L’Illogica Allegria è una canzone che nulla ha a che fare con il pensiero. Ha a che fare invece con l’anima.

lorenzo luporini

E qual è la canzone di tuo nonno che Lorenzo Luporini consiglia di ascoltare per prima a chi non lo ha mai ascoltato? E per quale motivo?
Bisogna fare una distinzione. Se ho modo di raccontare prima qualcosa, direi proprio L’Illogica Allegria, che però tocca un concetto particolare: quel momento in cui, con un po’ di vergogna, ci si rende conto di stare bene a prescindere da ciò che accade nel mondo, fuori. Una condizione preziosa ma complessa. Ci vuole il ragionamento. Per l’ascolto nudo e crudo, senza mediazione, consiglierei Destra Sinistra: ritmo, gioco sui luoghi comuni. Efficace e divertente.

Lavinia Micheli