Giardini della Biennale 2019
28 Maggio 2019   •   Deborah Scaggion

Giardini della Biennale 2019: i Padiglioni più Belli

«I Giardini della Biennale sono il cuore verde dell’arte internazionale: ecco i padiglioni nazionali più belli»

La Biennale Arte di Venezia 2019 non smette di sorprendere. Dopo aver conosciuto i protagonisti italiani della 58.Biennale Arte 2019 e aver visitato la mostra May You Live in Interesting Times, questa volta siamo andati alla scoperta dei Giardini della Biennale, uno dei polmoni verdi della città. Qui abbiamo visitato alcuni dei padiglioni nazionali più interessanti e creativi di quest’anno: scopriamoli insieme!

Padiglione Venezia: Corpo Reale

Il Padiglione della città di Venezia, uno dei più antichi, è stato costruito nel 1932 da Brenno del Giudice. Nella Biennale 2019 il padiglione non è un semplice contenitore, ma diventa il pezzo d’arte vero e proprio.  All’interno, la mostra mette  in risalto tutte le diverse anime che compongono la città di Venezia, simbolicamente rappresentate da materiali utilizzati dagli artigiani locali: pietra, marmo, legno, corda, tessuto. Lo scopo è quello di far dialogare tra loro tutti gli elementi che compongono la città. Inoltre, mentre i visitatori, girovagano senza una meta precisa, grazie ai loro sensi, diventano essi stessi i creatori della loro esperienza. Alla fine del percorso, questa idea è incorporata nell’ installazione di un tubo opaco, simbolo della nebbia di Venezia, attraverso quale si può camminare sull’acqua, una superficie mutevole, ma la cui anima rimane invariata.

Padiglione Austria: Discordo Ergo Sum

Quest’anno il padiglione austriaco è stato curato dall’artista Renate Bertlman. L’artista ha rivisitato il principio filosofico del “Cogito, ergo Sum” (penso, quindi sono) come Discordo Ergo Sum (Dissento quindi sono). Nel corso della mostra cerca di cancellare la supremazia della ragione attraverso il rovesciamento di diversi simboli sociali e convenzioni, lasciando spazio alle emozioni e alle contraddizioni. Pezzo forte dal padiglione è l’installazione nel giardino: un prato di rose-coltello, metafora che ci permette di capire la dicotomia del reale.

Giardini della Biennale 2019 – Padiglione Israele: Field Hospital

Anche il padiglione Israeliano si trova ai Giardini della Biennale. Progettato da Avi Lubin, è un padiglione molto particolare. Prima di entrare ad ogni visitatore viene consegnato un numero, poi si viene accompagnati nella sala d’attesa di un ipotetico ospedale. Qui, si attende che il proprio numero venga chiamato e nel frattempo vengono mostrati diversi filmati che ripetono lo slogan “Here anyone can be free” (qui ognuno può essere libero).

Giunto il proprio turno, si viene accompagnati in una piccola stanza per svolgere un esercizio liberatorio, e poi in un’altra area, in cui ogni visitatore viene invitato a visionare un video rivelano vicende controverse che spesso non trovano voce nei media nazionali e internazionali. Tra queste, la sparizione di bambini provenienti da famiglie delle minoranze etniche negli anni ’60 in diversi ospedali israeliani e la resistenza palestinese. In sintesi, un padiglione che è sia un esperimento sociale e una denuncia che mira a fare giustizia.

Padiglione Canada: Isuma 

Il Padiglione Canadese è un padiglione coraggioso. Alla luce del fenomeno migratorio mondiale e in occasione dell’anno Internazionale delle Lingue Indigene, il Canada presenta un’opera di media art del collettivo artistico ISUMA. Il tema del video è il trasferimento forzato delle popolazioni Inuit presentato dal loro punto di vista. Il filmato è un gioco di equilibrio, in cui si alterano battute  tragiche e ironiche tra due individui, uno appartenente alla comunità Inuit, l’altro a quella dei “nuovi padroni”.

Padiglione Svizzero: Moving Backwords

Infine, i Giardini della Biennale ospitano anche il Padiglione della Svizzera. Qui l’atmosfera è molto suggestiva: all’inizio si entra in un grande cinema in cui di vede un filmato su dei danzatori. La particolarità è che tutti loro ballano indossando le danze al contrario. Perché? Il motivo di questa scelta è chiaro solo alla fine del video, quando si scopre che quel gesto è in realtà una citazione. Infatti, le donne che combattono sulle montagne del Kurdistan, indossano le scarpe al contrario per confondere le loro tracce: una strategia che salva loro la vita.  Ma il padiglione vuole essere anche una riflessione più generale sul nostro tempo. Infatti, usa l’ambivalenza di questo movimento, che va avanti ma sembra tornare indietro, per sfidare la nozione dell’inevitabilità del progresso.

Il padiglione è un invito a fare un passo indietro dal nostro mondo caotico, per vederlo in tutta la sua complessità e per cercare di capire come muoversi insieme, proprio come in una danza.

Deborah Scaggion