fabrizio Borelli
24 Ottobre 2023   •   Snap Italy

Fabrizio Borelli: «L’arte è un modo di avvicinarsi alla vita»

«Un artista trasversale, passato anche per il cinema, con un passione e un talento smisurato per la fotografia. Vi portiamo a conoscere Fabrizio Borelli, uno dei protagonisti di Rome Art Week.»

Poeti, artisti, eroi e… tanto altro ancora. Gli italiani sono così, hanno risorse infinite, ma soprattutto hanno un rapporto davvero speciale con il mondo dell’arte. Una vocazione, che alcuni scoprono in tenerissima età, mentre altri esplorano nel corso del tempo, scoprendo un nuovo lato di sé e un modo diverso di vivere la vita. Il comun denominatore, però, resta la passione smisurata per tutto ciò che è arte, che sia fotografia, teatro, pittura, scultura o anche cinema. Tra questi figura senz’altro Fabrizio Borelli, classe 1951, che non è soltanto fotografo, format designer e regista, ma una figura estremamente trasversale, impegnato da sempre nel mondo artistico.

Insieme a Rai, ad esempio, ha diretto programmi di informazione, in grado di toccare temi molto distanti tra loro, come politica, scienza, medicina e cultura. Nel frattempo ha approfondito il proprio lavoro su quel che concerne la ricerca fotografica, esplorando molte delle sfumature esistenti tra il procedimento analogico e le nuove tecniche digitali. Agli albori del proprio percorso artistico la partecipazione  nei film che hanno reso famoso Tomas Milian (Delitto a Porta Romana e Delitto al ristorante cinese solo per citarne alcuni), cui ha fatto seguire un impegno costante nel mondo dell’informazione (con puntante speciali da Gerusalemme e Gaza, ora più che mai temi tristemente attuali). E poi mostre, eposizioni nelle gallerie d’arte, diverse collaborazioni artistiche e la partecipazione a Rome Art Week, una delle kermesse di riferimento per quel che riguarda l’arte contemporanea. Ma Fabrizio Borelli è davvero molto di più: lo abbiamo intervistato per voi, (ri)scoprendo un artista a tutto tondo ed estremamente trasversale.

Poliedrico e con un amore smisurato per l’arte: come vive la propria professione Fabrizio Borelli?

«L’arte, la techne, abilità e consapevolezza delle regole – per seguirle, trasgredirle o inventarne delle nuove – dunque linguaggio, per generare visioni – mi incanta. È la capacità disvelatrice dell’arte che – per me – ne ha fatto un valore fondante.

L’arte non è la mia “professione”, è un modo di avvicinarmi alla vita. In tutta sincerità non mi sento un artista nel senso consueto del termine, mi sento piuttosto un maker, un faber (nomina sunt omnia) che indaga il visibile con gli strumenti che possiede e che, man mano, matura».

Regista, fotografo, format designer e tanto altro ancora: da un punto di vista artistico come ti descriveresti e quale professione senti più tua?

«Tutte. Con diverse intensità secondo dei periodi della vita. Fotografo da oltre 50 anni, sono stato stampatore analogico in un’agenzia di nicchia, intorno alla quale tuttavia ruotavano grandi fotografi – Tano D’amico, Fausto Giaccone, Paola Agosti, Sandro Becchetti, Aldo Bonasia – dopo la gavetta il fotografo l’ho fatto e poi ho iniziato con il cinema, anche qui un lungo apprendistato fino alla regia, poi la televisione con la straordinaria adrenalina della regia in diretta. Quello che posso dire è che la fotografia, luce, composizione, scatto, alti e bassi, mi ha accompagnato per tutta la vita.»

Il 23 ottobre parte il Rome Art Week, la settimana dedicata all’arte contemporanea: che tipo di manifestazione è e che tipo di impatto ha dal punto di vista culturale?

«Partecipo a Rome Art Week dalla prima edizione, quella del 2016 (che non è archiviata nel sito, con l’open studio La verità vi prego sull’amore) e, pur essendomi trasferito a Terni nel 2017, ho continuato a partecipare. Non so dirti quale impatto culturale abbia, credo che, per parlare di questo, avremmo necessità di dati. Ma penso che, dal punto di vista della politica culturale, RAW sia importante, non solo per chi partecipa, anche per la città. Si tratta di rendere permeabile una comunità alle istanze dell’arte contemporanea, di coloro che si impegnano a restituire visioni originali, nuove, arricchenti».

Nel panorama mondiale come si configura una manifestazione di questo tipo secondo Fabrizio Borelli?

«Mi fai una domanda difficile, non ho dati sul panorama mondiale, e ti rispondo con un auspicio. Mi auguro che RAW si consolidi e si espanda. Sarebbe interessante scoprire se e in quali paesi se ne parli. In giro per il mondo c’è tanta roba, ho viaggiato parecchio».

L’Italia paese di grandi artisti: quali sono le collaborazioni artistiche di cui vai più fiero?

«Sì, in Italia ci sono cose che fanno “piangere”, ma non solo in Italia. L’attività di un artista è spesso solitaria ed io – soprattutto negli anni della televisione, dal ’92 al 2017 – ho praticato la fotografia e la metafotografia – linea di ricerca cui appartiene BRAINING – nei brandelli di tempo che quel lavoro mi lasciava.

Sono molto fiero prima di tutto della collaborazione con la mia curatrice, Maria Italia Zacheo, persona di sensibilità non comune, è più che una curatrice, è la persona con la quale discuto e sviluppo i progetti che, a volte, nascono da intuizioni condivise, BRAINING ad esempio, tanto è vero che lo presentiamo a doppia firma. Poi vado fiero della collaborazione con il MLAC – il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea a Roma, dove ho presentato CONTAGION, un progetto davvero complesso, un’opera analogica che entra e si trasfigura nel mondo degli IDLE GAMES. Infine sono fiero della collaborazione con i cittadini ternani e con l’ACTL, la struttura che ha accolto il progetto DIARIO URBANO, oltre cento ritratti arricchiti da testimonianze,  che presenteremo a Terni il 28 ottobre. Mi ha riportato alle origini, al reportage realizzato con i pazienti del Santa Maria della Pietà – 1979 – che ho esposto al MAXXI, A Palazzo Primavera a Terni, in Puglia e in Friuli».

Nel corso della tua carriera la fotografia ha sempre avuto un ruolo cruciale: per un artista che ha seguito anche gli scontri tra Palestina e Israele che tipo di emozioni provoca questa professione?

«I viaggi in Israele, a Gaza, in Libano, furono di straordinaria potenza, ma lì fu solo e tutta televisione. Quando sei regista, in TV, non puoi distrarti per fotografare, hai innumerevoli cose da controllare, tempi di lavorazione strettissimi e giornate di lavoro lunghissime.

Quello che mi è rimasto è la voglia di tornare e un persistente dolore, una terra di tale carisma non può essere così martoriata. Dobbiamo saper ascoltare, prima di tutto. Va detto che erano i tempi dell’OLP, di Arafat, una storia diversa. Anche nel 2003, quando la barriera tra Israele e Gaza fu ultimata e quando Abū Māzin conquistò la leadership, era una storia ancora diversa, meno radicalizzata, sembrava ci fossero ancora speranze. Israele e Palestina sono una passione che, temo, dovrò sviluppare nella prossima vita».

fabrizio Borelli

Mostre e rassegne hanno costellato il percorso artistico di Fabrizio Borelli: c’è stato qualche evento che più degli altri ti ha lasciato qualcosa?

«Sono quelli che ti ho citato prima e a quelli aggiungo una grande collettiva a Roma, al Museo delle Mura, Stop all’abuso sulle donne. Era il 2010, presentai una sequenza Burning out, che ho riproposto a Roma e a Matera, nell’anno della capitale europea della cultura».

Tra i tuoi diversi lavori figura la partecipazione in almeno due dei film che hanno reso Tomas Milian noto al grande pubblico: puoi raccontarci qualche aneddoto?

«Più di due film. È un periodo al quale penso con affetto, ma è molto lontano, parliamo della fine dei ’70 e l’inizio degli ’80. Non mi vengono in mente aneddoti particolari. Ma a volte mi stupisco che un cinema che allora era considerato trash oggi sia divenuto cinema di culto. La verità è che mi sono divertito da matti e che sono molto legato a quei film perché è lì che ho iniziato a lavorare nel cinema».

fabrizio Borelli

Ci puoi svelare alcuni dei tuoi progetti per il futuro?

«Proprio svelarli no. Posso dirti che ho in mente un progetto che corre nel solco di DIARIO URBANO, un altro contiene l’idea del viaggio, la strada come mutamento e, infine, voglio riprendere alcuni percorsi interrotti, nella metafotografia ad esempio. Ho parecchio da fare ancora».

Hai lavorato al fianco di molti artisti e conosciuto realtà molto lontane da quella nostrana: in quale situazione si trova l’Italia da un punto di vista artistico?

«Io sono una figura di nicchia, non credo di essere in grado di risponderti. Vedo una certa vitalità. Va cercato un orizzonte lontano, oltre quello delle realtà locali. Che non significa parlare d’altro, significa vedere con altri occhi, incoraggiare il progetto rispetto al canto solitario».