OGAE
18 Maggio 2016   •   Snap Italy

Eurovision 2016: intervista a Domenico fan e membro OGAE

«L’Eurovision è seguitissimo anche in Italia. Da anni infatti l’OGAE, il fanclub della manifestazione, vanta una rappresentanza italiana attivissima che ha lo scopo di far conoscere meglio nel nostro paese il contest musicale più famoso d’Europa. Abbiamo parlato con Domenico D’Alterio, membro dell’OGAE ITALY, per saperne di più»

 

Domenico, cosa è stato e cos’è per l’Italia l’Eurovision?
Fino agli anni 90 l’Eurovision è stata una manifestazione poco seguita dall’italiano medio. La trasmissione veniva trasmessa spesso in differita e in seconda o terza serata per la scelta aziendale della Rai di partecipare ma di scongiurare l’eventuale vittoria perché spesso vincere l’Eurovision vuol dire andare in banca rotta. È successo all’Irlanda che per 4 volte nel corso degli anni ’90 ha dovuto organizzare il festival.
L’Eurovision in Italia non era conosciuto come un evento così massivo come è invece nel resto d’Europa, probabilmente perché c’erano altre manifestazioni canore come Sanremo o il Festivalbar che supplivano meglio all’esigenza degli italiani di ascoltare musica pop. Dal 2011, anno del ritorno dell’Italia nella competizione, le cose sono cambiate: è cambiato il meccanismo (niente più differite e seconde serate) ma anche la generazione che ora segue la manifestazione è adesso più interessata all’evento.

Fai parte dell’OGAE. Ce ne vuoi parlare?
OGAE ITALY è la versione italiana del fanclub ufficiale dell’Eurovision dove sono raccolti i fan di questa manifestazione. Spesso organizziamo degli eventi per incontrare i cantanti e ci si organizza per  promuovere il festival al meglio nella nostra nazione.

Come vivete la preparazione a quest’evento?
Un po’ come i mondiali di calcio! C’è una febbre, un coinvolgimento che è difficile da spiegare perché l’Eurovision si basa su una serie di aspettative diverse da quelle di Sanremo. Al festival si aspetta la sfilata, la scalinata, la valletta che non sa presentare, la gaffe del comico o del presentatore di turno. All’Eurovision si aspetta di vedere come viene inquadrato il cantante, che tipo di ovazione potrà riscontrare in sala stampa, che tipo di messa in scena ha scelto. E ancora a quale coreografo si è affidato, quanto è quotato dai bookmakers, se ha stonato, che cosa ha cambiato rispetto alla prima prova. Diciamo che il chiacchiericcio attorno all’Eurovision è diverso.

Dal 2011 ad oggi, cosa ha dato l’Eurovision ai cantanti italiani che vi hanno partecipato? Serve davvero a far conoscere il nostro artista al resto d’Europa?
Non c’è stato ancora l’exploit italiano da quando la nostra nazione è tornata a partecipare. Sicuramente si apre un mercato all’estero, anche piccolo. Marco Mengoni (che ha partecipato nel 2013 con l’Essenziale n.d.r.) adesso sta avendo successo in Spagna, Il Volo in tutto il mondo. Raphael Gualazzi fa un genere di musica che si presta ad essere esportato ma non a livello mainstream. È una questione di aspettative: l’Italia spesso arriva qui spaesata, mentre ci sono altre nazioni che riservano per l’Eurovision un’attenzione non indifferente e che investono un sacco per la promozione, i gadget, la messa in scena, i costi del videoclip.

Quindi nel resto delle nazioni c’è invece un riscontro a livello mediatico e di vendite?
Sì, perché non c’è un “Sanremo” dal quale poi usciranno gli album che per i successivi 3/4 mesi venderanno. L’attesa è per l’Eurovision o per le selezioni dell’Eurovision. In molti paesi ci sono una serie di festival svolti appositamente per scegliere il rappresentante della nazione da portare all’Eurovision.

Cosa ti ha fatto appassionare a questo evento?
La perfezione del programma: non esistono tempi morti, la scrittura dei testi dei presentatori è spesso geniale, il montaggio pure. C’è una velocità che solo da poco l’Italia sta imparando e quindi soffro a vedere un evento come Sanremo, anche se di recente si sta modernizzando. Ovviamente anche l’Eurovision ha i suoi contro: ad esempio è molto asettico, ci sono prove e controprove che fanno sì che tutto accada sempre nello stesso modo. Tutto è coreografato, dal gesto, al respiro, ai movimenti di camera.

Domenico, il tuo Eurovision più bello?
Sicuramente quello del 2015, che è stato il primo a cui ho partecipato dal vivo. Una cosa è vederlo in TV, un’altra ed essere qui e vedere le maestranze che si muovono attorno a questo evento. La partecipazione è davvero intensiva e ti rendi conto del fanatismo che ruota attorno al festival. Qui dalla mattina alla sera si parla delle esibizioni, dei pronostici, dei vestiti: si rasenta la follia, ma è bello vivere una settimana così surreale!

Giuseppe Barone