19 Agosto 2019   •   Raffaella Celentano

Aziende francesi o italiane? Il Made in Italy parla francese

«Il Made in Italy diventa sempre più francese? Secondo alcuni sì! E le nostre case di moda pare siano sempre più simili e vicine alle aziende francesi. Proviamo a capirne di più…»

Nella moda italiana ogni maison racconta una storia, fatta di passione, sacrifici e talento. Storie, per lo più, di piccole boutique a conduzione familiare diventate poi grandi brand, simbolo di creatività e del Made in Italy nel mondo. Brand del lusso amati, invidiati e ambiti dai grandi gruppi stranieri. Non è una sorpresa, dunque, che il sistema moda italiano parli sempre più francese, tanto che c’è addirittura chi sostiene che i marchi più importanti per il nostro Made in Italy siano diventati ormai delle aziende francesi.

In parte tutto ciò è vero… La maggior parte delle aziende di moda italiane sono proprietà dei due principali gruppi francesi: Kering e LVMH. La Francia ha fatto “shopping” di marchi iconici Made in Italy, accaparrandosi i più ricchi e prestigiosi. Parlando in generale, non solo del fashion system, tra il 2000 e il 2018 fra Italia e Francia sono state realizzate fusioni e acquisizioni per circa 112 miliardi di euro. Si è trattato per lo più di acquisizioni francesi, che hanno riguardato in primis i marchi di moda e lusso.

È passato tanto (troppo?) tempo, dunque, da quando l’Italia ha iniziato a promuovere la sua moda e i suoi designer, sfidando il predominio parigino. Nel febbraio 1951 Giovan Battista Giorgini ospitò la prima sfilata di moda italiana nella sua residenza fiorentina di Palazzo Torrigiani, presentando al pubblico straniero (per lo più statunitense) i nomi che di lì a poco sarebbero diventati un vanto per l’alta moda italiana. Sembra strano pensare che alcuni di quei nomi, uno fra tutti Emilio Pucci, siano passato dall’essere emblema del Made in Italy a bottino dei grandi gruppi d’Oltralpe. Dopo il grande successo della prima sfilata di moda a Firenze, Roma diventò la capitale dell’alta moda sfruttando il richiamo del cinema, seguita da Firenze e Milano, che divenne invece la capitale indiscussa del prêt-à-porter. Queste tre meravigliose città hanno creato un patrimonio che tutto il mondo ci invidia, ma che ora sembra difficile da preservare. Ciononostante, è bene ricordare che laboratori i conoscenze (quelle che gli inglesi definiscono know how) restano italiani al 100%, ancorati sul territorio, anche se guidati da vertici stranieri.

Le prime grandi “cessioni

Ma cerchiamo di capire quali sono questi “colossi francesi” di cui parliamo continuamente… Come detto in precedenza, i due principali gruppi che si contendono le aziende di moda italiane sono Kering, di proprietà di François-Henri Pinault, e LVMH, sotto la guida di Bernard Arnault, uno degli uomini più ricchi di Francia. Tra i due imprenditori, neanche a dirlo, non scorre buon sangue, e la sfida a colpi di acquisizioni diventa ogni giorno più dura.

Kering avviò la prima grande acquisizione francese in Italia negli anni Novanta, comprando il brand Gucci, divenuto la punta di diamante dell’intero gruppo. A fargli compagnia ci sono Bottega Veneta, Pomellato e Brioni. LVMH, invece, vanta un portafoglio da ben settanta maison che danno lavoro a circa 154mila persone in tutto il mondo. Arnault, dopo essersi assicurato i gioielli di Bulgari, gli abiti di Emilio Pucci e le creazioni di Fendi, nel 2013 ha acquistato il marchio italiano Loro Piana, fondato negli anni Venti e famoso per la lavorazione del cachemire.

«Non abbiamo perso la sfida con la Francia! Noi  fatturiamo, per quanto riguarda il tessile e l’abbigliamento, tre volte quello che fattura la Francia, perché i francesi vengono a produrre qui in Italia. Quindi direi che dovremmo concentrarci di più sul permettere alle piccole e media imprese di espandersi qui in Italia nel prossimo futuro.»

Raffaello Napoleone – AD di Pitti Immagine

C’è da aggiungere, però, che in Italia non abbiamo mai avuto una filosofia industriale vincente che aiutasse e spronasse il settore moda, e non ci sono dei gruppi che possano essere considerati reali concorrenti dei gruppi esteri. Va aggiunto, inoltre, che i passaggi generazionali rappresentano il momento di maggiore debolezza delle aziende, che apre le porte all’ingresso degli stranieri. In un momento delicato, in cui il futuro di una maison è incerto, entrare a far parte di un gruppo ricco e potente (quali sono, appunto, Kering e LVMH) appare come una scelta rassicurante. Sono ancora pochi i marchi che resistono al di fuori dei gruppi, quasi tutti ancora legati ai loro fondatori: Prada, Brunello Cucinelli, Armani, Dolce e Gabbana, Kiton, Ferragamo e Zegna. E ci sono parecchi interrogativi relativi all’acquisto di questi marchi da parte dei francesi e degli statunitensi, poiché si tratta di aziende che fanno gola a tutti i colossi del lusso internazionale.

Raffaella Celentano