Smetto quando voglio
05 Febbraio 2018   •   Snap Italy

“Smetto quando voglio”: la fine di una saga italiana

«Ogni saga ha una fine. Con Smetto quando voglio – Ad Honorem si è chiusa magistralmente la trilogia di Sydney Sibilia, un’avventura cinematografica unica nel panorama italiano. Ma cosa ha davvero rappresentato questa trilogia?»

Dopo nove settimane di presenza nelle sale italiane e con un incasso di 2,5 milioni nelle prime quattro settimane di programmazione, Smetto quando voglio – Ad Honorem ha sancito la fine di quella che sarà probabilmente ricordata come la prima saga del cinema italiano. Una saga iniziata quattro anni fa e che ha innescato un meccanismo di rinascita nel nostro cinema, a sostegno di un coraggio creativo che ha portato alla realizzazione di pellicole come Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento e Mine. Tutto merito di Sydney Sibilia e della sua banda di ricercatori.

Al giovane regista salernitano va infatti riconosciuto il merito di aver portato in Italia un prodotto nuovo e audace, che sfida i soliti canoni e che riesce a raccontare una generazione senza mai scadere nel vittimismo o nella retorica, ma anzi prendendosi in giro. È ancora grazie a lui se in Italia abbiamo scoperto (o riscoperto) come si fa una commedia insieme popolare e sofisticata, profondamente italiana ma che reinventa i modelli hollywoodiani.

Il trailer dell’ultimo capitolo della saga

In un’epoca dove il pubblico è ormai abituato alla serialità, con la saga di Smetto quando voglio Sibilia ha ideato un piccolo miracolo, sia narrativo che produttivo. La trilogia è infatti un esperimento anche dal punto di vista della realizzazione: i tre film sono stati pensati dall’inizio come un corpus unico, tanto che il secondo e il terzo capitolo sono stati girati insieme, back to back come si dice in America, nello stile di saghe come Il Signore degli Anelli. Una modalità questa che non solo ha ridotto i costi di produzione, ma che ha anche dimostrato una fiducia nel prodotto stesso, non più schiavo del botteghino.

Ma è lo stile narrativo ad essere la vera novità. Insieme a Francesca Manieri e Luigi Di Capua, Sibilia ha costruito tre film che, proprio come le serie tv, prevedono linee narrative brevi ma anche sviluppate sulla lunga distanza. Il risultato sono tre film indipendenti tra loro ma che, grazie ad una narrazione fluida che lega perfettamente ogni capitolo, dimostrano che si può e si deve avere fiducia nel pubblico: non importa se tra un film e l’altro passano uno o due anni, se si scrive una bella storia con personaggi memorabili, lo spettatore sarà felice di aspettare.

Ma è la riscoperta del genere la vera lezione che abbiamo e che stiamo ancora imparando dagli americani. Smetto quando voglio è l’emblema di questa riscoperta, quella di un cinema italiano non relegato a soli drammi e commedie, ma che invece sapientemente mischia e rischia con più generi contemporaneamente. Il primo capitolo univa la commedia all’italiana de I soliti ignoti di Mario Monicelli con uno spunto narrativo alla Breaking Bad; col secondo si passava allo stile action comedy di Ocean’s Eleven ed insieme al western più puro con perfino l’assalto al treno; col terzo infine siamo quasi in un cinecomic, con villain che sembrano usciti direttamente da Gotham City.

La vera genialità è l’essere riusciti ad essere tutte queste cose insieme, creando tre esperienze cinematografiche diverse ma allo stesso tempo accomunate tra loro, mantenendo di base sempre l’ironia e man mano aggiungendo vari elementi presi da generi diversi. Un’operazione di metacinema che Sydney Sibilia ha saputo gestire perfettamente fin dall’inizio, giocando con gli omaggi e con un citazionismo divertente che non sfocia mai nella copia, ma che anzi risulta unico ed originale. Come il western all’italiana anche Smetto quando voglio è un altro esempio di cinema che prende un modo di fare cinema all’americana e lo fa proprio, senza cercare l’imitazione, ma piuttosto la reinvenzione.

Alcuni dei geniali poster promozionali della saga, ispirate a film e serie tv cult

Questa americanizzazione all’italiana si insinua poi anche in altre sfere della realizzazione, dalla fotografia eccessivamente saturata definita Instagram style al montaggio frenetico, dagli espedienti narrativi come il cliffhanger alle scelte musicali. Alla fine però la vera forza di Smetto quando voglio è la banda. Abbozzati nel primo capitolo e poi via via sempre più approfonditi nel tempo, i personaggi sono ciò a cui il pubblico si affeziona e in cui si può riconoscere. Da Pietro Zinni al Murena fino a Mercurio, il villain interpretato da Luigi Lo Cascio (per il quale Sibilia ha dichiarato di essersi ispirato al geometra Luca Calboni, la nemesi di Fantozzi unendolo poi al Joker di Batman), ognuno di loro rappresenta una maschera di una generazione di precari frustrata ma che nonostante tutto non si abbatte e che proprio come in un processo chimico deve reagire alle ingiustizie di un paese in cui la meritocrazia è solo un ideale.

Smetto quando voglio è un vero è proprio esperimento chimico, sotto tutti i punti di vista, dalla costruzione dei personaggi alla contaminazione dei generi, dalla macchina produttiva innovativa alla sponsorizzazione del film. Un processo chimico che ha saputo mischiare sapientemente ogni ingrediente, fino a trovare la formula perfetta.

Smetto quando voglio

Foto di lastampa.it

C’è una sensazione specifica che si prova alla fine di una saga cinematografica. È quel misto di eccitazione e nostalgia che fino ad ora solo il cinema americano è stato in grado di regalarci. Essere riusciti a provare questa stessa sensazione per la prima volta con un film italiano ha quasi dell’incredibile. Solo il tempo potrà dirci quanto una saga come Smetto quando voglio sarà in grado di segnare l’immaginario collettivo del nostro cinema. Per ora la trilogia è stata venduta in Germania, Russia, Cina, Giappone, Australia, mentre in Spagna stanno iniziando le riprese del remake e gli Stati Uniti sono in trattative per farne la versione made in Usa. È nata forse una mitologia? Ai posteri l’ardua sentenza. Di certo l’uscita al cinema di Smetto quando voglio – Ad Honorem ha racchiuso un momento storico, la fine di un’era, la creazione di un piccolo classico. Ed è già nostalgia.

Serafina Pallante