Reverse mentoring e formazione online
«Con un focus specifico sul reverse mentoring ecco spiegata tutta l’importanza di una formazione aziendale solida e coinvolgente.»
Il 49% dei millennial afferma che cambierebbe lavoro volentieri ogni 2 anni. Un’affermazione che risuona come un vero e proprio campanello d’allarme per le aziende. Per evitare turnover poco profittevoli le aziende dovrebbero disporre strategie mirate per aumentare il tasso di fidelizzazione dei giovani talenti. Una delle possibili strategie è quella della formazione aziendale, meglio ancora seguendo la logica del reverse mentoring. I percorsi di formazione infatti hanno molteplici obiettivi: non solo quello di aumentare o consolidare le conoscenze necessarie per mantenere alta la produttività, ma anche quello di far sentire i dipendenti maggiormente coinvolti nei processi aziendali.
Un modello efficace di formazione è quello 10-20-70, il quale prevede che il 10% della formazione sia di tipo tradizionale e quindi i corsi di formazione così come sono sempre stati fatti (Formal learning); il 20% delle conoscenze venga tramandato tramite il confronto e il passaggio dell’esperienza fra colleghi (Social Learning) e, infine, il 70% con l’esperienza sul campo (Experiential Learning). Si sottolinea l’importanza del Social Learning non solo come apprendimento nozionistico ma, anche e soprattutto per altri aspetti quali lo sviluppo delle abilità di leadership, la possibilità di colmare il gap generazionale grazie alla condivisione di prospettive diverse e lo sviluppo di nuove competenze comunicative. Una tecnica di Social Learning è il mentoring che consiste nell’affiancamento di un soggetto con esperienza a una figura più junior, magari appena assunta o comunque con meno esperienza della prima. In particolare, la figura che condivide l’esperienza è detta mentor, quella che apprende è il mentee. Non è solo un passaggio di informazioni: in questo processo il mentor aiuta il mentee a integrarsi nella realtà aziendale.
Cosa è il tutoraggio inverso
Dal momento che l’innovazione degli ultimi decenni ha accelerato l’avvicendarsi delle generazioni, è una situazione comune
trovare 4 generazioni a condividere un unico open space: i Boomer (nati tra il 1945 e il 1965), la Generation X (nata tra il 1965 e il 1980), i Millennial (1980-1997) e la Generazione Z (fino al 2010). Ognuna di queste generazioni è cresciuta in contesti culturali diversi che hanno plasmato il loro modo di fare, di lavorare e di comunicare. Quindi una realtà aziendale che li contenga tutte ha al suo interno una grande ricchezza ma anche una complessità non sempre semplice da gestire.
Per gestire questa convivenza fra generazioni, l’azienda ha a sua disposizione un’interessante arma di integrazione: il reverse mentoring. Al contrario della forma classica di mentoring, nel reverse mentoring il ruolo del mentor è rivestito dalla figura junior, che trasferisce alla figura gerarchicamente più senior (mentee) le sue competenze che, nella maggior parte dei casi sono quelle digitali. Le generazioni dei Millennial e della generazione Z infatti sono nate nel periodo della rivoluzione digital e sono in grado di usare la tecnologia in modo da rendere più efficace un lavoro per il quale la sola competenza non è sufficiente. Inoltre, questa inversione dei ruoli ha il duplice beneficio di affrancare i millennial dallo stereotipo di generazione viziata e priva di motivazione. Il reverse mentoring diventa quindi anche un modo per superare il gap generazionale, coinvolgendo in un progetto comune dipendenti di diverse età e livelli di esperienza.
Come organizzare il tutoraggio inverso
Al pari di altre modalità di formazione, è possibile proporre il programma di reverse mentoring in diverse modalità:
- In presenza: quando mentor e mentee lavorano fisicamente gomito a gomito;
- Online mentoring: modalità in continua evoluzione e sempre più richiesta. È utile in quanto il mentor può caricare su una piattaforma di e-learning, come ad esempio Teleskill Web Academy, i contenuti e il mentee può usufruirne in diversi momenti della giornata. Questa modalità rende indipendenti le figure coinvolte che spesso non riescono a incontrarsi fisicamente a causa degli impegni lavorativi di entrambi;
- Blended mentoring: non una vera e propria terza modalità ma un mix delle due precedenti. Quindi parte del programma di mentoring avverrà in presenza e parte tramite la fruizione di contenuti online.
Gli step da seguire per organizzare un programma di mentoring sono 5:
- Fissare un obiettivo chiaro al quale l’azienda punta con il programma di reverse mentoring: può essere il solo passaggio di nozioni o facilitare l’integrazione e/o la comunicazione, o anche più di uno di questi obiettivi;
- Una volta fissato l’obiettivo si deve procedere con il design del progetto: quante persone saranno coinvolte? Chi sarà coinvolto? Sarà una scelta dall’alto o si accettano candidature spontanee? Come sarà la modalità di fruizione? In presenza/online/blended.
- Fare una selezione dei mentor e dei mentee: selezionare fra le candidature pervenute tramite le risorse umane e/o tramite un form di autocandidatura dei profili che meglio si adattano agli obiettivi prefissati;
- Abbinare i mentor ai mentee secondo una logica sensata cercando di evitare bias subconsci;
- Lanciare il programma e prevedere un programma di monitoraggio tramite il feedback dei partecipanti.
Differenza tra mentoring e reverse mentoring
La differenza principale tra mentoring e reverse mentoring è quella che vede in cattedra il collega con meno anni di anzianità aziendale che, per quanto abbia meno esperienza dei processi interni dell3azienda è in grado di portare valore aggiunto solo per il fatto di essere nato in una epoca in cui la cultura digitale ha letteralmente invaso ogni aspetto della sua vita. Un under 35 non ha bisogno di imparare ad usare le tecnologie, ma si può dire gli venga naturale in quanto ne è immerso da quando è nato. Questa spontaneità gli conferisce una autorità in termini di competenze digitali che, è interesse dell’azienda, vengano diffuse anche alle figure senior.
Vantaggi del mentoring inverso in azienda
Tornando a quanto detto inizialmente rispetto la difficoltà delle aziende di mantenere al loro interno i giovani talenti, si porta ad esempio il caso pratico di Pershings, che, dopo aver lanciato un programma di reverse monitoring ha registrato un tasso di retention di questi ultimi del 97%: un ottimo risultato. Quindi, oltre a tutti i benefici diretti, il passaggio di know-how, una maggiore inclusività generazionale, lo sviluppo di capacità di comunicazione inter-generazionali, il reverse mentoring ha come effetto indiretto quello di aumentare l’engagement delle nuove generazioni e spingerle a rimanere in azienda, permettendo a quest’ultima di mantenere e aumentare la cultura aziendale al suo interno