Ognuno è perfetto
16 Dicembre 2019   •   Cecilia Presutti

Ognuno è perfetto: in arrivo su Rai Uno la fiction che abbatte i pregiudizi

«Dal 16 dicembre, in prima serata, va in onda Ognuno è perfetto, l’attesissima serie TV che fa luce sul mondo della disabilità.»

Parlare di disabilità è come muoversi su un campo minato: bisogna sempre stare attenti a dove si mettono i piedi. Un gioco di equilibrismi delicatissimo, in cui ci si sente perennemente sospesi tra l’imperativo morale dell’obiettività e la paura di risultare indelicati (o – peggio ancora – insensibili). E se l’invitante esca dei facili pietismi è sempre dietro l’angolo, anche il cinismo camuffato da schiettezza è un nemico insidioso dal quale guardarsi bene. Qual è il giusto compromesso tra la stucchevolezza di una retorica melensa farcita di luoghi comuni e la più brutale mancanza di tatto? Difficile a dirsi. La verità è che se siamo qui a chiedercelo, se tutto questo riesce a metterci a disagio, se la disabilità è ancora un argomento “spinoso” per molte persone, c’è qualcosa che non funziona alla base. Forse non se ne parla abbastanza. Forse non nel modo giusto.  Anche per questo Ognuno è perfetto è qualcosa di più di una semplice serie tv.

Ognuno è perfetto

Ognuno è perfetto, attesissima fiction in onda su Rai Uno a partire da lunedì 16 dicembre, diretta da Giacomo Campiotti (già regista di Braccialetti Rossi) e co-prodotta da Rai Fiction e Viola Film, racconta il mondo della disabilità con delicatezza e – al tempo stesso – con ironia e ammirevole sincerità. Nessun filtro, nessuna falsa ipocrisia, nessun inutile tentativo di “indorare la pillola”.

Niente luoghi comuni triti e ritriti. Solo la realtà così com’è, semplice e complessa al tempo stesso. La realtà di ogni giorno, con tutta la mole di problemi, di ostacoli e di bellezza che si porta dietro. Difficile da accettare, a volte, ma più facile da affrontare se lo facciamo insieme agli altri. Perché se nascondersi dietro a un dito non serve a nulla, riconoscere i limiti è il primo fondamentale passo per superarliDai legami famigliari alle relazioni amorose, dal mondo del lavoro alla sessualità, Ognuno è perfetto sceglie l’unico modo davvero efficace per abbattere le barriere: distruggere i pregiudizi. 

La trama

Rick (Gabriele Di Bello) ha ventiquattro anni, la Sindrome di Down e gli stessi desideri della maggior parte dei suoi coetanei: trovare un lavoro “vero e dire per sempre addio al frustrante mondo dei tirocini sottopagati. Suo padre Ivan (Edoardo Leo) ha da poco venduto l’azienda per trascorrere più tempo con il figlio e consentire alla moglie Alessia (Nicole Grimaudo) di riprendere a lavorare. Ivan e Alessia sono due genitori amorevoli e apprensivi, sempre in bilico tra il desiderio di dare al figlio una vita “normale” e la consapevolezza degli ostacoli quotidiani che ciò comporta: un lavoro a tempo pieno, che ha finito per logorare la loro vita di coppia. 

La grande occasione di Rick arriva quando – grazie a un amico e quasi per caso – viene assunto nel reparto packaging dell’Antica Cioccolateria Abrate, piccola azienda torinese fondata da Emma (Piera Degli Esposti) e ora diretta da sua figlia Miriam (Cristiana Capotondi). Il reparto è interamente gestito da un vivace e affiatatissimo team di ragazzi disabili, con i quali il protagonista stringe subito amicizia. È l’inizio di una vera e propria rivoluzione nella vita di Rick, svolta clamorosa e inaspettata che lo catapulta in un contesto lavorativo (e umano) straordinario e che – last but not least – gli regala un nuovo amore. Ma la felicità non è mai scontata e anche la più rosea delle situazioni può subire brusche battute d’arresto: per proteggere il suo rapporto con Tina, Rick dovrà attraversare paesi, oltrepassare frontiere e sfidare pregiudizi, in un incredibile viaggio che cambierà per sempre la vita sua e degli altri protagonisti della serie. 

Intervista al produttore Alessandro Passadore

Durante l’anteprima di Ognuno è perfetto, ho incontrato il produttore della serie TV Alessandro Passadore (Viola Film Srl), il quale mi ha gentilmente concesso un’intervista. Nel ringraziarlo per la disponibilità, riporto con piacere la nostra breve chiacchierata. Credo che le sue risposte contengano spunti interessanti sui quali riflettere.

Immagino che realizzare una fiction di questo tipo abbia messo molti di voi di fronte a una situazione “inedita”. Come e in che misura la particolarità di questa esperienza ha influenzato il vostro lavoro?

«Sì, sicuramente è stata un’esperienza unica e diversa. Ad esempio abbiamo dovuto studiare il modo in cui gestire le riprese e fare più giornate di lavoro rispetto a una fiction normale, proprio perché sapevamo di andare incontro ad alcune difficoltà. La relazione con i ragazzi è stata, personalmente, non complicatissima, perché io da tanto seguo associazioni di vario genere e quindi sono spesso a contatto con la disabilità. Prima di iniziare il lavoro ho però scritto una lettera alla troupe, chiedendo a tutti di essere tranquilli e comprensivi se qualche volta le cose non fossero andate alla perfezione. Spesso il professionista pretende che tutto funzioni, ma in situazioni diverse e un po’ anomale può accadere che non fili tutto liscio. fortunatamente questa cosa è subito stata recepita dalla troupe e non abbiamo mai avuto nessun problema. Anche gli altri attori sono sempre stati molto disponibili nei confronti dei ragazzi».

Qual è il “valore aggiunto” di un’esperienza di questo tipo? 

«Ci sono due livelli: il primo è l’esperienza personale di tutti noi. Trascorrere quattro mesi insieme a dei ragazzi disabili ti aiuta a conoscerli e a relazionarti meglio. C’è poi da dire che i ragazzi con Sindrome di Down sono apertissimi, ti amano, ti abbracciano, vorrebbero stare sempre con te, diventi il loro migliore amico in pochi minuti, perché sono senza freni inibitori in ogni campo e in ogni contesto. Il secondo livello è l’importanza di questa esperienza per loro. Indipendente da quello che poi sarà il successo o non successo della fiction, per questi ragazzi è l’evento della vita e lo sarà per sempre. E quindi ti rendi conto che hai una responsabilità grossa. Io, personalmente, come produttore ho cercato di investire il più possibile su di loro, a livello di tempo, di energie e anche dal punto di vista economico. Per esempio ho affrontato delle spese che per una serie normale non avrei affrontato, perché se lo meritano e volevo dargli il massimo». 

Fin dalle prime puntate la fiction affronta una tematica “spinosa” e troppo spesso ignorata: disabilità e sessualità. Come si potrebbe sensibilizzare la gente e ridurre la disinformazione su questo tema? 

«Quello che noi dobbiamo capire è che loro sono e devono essere perfettamente integrati nella società, fanno parte del nostro tessuto sociale e quindi possono fare tutto: lavorare, viaggiare, ecc. E bisogna metterli nelle condizioni di fare la loro vita indipendente. Se poi questo include anche il sesso, tanto meglio».

Pensi che ci sarà un seguito di qualche tipo nella collaborazione con i ragazzi di Ognuno è perfetto?

«Io spero che ci siano molte altre occasioni di lavorare insieme, non solo una. Mi auguro che lo si possa fare innanzitutto girando una seconda stagione della serie (e quindi mantenere più o meno lo stesso cast, magari ampliato), ma anche trovando nuove storie che possano essere coinvolgenti per il pubblico. Perché alla fine, andando in televisione, devi far amare agli spettatori quello che fai: storie, personaggi, situazioni che siano all’altezza di essere mandate in onda. Giustamente, quando proponi qualcosa alla Rai o ad altri canali, non basta il fatto che sia socialmente bello e utile: dev’essere anche visibilmente appetibile».

Le riprese di Ognuno è perfetto sono state realizzate con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e con il fondamentale contributo dei Fondi europei stanziati dalla Regione Piemonte.

Cecilia Presutti