Met Fibre Ottiche: la sfida di Mattia David
«Il giovane imprenditore guida l’azienda ereditata dal padre, in un settore ancora poco conosciuto in Italia»
Determinazione, ambizione, creatività sono le caratteristiche che contraddistinguono Mattia David, presidente dell’azienda Met Fibre Ottiche. Dalle sue parole e dai suoi occhi traspare tutta la grinta e la voglia di questo giovane imprenditore. Ciò che Mattia David ha fatto in questi anni è stato riorganizzare e dare un tocco di innovazione a quell’azienda di cui inizialmente era solo un dipendente.
Quando ha intrapreso la sua attività?
Ho rilevato l’azienda da mio padre nel 2011 quando lui decise di abbandonare il tutto. Avevo capito che era giunto il momento di proporre nuove idee e portare all’interno una ventata di freschezza e di innovazione. Del resto essere un imprenditore e dunque gestire da solo qualcosa era stato da sempre il mio sogno.
Come mai ha scelto di trattare un materiale particolare come la fibra ottica?
Come dicevo, ho proseguito il lavoro che ha fatto mio padre dagli anni Novanta. In quel periodo la fibra ottica non era molto conosciuta in Italia. In altri paesi, come gli Stati Uniti e la Francia, veniva invece usata comunemente e la si poteva reperire in bobine anche nei supermercati, cosa che ancora attualmente in Italia è impossibile, forse per un ragione prettamente culturale. Il lavoro che ho fatto fino ad ora è stato quello di riformulare il concetto di fibra ottica inserendolo nel settore delle scenografie, portandole a conoscenza della clientela tramite internet e pubblicità mirata.
L’azienda ha risentito della crisi economica in Italia?
L’azienda ha cominciato a risentire della crisi nel 2012 in quanto nel 2011 ancora si portava dietro gli strascichi delle commesse dell’anno precedente. L’arrivo della crisi è stato gestito sia sul piano emotivo e culturale, sia su quello prettamente industriale. Nel primo caso un grande lavoro è stato fatto sulla psicologia aziendale cercando di non abbattersi di fronte al calo delle vendite e della richiesta. A livello industriale si è cominciato a lavorare su nuovi progetti di prototipi di generatori di luce in modo da proporre agli occhi della possibile clientela l’immagine di un’azienda giovane e in grado di non fermarsi di fronte alle difficoltà esterne.
È ancora motivato nel suo lavoro?
Le motivazioni ci devono essere sempre nel campo imprenditoriale altrimenti andremmo tutti a lavorare nei posti statali a stipendio fisso. Queste vanno ricercate sempre dentro se stessi anche se è indubbio che ci siano giorni in cui si crede che la via più semplice sia quella di abbandonare tutto. L’importante però è trovare la spinta per risollevarsi e guardare avanti sia per consolidare progetti presenti sia per costruirne di nuovi. Affronto il mio lavoro con determinazione, sfruttando la mia capacità di problem solving, necessaria per fronteggiare le difficoltà e uscirne vincitori. La mia attività mi permette di trovare sempre nuovi stimoli e mi consente di abbracciare sfide sempre nuove.
Lo Stato italiano contribuisce in qualche modo a sostenere i giovani che decidono di avviare un’attività imprenditoriale come la sua?
Assolutamente no. Purtroppo lo Stato italiano si fa vanto di voler sostenere l’imprenditoria giovanile, ma purtroppo a livello pratico non mantiene le promesse. Alla resa dei conti ciò che ne vien fuori è che l’impresa italiana è gestita da persone incapaci di capire cosa vuol dire fare impresa. Purtroppo lo Stato tende a tarpare le ali ai giovani imprenditori come me che avrebbero voglia di fare, di mettersi in gioco, di circondarsi di persone valide per creare ricchezza in un Paese che purtroppo tiene nella penombra tutti coloro che vorrebbero esprimersi.
Rossana Palazzo