conservatorio san pietro a majella
08 Maggio 2019   •   Sara Giannessi

Conservatorio San Pietro a Majella: da Goldoni alla musica

«Da un’enorme tradizione musicale agli antichi manoscritti di Carlo Goldoni: vita, morte e miracoli del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.»

Se la mia visita a Napoli fosse stata un semplice itinerario turistico, non avrei mai scoperto il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Tra le sue mura sono custoditi secoli di storia. Appena si entra si è accolti dai suoni leggeri e puliti di chi vive quel luogo come un momento di studio ed esercizio. Perché non è solo un conservatorio, ma un luogo dove si vivono arte e letteratura.

Entrare in contatto con tutta la documentazione che mantiene viva la nostra cultura è uno dei pregi di intraprendere un percorso accademico letterario in Italia. La visita al Conservatorio di Napoli era indirizzata alla scoperta e allo studio dei manoscritti delle opere di Carlo Goldoni, compositore e drammaturgo tra i più conosciuti del nostro paese. A farci da guida era il professore di Drammaturgia musicale della Sapienza. Anche da profana, l’entusiasmo di quella condivisione mi hanno permesso di immergermi nell’atmosfera musicale di quella realtà.

[…] raccogliesi oggi nell’antico convento dei PP. Celestini detto di San Pietro a Majella, che posto nel centro della città poco più oltre di Porta Alba, che è nella piazza del Mercatello Giovanni Battista Chiarini nel 1858, nell’aggiornamento delle Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli di Carlo Celano […]

La storia del Conservatorio San Pietro a Majella

Oggi non viene da chiedersi perché a un certo punto si sia sentita la necessità di creare un’istituzione per formare musicisti. In realtà i conservatori nascono come luogo di asilo per orfani e trovatelli, che venivano in questi luoghi istruiti a vari mestieri. È proprio nei conservatori di Napoli che invece si viene a creare questa specializzazione per la formazione di musicisti, pur continuando a prendersi cura dei bambini meno fortunati della città.  Non è un caso che l’edificio del Conservatorio San Pietro a Majella occupi un antico convento.

Il Conservatorio di Napoli, dedicato a San Pietro, è in realtà il risultato di una fusione tra tre conservatori della città, il più antico dei quali risalente al XVI secolo. Al momento della nascita, nei primi decenni dellʹ800 ufficiale di questo conservatorio, Napoli era sotto il dominio francese. A capo dell’istituto venne nominato Giovanni Paisiello, compositore appartenente alla cultura classicità che musicò, tra le altre, anche il Don Chisciotte. Grazie a queste radici così profonde nella storia e nel territorio di Napoli, la biblioteca del conservatorio raccoglie un numero di documenti impressionante. L’archiviazione è iniziata nel 2000, e ha portato alla scoperta di numerosi spartiti, libretti e documenti storici legati alle varie personalità che si sono intrecciate con il conservatorio.

Il museo del Conservatorio

Essendo un’istituzione di questa portata storica, il conservatorio non può certo mancare di una sezione museale, che conserva sia strumenti che ritratti di musicisti più o meno noti al grande pubblico. Gli strumenti sono i più vari: da quelli più classici da orchestra a quelli più storici e ricercati, attribuiti a bottegai d’epoca napoletani o appartenuti a musici illustri, tra i quali spicca sicuramente il pianoforte appartenuto a Wagner.

Di Wagner inoltre è esposto il ritratto, come anche di altri musicisti e compositori di tutta Europa e di tutte le epoche: tra i romantici Chopin, Schubert, Bizet, Liszt, Paganini e Verdi (raffigurato in un ritratto anche in punto di morte); per il Barocco l’italiano Pergolesi; per il classicismo Salieri (più conosciuto come l’antagonista di Mozart nel film Amadeus). Dal forte valore simbolico i ritratti di Paisiello, primo “rettore” del conservatorio, e di Metastasio, padre del melodramma italiano come lo conosciamo oggi, una sintesi tra recitazione e canto, tra teatro e musica. Tra i nomi più noti dei pittori quello di Salvatore Postiglione, romantico napoletano.

Carlo Goldoni a Napoli

Goldoni voleva fare del suo teatro una fedele riproduzione di quanto leggeva nel “libro del mondo. I personaggi delle sue opere sono sempre fortemente caratterizzati, inseriti nel loro contesto sociale, realistici. Esemplare è il caso della Buona figliola, libretto tratto dal novel inglese di Richardson, Pamela. La storia, che è stata poi ripresa anche per lo sceneggiato Elisa di Rivombrosa, racconta dell’amore tra una serva e il nobile padrone di casa. Nella versione di Richardson la virtù della fanciulla basta a garantirle il “lieto fine” e l’ascesa sociale. Goldoni però sa che un simile ribaltamento non sarebbe accettabile nell’Italia del XVIII secolo, quindi assicura l’unione tra i due facendo scoprire le nobili origini della buona figliuola.

Il rapporto tra il compositore della Locandiera e Napoli è un argomento poco studiato. Come sottolineano Antonia Lezza e Anna Scannapieco in un saggio da loro curato, Goldoni non si è mai recato a Napoli. Nondimeno, sono numerosi i drammi ambientati nella città partenopea. D’altronde era nelle grandi città come Venezia, Roma e Napoli che il melodramma ebbe la sua maggiore diffusione. E non c’è quindi da sorprendersi se nel conservatorio San Pietro a Majella di Napoli siano presenti libretti manoscritti di Goldoni, pure se lui non ha mai messo piede nella città. Probabilmente sono stati gli stessi attori o compagnie teatrali a mettere in circolazione i libretti delle varie opere.

I manoscritti conservati al Conservatorio di Napoli

Sfogliare questi documenti, indossando rigorosamente dei guanti per proteggergli dall’usura, permette di addentrarsi maggiormente nel processo creativo delle opere. I manoscritti di Goldoni presenti nella biblioteca del conservatorio portano alcune indicazioni che si sono poi perse nelle trascrizioni. Le dediche scritte sui vari libretti lasciano intuire di più sul destinatario e sul motivo dell’opera. E soprattutto, Goldoni lasciava dei suggerimenti per chi sarebbe andato poi a musicare le sue opere. I personaggi del melodramma sono infatti caratterizzati ognuno da una melodia che simboleggi i tratti principali del loro carattere: se il personaggio è altezzoso (o meglio affettato, per usare il termine dell’epoca), la melodia che canterà avrà sempre toni alti e ampollosi. Sono attenzioni che hanno fatto sì che Goldoni divenisse il nome della drammaturgia italiana. E sono dettagli che possono portare anche i “non addetti ai lavori” ad avvicinarsi al mondo teatrale con un occhio più attento e sensibile.

Il quartiere del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli

Il Conservatorio San Pietro a Majella si trova nel crocevia più storico e caratteristico di Napoli. Per raggiungerlo si può scendere alla fermata Dante della metro. Nel raggio di neanche un kilometro, si incontra la pizzeria Sorbillo, Spaccanapoli e la Cattedrale di San Gennaro.

La pizzeria Gino e Totò Sorbillo è una delle istituzioni della città. L’esplosione di una bomba nel gennaio di quest’anno non ha allontanato i proprietari dalla loro attività di pizzettari della tradizione. Accanto alla pizzeria più classica, si trova un locale più stretto, una sorta di fast food napoletano, in cui vengono fritti a ritmi da catena di montaggio i calzoni ripieni emblematici della bontà e della ricchezza della cucina napoletana.

Preparazione a vista del calzone ripieno della pizzeria Sorbillo

Spaccanapoli è l’immagine da cartolina di Napoli: una via dritta che procede ininterrotta dalla cima della città fino al mare. Procedendo in salita verso est si trova il punto panoramico da cui scattare la foto immancabile per una gita a Napoli. La Cattedrale di San Gennaro custodisce la reliquia del patrono della città, il famoso sangue che a ogni ricorrenza della festa del santo ridiventa liquido. Il come ciò sia possibile è uno di quei misteri a cui nessuno in realtà vuole trovare risposta. Conoscere una città è impossibile, ma cercarne musei e istituzioni che ne custodiscono l’identità artistica permette di  costruire un legame di appartenenza che permetta di sentirsi più partecipi della nostra cultura.

Sara Giannessi