Fuocoammare
16 Febbraio 2017   •   Snap Italy

Ecco svelato il film italiano cadidato agli Oscar 2017

«Il prossimo 26 febbraio sul palco degli Oscar 2017 sarà presente anche il film di Gianfranco Rosi, Fuocoammare, in corsa per la statuetta come Miglior Documentario»

«Questo film può vincere l’Oscar. Farò di tutto perchè sia portato negli USA».

Pare proprio che Meryl Streep abbia portato fortuna. La grande attrice americana, in veste di presidente di giuria al Festival del Cinema di Berlino, aveva così elogiato il film di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’Oro proprio nel 2016. Quasi preannunciando la candidatura, Meryl Streep ci aveva visto giusto: Fuocoammare è infatti uno dei cinque film in corsa per contendersi la statuetta come Miglior Documentario agli Oscar 2017. Il film di Rosi si era già avvicinato ad essere candidato all’Oscar, anche se in un’altra categoria: era infatti uno dei sette film proposti dall’Italia per la candidatura a Miglior Film Straniero (qui il nostro articolo). Purtroppo nessuno dei film selezionati è stato scelto dall’Academy, ma per Fuocoammare è arrivato presto il riscatto, e la tragedia dei migranti nel Mediterraneo arriverà comunque Oltreoceano. Una scelta molto più sensata per un film che è si un ibrido di generi, ma che esprime il meglio del suo potenziale se visto come un documentario, dal momento che l’argomento trattato non può definirsi affatto di finzione.

L’annuncio su Twitter delle candidature

Inutile dire che la nomination di un film italiano agli Oscar è sempre un grande orgoglio e una grande gioia per il nostro cinema. Dopo la vittoria della Grande bellezza agli Oscar 2014, l’Italia è tornata a sperare nei grandi riconoscimenti, e la rinascita cinematografica nostrana ci dimostra che abbiamo tutte le carte in regola per sfidare i grandi titoli stranieri. La soddisfazione è ancora maggiore quando a rappresentare il nostro paese è un documentario che porta alla luce il problema dell’emergenza rifugiati, un tema difficile ma che mai come ora è necessario raccontare. Al momento dell’annuncio dei candidati, lo scorso 26 gennaio, il regista Gianfranco Rosi si trovava in Giappone per promuovere il film: «alla notizia della candidatura ho avuto un brivido» ha dichiarato il regista, «aver portato Lampedusa ad Hollywood è una cosa bellissima».

Per festeggiare il regista italiano nato in Eritrea ha fatto anche di più. «Se il film otterrà la nomination, farò l’uomo-sandwich in strada con la locandina». Detto fatto: il regista ha mantenuto la promessa e si è quindi presentato con locandina e volantini per le strade di Tokyo, intento a fare auto-promozione del film.

Foto di La Repubblica

Lo abbiamo già definito come uno dei migliori film italiani del 2016: ora cerchiamo di capire perchè il film di Gianfranco Rosi merita l’ambita statuetta.

Parlare di emergenza rifugiati è sempre complesso, soprattutto se si considerano i recenti avvenimenti politici mondiali. L’odio, il razzismo e il pregiudizio sono i grandi ostacoli che bisogna superare e per chi si propone di raccontare queste storie, il rischio di banalizzare o di risultare retorici è sempre dietro l’angolo. Gianfranco Rosi sceglie invece di percorrere una strada diversa e costruisce un documentario che racconta non solo la tragedia umanitaria dei morti in mare e nelle stive, ma anche la quotidianeità di quei luoghi protagonisti degli sbarchi. In Fuocoammare è infatti l’isola di Lampedusa ad essere protagonista, una terra più vicina alla costa africana che a quella siciliana, luogo di quell’incontro non sempre facile tra culture diverse. Rosi evita di confezionare un documentario sullo stile delle inchieste giornalistiche, ma al contrario si immerge profondamente nel territorio cercando di testimoniare dall’interno la tragedia e allo stesso tempo la normalità dell’isola simbolo del confine più remoto d’Europa. Il regista si è infatti trasferito per più di un anno a Lampedusa, proprio per poter raccontare in modo onesto le vite di chi sull’isola ci abita da sempre e di chi invece ci arriva per miracolo.

Il film infatti parla di due storie diverse, quella degli abitanti dell’isola e delle loro abitudini e quella degli sbarchi dei migranti, due storie che raramente s’intrecciano se non per la figura di Pietro Bartolo, un medico locale che da trent’anni si occupa di curare gli sbarcati o di constatarene la morte. Da un lato quindi assistiamo al dramma delle tragedie in mare, l’arrivo dei profughi dopo un viaggio disumano, le morti nelle stive, l’eroismo dell’accoglienza e la vita nei centri di primo soccorso, mentre dall’altro la quotidianità di una radio locale che passa canzoni popolari, il lavoro della pesca, i gesti delle casalinghe dell’isola, la giornata di un bambino. Un bambino, Samuele, che è il volto principale del film. Figlio di pescatori ma sofferente di mal di mare, appassionato di giochi di terra come il tirare con la fionda, e con un occhio pigro che lo costringe a portare una benda, Samuele vive la sua vita quasi ignaro di ciò che succede nella sua isola, quella Lampedusa che nonostante sia l’approdo di migliaia di migranti da oltre trent’anni riesce a mantenere una separazione netta tra inferno e civiltà. Una civiltà che vacilla grazie alle immagini forti che Rosi ci mostra e che ci costringono a fare i conti con un dramma che vorremmo non dover vedere. Mantenendo uno stile quasi neutro e mai sensazionalistico, Rosi riesce a mostrare due realtà uguali ma viste da due punti di vista diversi, frammenti di vita staccati tra loro ed uniti in un unico racconto solo grazie al montaggio.

La candidatura di Fuocoammare è un grande onore per l’Italia ed un’ipotetica vittoria agli Oscar serebbe importante non solo per il prestigio, ma anche perché, attraverso il film, la tragedia dei rifugiati finirebbe sotto i riflettori e nel periodo che stiamo vivendo è un evento da auspicare. L’intera Hollywood si è schierata contro le politiche presidenziali americane che tutti conosciamo e la serata degli Oscar si preannuncia come un momento di aperta contestazione: far vincere un film come Fuocoammare potrebbe essere un messaggio chiaro di accoglienza e accettazione, e l’Italia, ed in particolare Lampedusa, in questo può dare una lezione a tutto il mondo.

Ora non resta che aspettare la notte del 26 febbraio. L’opera italiana dovrà vedersela con altri quattro documentari, I am not your negro di Raoul Peck, Life animated di Roger Ross Williams, O.J.: Made in America di Ezra Edelman e 13th di Ava DuVernay. L’appuntamento è al Dolby Theatre di Los Angeles con l’89ª edizione della cerimonia dei premi cinematografici più importanti del mondo. Tra gli ospiti della serata ci sarà anche Meryl Streep: speriamo che porti di nuovo fortuna.

Serafina Pallante