13 Agosto 2019   •   Sara Giannessi

Frank Holliday a Roma: un’esperienza da museo

«Se vi chiedessero chi è Frank Holliday, o cosa dipinge, probabilmente nella vostra mente comparirebbe un grande punto interrogativo, facendovi pensare che siccome non lo conoscete non ha senso andare alla mostra. L’ho pensato anche io… Ma mi sbagliavo!»

Il messaggio si esaurirebbe in un consiglio: dedicare qualche ora di un pomeriggio estivo all’arte di Frank Holliday. Il mio intento in questo articolo non sarà “trasmettere nozioni” ma incuriosire. Giustamente però vorrete sapere perché proprio questo pittore tra tanti e soprattutto chi è, specialmente chi non è di Roma e per quanto incuriosito non potrà visitare la mostra.

Alla prima domanda la risposta in realtà è poco soddisfacente: qualsiasi mostra di qualsiasi artista ha da offrire le stesse potenzialità di questa. Il gradimento no, non è altrettanto assicurato. Ma l’importante rimane sempre educarsi ad aprire lo sguardo e soprattutto cercare il proprio in un contesto collettivo.

Chi è Frank Holliday

Frank Holliday è un pittore americano, ha conosciuto Andy Warhol e il mondo dell’East Village newyorkese, quartiere di Manhattan avanguardia del movimento hippie degli anni ’60. Frank Holliday oggi è un signore di poco più di sessanta anni. Dai suoi dipinti si evince che ha maturato ed elaborato questa cultura di colori e impulsività,  sintetizzati però in un discorso più ampio e personale. È un pittore che, come molti artisti, apprezza l’Italia. A volte vorrei non essere nata in Italia solo per poterla guardare con gli occhi di uno straniero. Frank Holliday passa lunghi periodi a Roma, periodi in cui si divide tra la pittura e l’osservazione delle opere di grandi artisti italiani come Caravaggio, che si possono contemplare in questi scorci pittoreschi e disponibili per tutti. È un’immagine molto suggestiva, si pensa quasi che non esistano più queste vite artistiche al giorno d’oggi.

La mostra

Prima di tutto le informazioni di servizio. La mostra rimarrà a Roma fino al 13 ottobre. Le opere sono ospitate nel Museo Carlo Bilotti, nella verde e fresca location di Villa Borghese. Museo che conserva anche molte opere di Giorgio de Chirico, essendo stato Bilotti un’influente personalità nel mondo dell’arte degli anni sessanta, settante e ottanta (il museo conserva infatti foto di Bilotti con Lichtenstein, Warhol e altri). Ulteriore incentivo, il museo è a ingresso gratuito. Fa parte infatti di un gruppo di musei del comune di Roma a cui è possibile accedere sempre gratuitamente. Anche questa è una scoperta interessante a cui dedicherò un articolo la prossima settimana.

Frank Holliday

Tutte queste informazioni le ho raccolte semplicemente leggendo i pannelli informativi della mostra. Non so se per deformazione personale o sociale, sono abituata a pensare che abbia senso andare alle mostre di ciò che già si è studiato, per ri-conoscere appunto realtà che altrimenti rimarrebbero fogli di libri. Con questa mostra si è risvegliata in me la consapevolezza che questi sono momenti di scoperta. Tempo fa “Robinson” aveva pubblicato un articolo in cui si sfatava il mito del dover arrivare alle mostre informati. Non c’è un modo giusto di fruire la mostra, se d’arte ancora meno. I curatori possono indirizzare, quello è il loro compito di “guide” all’interno di un mondo che loro conoscono e lo spettatore probabilmente no. Ma poi sta a ognuno scegliere lo sguardo con cui osservare e conoscere.

Le opere

Frank Holliday è considerato un esponente del neo-espressionismo. Le sue tele variano tra l’enorme e di “medie dimensioni”. E sono pieni di colori. Le pennellate sono evidenti. Non ci sono simboli da ricercare o significati. Solo emozioni, se ne suscitano. Ma dietro ogni tela è evidente la presenza dell’uomo, la sua volontà espressiva, forse unica motivazione dietro ogni gesto. E viene da chiedersi cosa guidi i nostri gesti più impulsivi, se ci sia sempre un’emozione o un pensiero razionale o se a volte non ci sia completa assenza di tutto.

Frank Holliday, Dayafter

Ho osservato i visitatori della mostra. Ognuno guardava secondo il proprio istinto. Chi si fermava su ogni quadro. O chi camminava finché non ne trovava uno che lo colpiva. Oppure ancora chi si metteva lontano per cogliere tutto l’insieme. Chi molto vicino per scovare colori ricoperti.

Il museo è un luogo isolante, racchiude l’esperienza in uno spazio staccato da qualsiasi altra esperienza. Eppure ha creato un contatto. Tra lo spettatore e l’autore. Tra due momenti dell’esistenza di due persone che probabilmente non si incontreranno mai ma che hanno avuto davanti lo stesso oggetto concreto. E soprattutto tra i visitatori, che sono stati educati, inconsapevolmente, a condividere uno spazio senza che nessuno dovesse rinunciare al proprio punto di vista.

Sara Giannessi