Conversation Designer
07 Ottobre 2021   •   Cecilia Presutti

Conversation Designer: ecco come si da’ voce a un chatbot

«Dare voce a un chatbot in quattro step: ruoli e responsabilità di una nuova fondamentale figura digitale: il Conversation Designer

Si chiamano sistemi intelligenti, ma nessuna tecnologia sarebbe in grado di funzionare senza il supporto dell’essere umano. Questo è il segreto che si cela dietro agli assistenti virtuali, tecnologie dotate di intelligenza artificiale che parlano la lingua degli umani per aiutarci a gestire gli acquisti nel carrello, ricercare le informazioni di cui abbiamo bisogno su un sito web o compilare in automatico i form per richiedere assistenza. Tutte azioni che una macchina non riuscirebbe mai a fare da sola.  Come fa allora un chatbot a comprendere la nostra lingua e a rispondere come farebbe un essere umano? La risposta è semplice: dietro ogni sistema virtuale c’è il minuzioso lavoro dei Conversation Designer, veri e propri architetti delle conversazioni virtuali che cercano di fornire, appunto, una voce il più umana possibile all’agente conversazionale.

Conversation Designer

Conversation Designer: chi è e cosa fa

Alla base di qualsiasi interazione o conversazione c’è la capacità di comprendere senza ambiguità e di rispondere in modo coerente al proprio interlocutore. La comunicazione tra umani e chatbot non fa differenza. Un chatbot comprende i messaggi grazie alle tecnologie NLU che analizzano e interpretano il linguaggio naturale usando complessi algoritmi di machine learning. «I Conversation Designer sono proprio quelle figure specializzate nella costruzione di flussi conversazionali che devono essere il più naturali e fluidi possibile», spiega Andrea Gabrielli, founder della startup Heres.ai  specializzata nello sviluppo di agenti conversazionali. «In qualità di linguisti computazionali, si occupano del training degli algoritmi, alimentati con set di possibili domande, chiamate tecnicamente User Says, che la macchina utilizza  come esempi da seguire per fornire le risposte corrette all’utente – continua Andrea Gabrielli -. Ai Conversation Designer è affidata la gestione della componente NLU di un chatbot, ovvero l’elaborazione degli input che arrivano al sistema per permettere al chatbot di comprendere le richieste degli utenti, e la progettazione dei flussi conversazionali, ovvero la mappatura delle domande, delle risposte e delle informazioni che compongono il perimetro di argomenti e che ogni utente potrà trovare nella chat di conversazione quando chiederà di parlare con il chatbot». 

Il flusso conversazionale, infatti, è raccolto nel database del chatbot, che attinge a quelle informazioni per selezionare la risposta più rilevante e pertinente, così da risolvere in breve tempo la segnalazione della persona che ne fa richiesta. Queste risposte, oltre a cercare di essere più “naturali” possibili a livello conversazionale, devono anche essere facilmente reperibili attraverso percorsi guidati o domande spontanee, per questo all’interno di molti chatbot vengono integrati dei suggerimenti automatici o dei bottoni per guidare l’utente a trovare più facilmente la soluzione al suo problema. Per fare tutto questo, però, le interfacce conversazionali hanno bisogno di una voce, una personalità e una consapevolezza del contesto simili a quelle umane. Ecco che intervengono i Conversation Designer, specializzati per individuare tali caratteristiche in modo da creare una Customer Experience personalizzata, coinvolgente e unica per ogni tipo di richiesta a cui il chatbot dovrà rispondere. Vediamo come lavora il team di  Conversation Designer di Heres.ai nello sviluppo di un chatbot e quali sono le responsabilità che deve assumersi per costruire una conversazione virtuale che rispetti le aspettative degli utenti.

1) Capire le esigenze del Cliente

La prima fondamentale competenza nello sviluppo dei progetti è senz’altro quella di calarsi nel contesto specifico del Cliente per capirne a fondo le esigenze e trovare la soluzione conversazionale più adatta. Nelle prime fasi infatti l’approccio utilizzato del team di Heres.ai è molto simile a un progetto di User Experience: si coinvolge il cliente in un Assessment Interview allo scopo di individuare le criticità dell’assistenza assistenza attuale, gli obiettivi che si vogliono raggiungere con l’inserimento di un chatbot e  il target di utenti che lo utilizzerà. Dal briefing, il team  analizza i bisogni emersi, la knowledge base già presente sui touchpoint del Cliente e tutti i materiali utili alla costruzione del flusso comunicativo. Tutto questo lavoro iniziale è proprio quello che contraddistingue gli agenti conversazionali Enterprise dai cosiddetti “Do it your self, ovvero chatbot “no code” dove al Cliente è richiesto un grande sforzo di creazione di domande e risposte senza possibilità di grandi personalizzazioni nei task che il chatbot deve eseguire.

2) Capire le esigenze dell’utente

Cosa vuol dire dare una voce a un chatbot? Significa curarne la componente comunicativa, cioè fornire all’utente la risposta che cerca, coinvolgendolo in un dialogo piacevole e scorrevole. Il team di Conversation Designer di Heres.ai, specializzato nella costruzione di agenti conversazionali personalizzati e proattivi, ha individuato tre passaggi fondamentali nella costruzione di un agente conversazionale di successo: comprendere cosa chiede l’utente, guidarlo verso la giusta risposta e personalizzare l’esperienza finale. Come in ogni conversazione che si rispetti, il primo principio da rispettare è quello del saper ascoltare e, soprattutto, comprendere di cosa si sta parlando.

Anche nei sistemi virtuali, infatti, capire le esigenze degli utenti è di primaria importanza se si vuole che il proprio chatbot abbia successo. Ma individuare l’intento corretto dell’utente, non è un compito semplice. Questo perché, sebbene le tecnologie NLU (Natural Language Understanding) possono effettuare un’analisi semantica, sintattica, fonetica e morfologica degli enunciati scritti e orali, il passaggio da comprensione a pragmatica rimane una vera sfida. Poiché le lingue umane sono formalmente complesse e altamente dipendenti dal contesto, una richiesta può essere espressa in così tanti modi diversi e ambigui che spesso è piuttosto improbabile riuscire a mapparli tutti, anche per l’essere umano. I Conversation Designer, tuttavia, cercano di trovare delle somiglianze replicabili all’infinito (chiamati pattern) nelle richieste degli utenti e di alimentare gli algoritmi di NLU con esempi che possano aiutarli ad associare una precisa richiesta a una determinata risposta. Per farlo possono essere necessarie diverse azioni da parte del Conversation Designer, come quello di concentrarsi di più su uno o un altro dei livelli di analisi linguistica, di utilizzare una piattaforma di NLU proprietaria o, come nel caso di Heres.ai, di affidarsi a uno o più motori linguistici tra i più conosciuti come Google Dialogflow.

3) Guidare l’utente nella conversazione

La seconda fase della pianificazione di una conversazione è la progettazione dei flussi che guideranno l’utente verso tutte le risposte presenti nella knowledge base. Per cominciare, il Conversation Designer ha il compito di costruire la conversazione attraverso due modalità: creando risposte semplici o workflow di risposta profondi multi step e parametrici alle domande spontanee dell’utente e guidandolo lungo percorsi specifici con suggerimenti automatici e bottoni a scelta multipla. La combinazione di questi metodi in una stessa conversazione garantisce una migliore esperienza conversazionale. Ecco che, in questa fase, i Conversation Designer pianificano dei percorsi strutturati ad albero sulla base di un’attenta analisi del dominio e degli argomenti specifici gestiti dal chatbot. Possono inoltre personalizzare queste risposte sulla base di fattori esterni, quali la pagina del sito in cui ci si trova o il momento del giorno o dell’anno, e altri fattori come le anagrafiche e abitudini dell’utente, la lingua, l’età, il numero di ordini o di acquisti frequenti. E se il chatbot non capisce subito l’intento dell’utente? I Conversation Designer hanno pensato anche a questo prevedendo percorsi di routing delle conversazioni personalizzati per guidare l’utente scalando a un secondo livello di assistenza umano.

4) Rendere unica la personalità del chatbot e l’esperienza finale

Meglio un assistente automatico formale o informale? Serio o spiritoso? Rispettoso o ironico? L’utente preferirà un linguaggio forbito e altisonante o uno slang semplice e diretto? Un chatbot dovrebbe fornire soluzioni concise e pragmatiche o intrattenere con battute di spirito ed estrosi giri di parole? Il tone of voice di un agente conversazionale dipende naturalmente in larga parte dal brand coinvolto e dal target di utenti a cui ci si rivolge. Fondamentale è la capacità di dotare il chatbot di una personalità vicina a quella del brand: il chatbot è infatti in prima linea nella relazione con i clienti del brand presentandosi come assistente di primo livello sui touch point dedicati del Cliente. Scrivere le conversazioni di un chatbot non significa, però, solo far sì che la grammatica sia corretta, il tono appropriato e la scelta lessicale accurata, ma anche giocare con le parole, con gli standard culturali e con la conoscenza condivisa, affinché le risposte del chatbot sembrino il più naturali possibili per dare all’utente un’esperienza conversazionale unica e personalizzata.

Conversation Designer

Ma qual è il miglior modo di lavorare per un Conversation Designer?

La verità è che non esiste una UX conversazionale perfetta, ma solo Conversation Designer perfettamente flessibili che sappiano modellare un chatbot sulle esigenze dei clienti e degli utenti finali. Quella del Conversation Designer, inoltre, è una figura nata solo da qualche anno, per cui l’unica vera regola per diventare un professionista delle conversazioni virtuali è provare e riprovare, imparando dall’esperienza e dai feedback degli utenti, al fine di individuare la user experience più soddisfacente.

Foto copertina: heres.ai