viaggio a palermo
18 Giugno 2018   •   Carolina Attanasio

Viaggio a Palermo e dintorni, ventiquattrore da siciliani

«Ogni scusa è buona per un viaggio a Palermo, anche quando – come me – avete i minuti contati. Nella terra in cui nessuno ha fretta, ventiquattrore forse non bastano, ma fanno contento comunque l’occhio del buon viaggiatore»

Il vero viaggio a Palermo, alla scoperta della Sicilia quella vera, inizia già prima di arrivarci, quando all’aeroporto aspetto il mio volo per oltre un’ora e mezza, imprecando educatamente nella fila di sfigati che, non importa quanto c’è da aspettare, stanno lì in piedi come zombie, stalkerando con lo sguardo il desk d’imbarco, nell’attesa che qualcuno si materializzi e ci faccia la cortesia di spedirci in Sicilia. In preda a una fame cosmica scorgo la pista d’atterraggio e, man mano che ci avviciniamo, ho sempre più chiaro come dev’essere planare direttamente sull’acqua: l’aeroporto è una pista a sfioro sull’acqua, poco male, se proprio ti schianti almeno è in un mare da paradiso.

Premetto subito due cose: per quei pochi che non lo sapessero, Palermo quest’anno è Capitale della Cultura e ospita Manifesta, la biennale di arte contemporanea europea. Fabrizio è la mia guida per questo viaggio a Palermo, che definire mordi e fuggi è un eufemismo: per cause di forza maggiore ci resto solo ventiquattrore, che per comodità di lettura andremo a riassumere così come segue.

Tarda mattinata/ora di pranzo

La possiamo riassumere così. Fabrizio mi catapulta dall’aeroporto in centro città, per il nostro piccolo tour dobbiamo aspettare un’altra persona e nel frattempo che fai, non mangi? Da qui a trovarmi con un panino ca’ meusa in una mano e uno con panelle e patate è un attimo: il primo, come gli appassionati ci potranno insegnare, è il classico street food palermitano a base di milza e altri organi che non starò qui a ripetervi (o forse sì, vegetariani guardate altrove). Non c’è bisogno di essere Hannibal Lecter per concludere che è b-u-o-n-o, e pure il pane e panelle non scherza, dentro c’è una schiacciata a base di farina di ceci e delle crocchette di patate, così, perché esagerare col cibo è una roba per professionisti. A detta di Fabrizio, non potevamo mangiarli che da Testagrossa. Prova hardcore sul cibo superata, vengo benedetta da qualche minchia buttato qua e là e sono degna di passare la giornata con dei siculi doc.

Primo pomeriggio

Senza caffé non andiamo da nessuna parte, adempiuto pure questo sacrificio facciamo subito una bella deviazione verso Monreale, borgo appena fuori Palermo, distante un niente ma che in giorni feriali – a detta dei locals – può richiedere fino a 50 minuti per essere raggiunto, incluse imprecazioni e caldo afoso che ulula pesantemente attraverso i finestrini. Per fortuna è domenica e ci sono 30 gradi, il che vuol dire due cose: metà della gente è a fare pennica dopo pranzo, l’altra metà è in spiaggia dal giorno di Pasquetta e non è ancora ritornata. Dunque la suddetta Monreale noi la raggiungiamo nel tempo record di 8 minuti, che valgono tutto il viaggio. La Cattedrale è bella da fuori e assolutamente, meravigliosamente, assurdamente bella dentro, un mosaico d’oro di stampo normanno che vi farà cascare la mascella a terra, parola di scout. Il re dei Normanni, Guglielmo il buono, secondo la leggenda la costruisce dopo essersi addormentato sotto un carrubo e aver sognato la Madonna che gli indicava che, proprio in quel luogo, era nascosto un grande tesoro: ovviamente il nostro caro Re lo trova davvero, e per devozione istituisce questo tempio delle meraviglie. La piazzetta circostante, così come il dedalo di stradine adiacenti, pullulano di ristorantini, piccoli bar e venditori di abiti da mare, ordinati e bianchi come quelli che vedreste se foste a Positano. Si dice che chi va a Palermo e non va a Monreale, parte asino e torna animale. Fate vobis, io vi ho avvisato.

Pomeriggio

Il nostro viaggio a Palermo continua rientrando in città, carichi di meraviglie e, chissà come, affamati di nuovo. Con la promessa del gelato più buono di Palermo, varchiamo le mura e, subito a destra, ci ritroviamo il Palazzo dei Normanni, ora sede di varie istituzioni, ma soprattutto esempio lampante di come lo stile normanno della città abbia perdurato nei secoli, a dispetto di tutte le altre dominazioni siciliane e di quel gran casino architettonico che è stato il Medioevo. Ridendo e scherzando, è la più antica residenza reale d’Europa e Patrimonio dell’Umantà Unesco. A cinque minuti a piedi, la vista si apre su quella bella cartolina che è la Cattedrale di Palermo, ornata di palme e somigliante più a una fortezza che non a una chiesa, anche lei normanna e Patrimonio Unesco: all’interno, le spoglie di Santa Rosalia, non nominatela con troppe “r” che poi i palermitani ci restano male. Misteriosamente a pagamento, trovate anche le spoglie di quel gran signore di Federico II e famiglia. Daniele, cugino di Fabrizio, qui entra in scivolata a farmi notare i segni musulmani sulle colonne esterne della Cattedrale, simbolo delle tante vicissitudini di cui sopra. Dal giardino arabeggiante scivoliamo lungo i vicoli disordinati del centro città, dove normalmente si tiene il mercato,  mentre oggi le signore oziano sedute agli angoli delle case, forse la parte più palermitana della città. Mentre mi guardo intorno cercando le differenze con Napoli, mi ritrovo all’angolo di un’altra meraviglia, il Teatro Massimo e qui vanno dette due cose, oltre all’immensa storia che trovate qui: è il teatro più grande d’Italia (il terzo in Europa) e sulla sua facciata trovate scritto il mantra della vita “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. Ebbri di questa lezione di vita, ci meritiamo una briosche col gelato, e c’è da stare sazi fino oltre l’ora di cena.

Sera

La serata passa velocemente tra il lungomare e un salto, tardo ma obbligatorio, alla spiaggia di Mondello, che di sera ha quel sapore un po’ così, anni ’80, con tutte quelle cabine ordinatamente disposte, casa dei palermitani di giorno e  nascondiglio degli amanti di notte. La mattina dopo un bus mi porta dall’altra parte della Sicilia, ma questo viaggio a Palermo, breve ma intenso, mi ricorda quella sensazione che avevo da ragazzina, quando l’estate non finiva mai e il caldo era il giusto contorno alle serate infinite e ai silenzi della domenica, bagnati dal rumore del mare.

Carolina Attanasio