07 Luglio 2020   •   Carolina Attanasio

Turismo esperienziale: il boom ai tempi del Covid-19

«Questa sarà l’estate del turismo esperienziale, non per moda ma per necessità. Piccola guida per capire cos’è e come distinguerlo dal turismo tout court»

Chi di voi ha mai fatto turismo esperienziale alzi la mano. Tutti, almeno una volta, scommetto. Viaggiare è, in sé, un’esperienza, e a meno che non siate sotto l’effetto di poderosi calmanti  (da quando Conte ha usato “poderosi”, questo è l’unico aggettivo che mi viene in mente per descrivere qualsiasi cosa), sicuramente avrete vissuto momenti che hanno segnato in modo indelebile il vostro viaggio. Quelle sono esperienze, certo, ma allora perché si parla tanto di turismo esperienziale? Forse quelle che abbiamo vissuto sono esperienze a metà?

Il turismo esperienziale, una definizione

La sempre santa Treccani definisce l’esperienza come una “Forma di conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso e la pratica, di una determinata sfera della realtà

Ci sono 4 paroline che ci interessano, qui: conoscenza, osservazione, uso e pratica. Le prime due sono riconducibili a quello che noi definiremmo comunemente esperienza, quando viaggiamo. Sono invece le seconde due a definire davvero la sottile linea del turismo esperienziale: uso e pratica. Appropriarci di un contesto, non solo osservandolo, ma usandolo, praticandolo, ci porta davvero dentro l’esperienza. Ed eccoci arrivati ai giorni nostri.

turismo esperienziale

La drastica modifica delle nostre abitudini

L’avvento del Covid-19, ormai lo sappiamo, ha ridefinito buona parte delle nostre abitudini, tanto da spingerci a domandarci se il modo in cui abbiamo sempre fatto le cose, in fondo, sia quello giusto. Questo vale per ogni ambito della nostra vita, pubblica e privata. Ha cambiato il modo in cui lavoriamo, e a tanti di noi sta bene. Ha ridefinito il nostro rapporto con l’ambiente, per cui adesso ci pensiamo due volte anche prima di uccidere un insetto. Ha modificato i nostri consumi, perché quello che compri in quarantena non lo dimentichi più. Ha cambiato il modo in cui pensiamo al viaggio: non più di quantità, ma di qualità.

turismo esperienziale

Turismo esperienziale, come lo facciamo?

Ed ecco che torna in scivolata il turismo esperienziale: vogliamo fare meno, ma meglio, e meglio implica marchiarci a fuoco nella mente quello che andiamo a fare. L’unico modo per ottenere questo risultato è vivere il viaggio, anziché osservarlo soltanto. Vogliamo intrecciare i cesti col vecchietto in riva al mare, preparare insieme all’esperto del posto il piatto locale, rompere il ghiaccio con gli sconosciuti, sapere tutto del mare dove ci stiamo bagnando, accettare il rischio di correre un piccolo pericolo solo per superare la nostra comfort zone. Vogliamo farlo, possibilmente, lontano dagli altri, in piccoli gruppi al massimo. Un po’ perché di questi tempi non si sa mai, un po’ perché – diciamocelo – se la quarantena ci ha insegnato qualcosa, è stato apprezzare le piccole cose, anche la solitudine, e starcene come ebeti in mezzo a una quantità di altre persone non ci va più.

E quindi, dove andiamo?

Guardate, la questione è facile: come ci siamo detti altre volte, sarà un’estate italiana. La pubblicità che le regioni italiane, normalmente, riservavano ai grandi stand nelle fiere internazionali, per attrarre stranieri, quest’anno sono tutte rivolte a noi. La Sicilia spende non so quanto per rifarsi il logo (uguale a quello della Puglia, tra l’altro), l’Umbria ci ricorda che è il cuore verde d’Italia, l’Abruzzo si supera dicendoci che “vivere d’istanti è naturale”.

Il Trentino fa un botto clamoroso con uno spot più che provocatorio, le Marche ci avevano preso già prima del lockdown con uno spot su quanto sia bello pedalare da quelle parti.

Io sono andata a fare trekking su una montagna dietro casa che non avrei mai pensato di scalare a piedi, ed è stato stupendo. Voi, che farete?

Carolina Attanasio