Hyst
18 Dicembre 2018   •   Cecilia Gaudenzi

Hyst ci racconta la magia di essere “Unicorni”

«Unicorni è il nuovo singolo di Hyst che dà seguito alla pubblicazione di una serie di inediti inaugurata questa estate con Korea del nord. Noi ne abbiamo approfittato per intervistarlo!»

Unicorni è l’ultimo singolo di Hyst (Facebook, IG), uscito da pochissimo, sulla scia di un anno denso di impegni e nuove produzioni. Questo singolo segue una serie di inediti inaugurati con Korea del nord e come dice Hyst:

«Parla della sensazione di essere unici e speciali, quasi magici… la stessa che si provava quando, da adolescenti, si sentiva di essere staccati dal mondo e dalle sue brutture, quando aderendo a un movimento di persone prescelte si puntava a cambiare il mondo. Ci si sentiva rari (ed altrettanto importanti) come unicorni».

Hyst appare come un’entità a sé e con Unicorni grida il suo “pacato dolore” per l’impossibilità di riconoscersi nei suoi simili dell’habitat che lo circonda. Definire Hyst, catalogarlo è praticamente impossibile, è un artista che fa della versatilità la sua caratteristica principale. Musicista, attore, rapper (scopri chi sono gli altri rapper italiani), cantante, disegnatore di story board, regista. Si chiama Taiyo Yamanouchi ed è nato a Roma il 4 luglio 1975 da mamma italiana e papà giapponese.

Il lavoro in tv e come attore occupa una parte molto importante della sua carriera: ha partecipato alla miniserie Ultimo con Raul Bova, condotto il programma comico Tintoria con Belen Rodriguez ma il suo curriculum cine-televisivo è molto più vasto. Questo nuovo singolo è uscito a ridosso della messa in onda di un episodio della serie RAI L’ispettore Coliandro, diretta dai Manetti Bros in cui Hyst è protagonista. Lo street video di Unicorni, non a caso, è stato girato a Tokyo durante le riprese di alcune scene della serie. Di origine giapponese, Hyst, in televisione e al cinema, è uno degli attori italiani di seconda generazione più attivi e rappresentativi, tanto da aver preso parte a più di un incontro sul tema dell’integrazione.

Come abbiamo già detto Hyst sta attraversando una fase creativa molto produttiva: nel 2018 ha già pubblicato quattro singoli, un repack digitale di brani editi e sta preparando un nuovo lavoro che uscirà nel 2019 e si intitolerà Urban Sensei. La curiosità sale e così lo abbiamo intervistato per voi.

Intervista a Hyst

Ciao Hyst! Come stai? In questo 2018 non ti stai fermando un attimo, un lavoro dopo l’altro… Parlaci di Unicorni, il tuo nuovo singolo. Che vuol dire essere unicorni, essere unici in tempi come questo, sotto pressione della moda comune?

Vuol dire esseri soli e in pericolo. Soli perché non esistono “comunità” per unicorni, o circoli arci ecc… non esiste una consapevolezza di questa condizione. Oggi tutti gli “artisti” sono serenamente inseriti nel meccanismo di self branding richiesto dal mercato, sono pochi persino quelli che tentano di farne un uso strumentale.

Insomma è difficile essere “Unicorni”?

Molto. Quasi impossibile. Il mercato, il mondo dei professionisti, tende a eliminare le figure che non si adeguano, forse nemmeno con cattiveria ma semplicemente perché non aderiscono, sono “fuori dai giochi”. E se sei fuori da ogni mercato muori di fame.

Tu quando ti ci sei sentito “Unicorno” o hai capito di esserlo?

Mi sono sempre sentito “magico” ma ce ne sono tante di persone magiche là fuori. La differenza è che io ho sentito che questa magia era l’unica arma per combattere il virus dell’individualismo e del materialismo che infetta il pianeta. La consapevolezza è arrivata quando ho capito di essere persino in pericolo, e sicuramente in via d’estinzione.

Musicista, attore, rapper, cantante, disegnatore. Che altro manca? La versatilità è il tuo punto forte… ma come fai a gestire tutto?

Mi manca tutto il resto. Come gestisco tutto? Non lo gestisco. Altrimenti sarei ricco sfondato. Le cose fluiscono in modo piuttosto incontrollato e sicuramente non pianificato. Di conseguenza non sono mai riuscito a pubblicizzare bene ogni cosa che faccio. La verità è che rispondo a impulsi che nascono da una “missione interiore” come un animale che lotta per sopravvivere. Se riuscissi a rendere le mie mosse più lucide e organizzate vorrebbe dire che starei elevando questi sforzi a guerra. E mi auguro di riuscirci al più presto.

Da quale di queste declinazioni artistiche hai cominciato?

Dal disegno. Il disegno e l’invenzione di storie sono state la prima manifestazione. Da bambino ritagliavo pezzi di fumetti, costruivo pagine di storie e disegnavo tutto quello che mancava per completare il quadro. Poi le raccontavo a mio padre, che ha ancora qualche cassetta da qualche parte con la mia voce a 4 anni che faccio storytelling per ore. Credo tutto sommato che la vera differenza tra me e una persona “normale” sia che io non ho mai accettato di dover smettere di giocare. E trovo molto fastidioso quando dicono “hai tenuto in vita il bambino che è dentro di te”. È come dire che quello che faccio ora ha un valore infantile. Io invece credo che il mio spirito di uomo assoluto, senza età, si stesse esprimendo allora e oggi nello stesso modo. Con lo stesso identico bisogno. Esplorare la realtà, conoscerla, “scientizzarla”, migliorarla.

Immagino che ognuna ti faccia provare emozioni diverse…

Purtroppo ti devo dare torto. Le emozioni e le motivazioni sono identiche e trasversali a tutte le discipline.

Come nutri la tua creatività?

È lei che nutre me. Posso stare in studio a lavorare per dieci ore senza bere o mangiare. È evidente che il corpo in questo gioco è solo uno strumento.

Metà italiano e metà giapponese. Quanto contano le tue origini nel processo creativo?

Non sarei prono a cercare discriminanti genetiche di norma, credo più nel peso della cultura d’origine. E mio padre, che rappresentala la parte orientale della famiglia, è un creatore, uno studioso e un lavoratore inarrestabile. Quindi se lui è “il Giappone” che c’è in me senz‘altro mi ha trasmesso quelle caratteristiche.

Cosa rappresenta per te l’Italia?

L’Italia è una mamma, anziana, con una storia incredibile che mi racconta in innumerevoli aneddoti, ma che purtroppo non ci sta più con la testa. Ha l’alzheimer e fa confusione. E soprattutto si lascia abbindolare da venditori di parole che le entrano in casa, la maltrattano e la derubano. Provo pena per lei, ma le ho chiesto mille volte di darmi retta, di lasciarmi stare dentro casa per proteggerla e lei mi ha sempre rifiutato. Quindi sono costretto controvoglia a lasciarla al suo destino.

Ti abbiamo da poco visto in tv, protagonista di una puntata de L’ispettore Coliandro. Come è stato recitare in questa serie?

Uno spasso. Avevo già lavorato con i Manetti Bros in passato e Coliandro è una della serie migliori della tv italiana, non fosse altro che per il divertimento interno con cui viene realizzata.

La prima volta che hai rappato?

A 16 anni, con la mia prima band. Ero al liceo e gli altri erano universitari che cercavano un rimpiazzo per il cantante/compositore. Trasformai una band fusion in un gruppo crossover/ trip hop.

Da musicista e rapper, cosa ne pensi della trap in Italia, sta snaturando il genere o è una sua evoluzione?

È evidentemente un’evoluzione. O una diramazione, se preferisci. Non importa molto. Alla fine la trap è un pacchetto di suoni su certi BPM, se ne può fare ogni uso immaginabile, come mi sembra di aver dimostrato facilmente con OMG e Unicorni. Il trend di superficialità e idiozia che impera oggi non è dovuto ai BPM, ai synth o all’autotune. È dovuto a un momento culturale/storico/sociale in cui la prospettiva di lavoro di un o una quindicenne è fare l’influencer, in cui un operaio di origini pugliesi sceglie di votare lega pensando che essa abbia a cuore i suoi interessi, è Trump vs Putin mentre la Cina si mangia tutto, è un movimento “femminista” rappresentato da Asia Argento e Oprah che fa un discorso su Hollywood come se non fosse una delle cape della situa e i giornali il giorno dopo titolano “Oprah runs for president”, è “l’uno vale uno” dei 5stelle, è il decreto sicurezza che produrrà più clandestini ma con lo stesso numero di immigrati. È la risposta “e allora il PD?” a ogni cazzo di osservazione… Figurati cosa cazzo c’entra l’autotune.

La trap va in Giappone?

Certo, anche lì.

Sei molto attivo sulla scena rap romana. Come la vedi oggi, dai big storici alle nuove leve?

Vivo a Milano da 10 anni ormai. Ho dato il sangue per Roma e Roma non mi ha mai nemmeno voluto bene. Sappiate questo di me, io non sono e non sarò mai profeta in patria. Io non ho patria.

Il rap è di famiglia, infatti tuo fratello minore è Jesto! (per chi non lo sapesse)… avete coltivato insieme la passione per il genere o semplice casualità?

Io facevo già rap e graffiti quando Jesto iniziava a costruire la sua identità. Probabilmente, vedendomi fare certe cose, ha sentito che potevano essere uno strumento per esprimersi. Cosa che era necessario facesse, visti i risultati.

Progetti futuri?

Uncinetto… Sto per girare una web serie dal titolo Helikon, che uscirà a febbraio/marzo prossimi, vorrei lavorare a un concept album anche se ho pronti 5/6 singoli più mezzo disco acustico solo chitarra e voce. Poi ho 25 tavole di un fumetto che prima o poi vorrò finalizzare, forse con un crowdfunding. Ti dico, se pensi che nel 2018 sono stato attivo è solo perché non hai mai visto un mio secondo round.

Cecilia Gaudenzi