città del futuro
29 Dicembre 2020   •   Carolina Attanasio

Città del futuro, l’Italia riparte da Genova

«È nei momenti più difficili che le migliori idee per l’avvenire si fanno avanti: è il caso delle città del futuro, una serie di progetti e idee per ripensare radicalmente il modo in cui viviamo lo spazio urbano»

C’erano una volta le città ideali, centri urbani concepiti come fantastiche utopie a partire dal XV secolo, a rappresentare il rapporto tra urbanistica, funzionalità  e umanesimo. Città del futuro geometricamente pensate per creare una tensione ideale, filosofica, simbolo del medioevo da lasciarsi alle spalle, in funzione di città pensate come centri dell’agire umano. Poche di queste videro davvero la luce: Urbino, Ferrara, Sabbioneta, Pienza e altri pochi centri urbani possono vantarsi di questo titolo oggi.

Se ci pensate, queste città furono il naturale proseguimento di un cammino orientato alla luce, dopo le nebbie medievali. In un certo senso, e senza alcuna pretesa di fare paragoni, oggi siamo al culmine di una fase molto simile. Certo, non stiamo uscendo dall’Inquisizione e dalla caccia alle streghe, ma i tempi che viviamo sono decisamente interessanti, e il 2020 ha dato il colpo definitivo all’urgenza di ripensare radicalmente i nostri comportamenti. Tra questi, anche il modo in cui viviamo e usiamo gli spazi urbani.

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Città del futuro, i principi: all’inizio, era la periferia italiana

Chiunque di voi viva in un centro urbano abbastanza grande, sa bene cosa sia una periferia: nella migliore delle ipotesi, è un non-luogo grigio e figlio di un’architettura disinteressata, un dormitorio erede di una cultura vecchia ormai di decenni, che non contemplava grandi spazi di socialità dopo una giornata di lavoro. I centri storici? Belli, ma congestionati e privati di gran parte del loro fascino, a favore di una mobilità sfacciata e invadente, mista al turismo caotico e all’indifferenza per le piccole cose. Risultato: ore nel traffico da pendolari, figli di città in cui non si ha tempo neanche per capire davvero dove si vive. Ora, alzi la mano chi non hai mai imprecato per questo.

Città figlie di una pandemia

Di quanto ci fosse da dire su inquinamento, stile di vita, sostenibilità e responsabilità civile dallo scorso marzo, è già stato scritto. La domanda è: quanto ci vuole ad andare dalle parole ai fatti e in che momento quella che era una richiesta di pochi diventa il bisogno reale di un’intera collettività? Chiunque sia andato in smart working ha ricominciato a vivere, per quanto ha potuto, il proprio quartiere o il proprio paese, e improvvisamente la prospettiva di avere la vita a pochi minuti di distanza da casa è parsa la cosa più bella del mondo. Si è iniziato a parlare della “città dei 15 minuti”, dove ogni servizio essenziale si trova a non più di un quarto d’ora dalla propria abitazione. L’idea, pre-Covid, è di Carlos Moreno, professore alla Sorbona di Parigi: avvicinare i servizi e lo svago ai cittadini, invece di catapultarli in luoghi sterili e raggiungibili solo con mezzi inquinanti. Quartieri centrali e periferici diventerebbero delle piccole isole in cui gli abitanti trovano tutto quello che serve, progettato in modo sostenibile.

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La città del futuro contro i disagi

Paradossalmente, è stato nell’anno più difficile che ci siamo riappropriati dello spazio e di noi stessi (i più fortunati). Stanche di invecchiare in qualche coda, molte persone vedono di buon occhio un ripensamento radicale degli spazi urbani: molte città si sono svuotate (New York ha perso trecentomila famiglie, andate via), altre hanno dato il via a progetti basati sulla prossimità: Parigi sta provando ad attuare la teoria di Moreno, Melbourne ha varato il piano twenty minutes neighborhood, Copenhagen ha inaugurato il quartiere five minutes to everything. La battaglia per il futuro è iniziata.

E in Italia?

Il primo nome sulla lista è quello di Genova. Il progetto si chiama la città dei due chilometri e punta ad accorciare le distanze e gli spostamenti green. Un’idea, anche questa, precedente alla pandemia di Coronavirus (2018), che prevede un restyling che parte dall’Hennebique (lo storico silos-granaio della città) e colleghi il fronte mare di Levante con piste ciclabili e mobilità elettrica. La città del futuro genovese è finita anche su Forbes, elogiata per l’intraprendenza di un progetto che guarda pragmaticamente al futuro. L’utopia non è mai stata così vicina.

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Carolina Attanasio