baikonur earth
13 Aprile 2019   •   Redazione

Baikonur, Earth: un sogno polveroso tra Terra e Cielo

«“Ground Control to Major Tom”, Centro di Controllo a Maggiore Tom: così cantava David Bowie nella sua Space Oddity. Certamente se avesse visto Baikonur, Earth di Andrea Sorini alla proiezione di sabato 6 Aprile u.s. presso il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma – avrebbe avuto uno spunto di ispirazione in più nella realizzazione del suo 45 giri.»

Baikonur, Earth era stato pensato in principio come un film di finzione sulle vicende interstellari della cagnolina Laika. Il cosmodromo appartenuto all’URSS e oggi amministrato dalla Russia, aveva però da subito colpito Andrea Sorini, tanto da spingerlo a trarre un documentario sul centro aerospaziale, geolocalizzato nel cuore del Kazakistan. Scritto dallo stesso Sorini e da Eliseo Acanfora, Baikonur, Earth è stato prodotto da Claudio Esposito e Andrea Gori, rispettivamente di The Piranesi Experience e Lumen Films, nonché da Rai Cinema ed in partnership con Il Saggiatore. Vincitore della sezione Prospettive al Filmmaker Festival di Milano, è stato invitato in premiere al Vancouver International Film Festival.

Da sempre c’è stata la necessità di raccontare, per elaborare, interpretare, comprendere la propria esistenza, per spiegare i fatti alla luce delle circostanze e conferire loro senso e significato. Il desiderio di mettersi in discussione con nuove sfide appassionanti è stato, senza dubbio, la rampa di lancio che ha indotto tutta la troupe ad iniziare questa avventura cosmica.


Baikonur è ciò che appare, che si materializza sotto i nostri occhi, che è osservabile attraverso i sensi, ma rappresenta anche un qualcosa al di fuori dell’ordinario. È un viaggio visivamente surreale, con il quale si è cercato di dare allo spettatore un’esperienza sensoriale ed emotiva: poche parole, ma suoni ed immagini contrastanti, che offrono all’utente la possibilità di vivere in forma quasi polisensoriale l’intero documentario, interagendo mentalmente e scoprendo la potenza dei propri mezzi sensibili.

Baikonur, Earth:  un percorso incentrato sulla cultura non banale della ricercatezza

Scoperta: è proprio questo il termine intorno al quale gira tutto il fulcro del docufilm. Un viaggio che tocca la sfera extrasensoriale, lasciando liberi gli spettatori di interpretare il mondo proiettato sullo schermo e, in contemporanea, di addentrarsi in luoghi mai visti per consentirgli di ispezionare la parte più profonda non solo della steppa sterminata, della base spaziale o delle distese di Aral, ma anche del proprio essere nella più intima accezione. Si crede che non sia possibile riconoscere il mondo per come è in sé stessi, ma unicamente per come si manifesta ai nostri occhi. L’universo indossa i panni di un puro fenomeno ed è proiezione di una realtà che si rivela solo in relazione a coloro che la percepiscono e nel modo attraverso cui la percepiscono.

Baikonur, Earth (2018) || Opening Titles from The Piranesi Experience on Vimeo.

C’è la tendenza in ogni bambino di nascondersi in un mondo immaginario, metafisico e ultraterreno, così come di guardare il cielo e cercare di immaginare il cosmo nella sua interezza, di raggiungere un Iperuranio fantastico, di trovare un posto magico dove evadere senza essere inghiottiti dalla noia, dove stare per un pò in bilico e lontani dal mondo. Con Baikonur, Sorini è riuscito a portare i sogni di bambino sul grande schermo.

Attraverso Baikonur, Earth si è voluto raccontare il tepore e la profondità della Terra e l’urlo del supremo Tengri, il Dio del cielo blu. Luoghi lontani dal caos, in cui si usa sempre la parola azzurro per indicare il cielo, dove si può ascoltare il silenzio e stare da soli con se stessi. Posti che colpiscono per le enormi differenze sociali, antropologiche e spirituali, in un paese crocevia tra russi, kazaki, turchi e uzbeki.

Guardando Baikonur, Earth bisognerebbe solo godere delle immagini e delle emozioni che suscita in noi, anche se la comprensione del senso o del messaggio può apparire arcana ad un pubblico non del tutto avvezzo a questo tipo di visione. Indirizzare il proprio cammino in un sogno polveroso, verso il posto migliore per scoprire la risposta, mettere da parte la dimensione temporale e abbandonarsi ad immagini spaziali e futuristiche, quasi a voler ritornare bambini sognando rotte interstellari, sono senza dubbio i consigli da dare a chiunque si appresti alla visione del documentario, al fine di lasciarsi trasportare da visioni oniriche immaginando misteri futuri e risolvibili.

Nuova comunicazione

Baikonur, Earth si configura come un trattato moderno di comunicazione visiva: bisogna saper vedere e le immagini di questo racconto fatto di contrasti inducono lo spettatore a volgere lo sguardo oltre il visibile. La fotografia del documentario guida visivamente lo spettatore tra i risvolti più misteriosi: dagli enormi cancelli, simbolicamente intesi come passaggi spirituali intrisi di profonde ispirazioni e posizionati in mezzo al nulla, ai cimiteri islamici, alle ex residenze sovietiche, ai paesaggi ripresi con il drone. Tutti simboli in nome dei quali l’uomo guarda al cielo in cerca di una risposta più elevata, meno materialista, ai propri interrogativi.


Notevole la bravura di far sentire lo spettatore come se fosse con la troupe a toccare con mano le mucche ad una fermata abbandonata, lì e proprio in quel momento. Le immagini oniriche di Baikonur, Earth hanno in loro una forza demolitrice di strutture temporali, come una dimensione a sé stante in cui tutto è possibile, anche prevedere il futuro e consegnarlo alle nuove generazioni per far sì che queste lo prendano tra le mani e lo facciano proprio, spiccando il volo verso universi sconosciuti, raggiungendo le stelle.
Lo spazio ci aiuta a puntare in alto nella vita, e l’auspicio non può che essere per tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del documentario e per coloro i quali si sono fatti avvolgere dalla potenza dalle immagini proiettate di ricercare sempre più tale direzione.

Foto copertina: https://www.imdb.com/title/tt8595774/mediaviewer/rm1526023680

 

Carmen Bagalà