lucca biodinamica
12 Novembre 2018   •   Carolina Attanasio

Lucca Biodinamica, l’humus della Toscana

«Lucca Biodinamica è più di un’associazione che manda avanti l’agricoltura in equilibrio con dell’ecosistema, è un manipolo di veri creativi che ogni giorno, con modestia e pragmatismo, esalta la migliore qualità dell’Italia: l’unicità della produzione locale»

La prima cosa che scopro su Saverio Petrilli, Presidente di Lucca Biodinamica, è che è cilentano come me. Faccio uno sforzo per non farmelo stare simpatico più di quanto già non mi stia, ma la sua voce euforica non fa che mettermi di buonumore, mentre al telefono mi racconta la serie di eventi che ha portato a Lucca Biodinamica, a quanto siano importanti l’humus e la creatività contadina, che è conseguenza diretta della variabilità della natura. Lontano dal chiasso del Chianti e di tante aree straconosciute della Toscana, nella campagna lucchese si consuma ormai da qualche anno il miracolo del biodinamico, portato avanti da gente che non si riempie la bocca di belle promesse, perché è troppo occupata a renderle realtà. Seguiteci in questo viaggio.

Perché l’esigenza di una Lucca Biodinamica?

Perché a Lucca, tutti me lo chiedono! Ogni volta do una motivazione diversa. Lucca è una città abbastanza tranquilla, con un ottimo rapporto con la campagna, consapevole della qualità dei buoni prodotti del proprio territorio. Anche le aziende non agricole sono di piccole dimensioni, per cui il rapporto con la terra è sempre molto forte. Quando nel resto della Toscana era diffuso il feudalesimo, qui la proprietà era più spezzettata e tutti avevano la necessità di mangiare, quindi la fertilità e la cura della terra erano fondamentali. Sensibilità è anche umiltà, riconoscere ad esempio che il tuo vicino fa il vino più buono del tuo richiede un passaggio non indifferente, è difficile trovare persone così. Questo ha fatto sì che ci siamo trovati in Lucca Biodinamica, poi molti di noi non sono neanche originari di Lucca, quindi perché  siamo tutti qui oggi è una risposta che sta più nell’esoterismo che nella pratica, è una serie di fortunati eventi. A questo si unisce il fatto che qui sono tutti molto pratici, gente che si dà da fare.

Cosa è più difficile: mantenere un certo tipo di agricoltura oppure creare una rete collaborativa in Lucca Biodinamica tra potenziali competitor?

Se me l’avessi chiesto nel 2003, prima che ci formassimo, ti avrei detto che non era possibile. Io ho iniziato nel 2001, sono passato dal convenzionale,  dal biologico e so che il biodinamico è molto più efficace. Ho invitato qualche produttore e questi piano piano hanno cominciato, eravamo tre o quattro amici. Già questo era inaspettato, ma quando abbiamo fatto la prima riunione, pensando al primo evento, io non mi aspettavo questa risposta. Abbiamo coinvolto i ristoratori, che bene o male conoscevano le qualità dei prodotti, e questi erano entusiasti! Al primo evento abbiamo tutti tirato fuori cento euro, anche i ristoratori, in più loro portavano il cibo e noi il vino, tutto autofinanziato con entusiasmo. Un anno dopo ho fatto una riunione chiedendo di darci una forma associativa di qualche tipo, ricordo che ero un po’ teso, invece non c’è stato uno e dico uno che abbia detto no, è andata benissimo. La cosa più difficile, al momento, è dare la possibilità ad alcuni agricoltori di veder riconosciuta la qualità dei loro prodotti, mi riferisco a quelli del grano, il cui prezzo non varia in base alla qualità, come succede per vino e altri prodotti, dove hai anche un rapporto più diretto con chi compra. Un’altra difficoltà è la proprietà della terra, che costa troppo, quindi se ci fosse un giovane che vuol fare l’agricoltore o la eredita o non potrà mai comprarla col suo lavoro.

C’è questa tendenza dei giovani a darsi all’agricoltura o all artigianato, secondo te progetti come Lucca Biodinamica possono favorire una generazione di persone più consapevoli?

Lo stiamo facendo. Io in parte ero uno di questi giovani, ho mollato tutto a 17 anni. Ero un cilentano a Milano, avevo altre aspirazioni e ho mollato tutto. Quello che ti dicevo è proprio riferito ai giovani, stiamo cercando soluzioni che permettano loro di avere una terra da coltivare, uno dei nostri soci è proprio una cooperativa che recupera terreni abbandonati per dare lavoro a categorie che ne hanno bisogno, migranti, giovani. A differenza dei quarantenni, che mollano delle carriere per darsi alla terra, noto che i ventenni di oggi sono già disposti a buttarsi, hanno più consapevolezza di questo tipo di lavoro. Hanno più lucidità. Il lavoro dipendente, che era il mito quando io ero giovane, dà dipendenza, che non fa bene.

Quante aziende oggi? Cosa ha in serbo il futuro?

Oggi se non sbaglio sono 15 le aziende agricole che hanno aderito alla rete di riflessione e condivisione avviata nel 2013, facciamo una specie di festa ogni due anni, dovremmo farla l’anno prossimo, dove pianifichiamo il da farsi. Noi di Lucca Biodinamica più che altro reagiamo alle condizioni. Il mestiere dell’agricoltore è particolare, lui non sa cosa farà domani, perché dipende dal tempo. questo porta a una grande creatività. non alla pianificazione. La pianificazione è urbanaL’altra cosa essenziale riguarda il cambiamento climatico, che è una responsabilità degli agricoltori. È chiaro che c’è la cementificazione, l’inquinamento, le strutture come le autostrade o l’alta velocità, che per esempio provoca delle vibrazioni che a lungo andare creano dei dissesti idrogeologici, ma l’effetto più grande è quello dell’agricoltura. un terreno dove è coltivata la fertilità mantiene un livello di humus molto più alto. L’humus trattiene fino a una volta e mezzo il suo peso in acqua e quindi è una banca dell’acqua. un terreno sterile, come la maggior parte di quelli convenzionali, anche molti di quelli biologici, perde humus quindi quando piove l’acqua non viene assorbita ma corre sopra la terra, va a finire tutta insieme nei fiumi e provoca inondazioni, fino a 4 volte in un anno. Nello stesso anno il fiume va in asciutta, anche in posti originariamente molto fertili come la pianura padana – i romani ci sono andati per quello, eh, se no sarebbero rimasti a Capri! Il sistema venoso che manteneva idratati i terreni durante tutto l’anno non c’è più, l’accelerazione dell’acqua ora crea l’accelerazione del clima. Se osservi bene, c’è sia glaciazione che riscaldamento, in un anno piove tantissimo e poi niente. Se ci fosse humus in tutti i terreni, il ciclo dell’acqua rallenterebbe e si potrebbe influenzare lo sviluppo economico. Io non dico che bisogna tornare indietro, se devo prendere un treno per Napoli io uso l’alta velocità, però l’agricoltura può compensare questi aspetti. Quindi forse il futuro dell’agricoltura è la responsabilità.

Carolina Attanasio