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09 Aprile 2018   •   Carolina Attanasio

Visitare Sansepolcro, ventiquattrore mordi e fuggi in Valtiberina

«Una giornata è abbastanza per visitare Sansepolcro? Probabilmente no, io ci ho provato lo stesso, giusto in tempo per innamorarmene»

Per visitare Sansepolcro (sito ufficiale) dovete farvi largo tra le curve morbide di quel lembo di terra in cui Toscana, Umbria e Marche incrociano i loro dialetti. Non ne posso più di stare in città e ci arrivo di sabato pomeriggio, dopo due ore e mezza di treno da Roma, l’aria è più frizzante della cappa umida della capitale, qui marzo parla ancora la lingua dell’inverno. Ad aspettarmi, In veste di cicerone, il mio amico Giacomo, che qui è tornato a vivere dopo anni trascorsi a Roma. Per arrivare a Sansepolcro si entra in Val Tiberina, chiamata così indovinare perché? Qui scorre il corso superiore del Tevere. Con Giacomo partono subito stupide battute su quanto sarebbe più veloce aggiungere Roma su una bacinella, trasportati dal fiume, in stile Romolo e Remo.

Sansepolcro mi accoglie con quell’aria un po’ pigra del sabato, chiusa tra le sue mura nel tentativo di proteggersi dall’ultimo freddo. Quattro porte, una su ciascun lato della cinta: segnano gli ingressi al borgo, fatto di stradine discrete e pietre che il sole illumina di taglio, prima di perdersi nell’ombra di qualche angolo. Le origini di Sansepolcro risalgono, secondo alcuni, al 10º secolo quando Arcano ed Egidio, pellegrini di ritorno dalla Terrasanta, fondarono su queste terre una comunità monastica dedicata al Santo Sepolcro.

Durante i secoli, il borgo ha conosciuto vari ordini monastici e varie Signorie fino a raggiungere, nel 13º secolo, la sua conformazione attuale, con una cinta muraria e una ventina di torri, alcune delle quali non più in piedi. Sulla piazza principale si affaccia lateralmente il Duomo di Sansepolcro, sobrio e semplice come i volti di tante persone che vedo passeggiando; mi sembra che tutto, nell’estetica del borgo, rispecchi in pieno lo spirito di chi ci vive. Anche l’interno della Chiesa è spoglio da ogni orpello, a eccezion fatta per i magnifici dipinti del Perugino e di Raffaellino del Colle, che troneggiano sulle navate laterali, e il Volto Santo, un crocifisso in legno di epoca carolingia. Piazza Torre di Berta, nella domenica delle Palme, pullula di banchetti pieni di prodotti della tradizione, i ragazzini fanno a gara per poterti vendere qualcosa, rincorrendoti e divertendosi tra loro: il nome della piazza è lo stesso della torre medievale che vi ha troneggiato fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando è caduta a causa di un bombardamento tedesco.

Appena al di fuori delle mura, la chiesa di San Francesco e il Santuario di Santa Maria delle Grazie si fanno compagnia da secoli, guardandosi in faccia ogni giorno, custodi al loro interno di piccoli tesori, splendidi nel silenzio che li avvolge la domenica mattina. Tra i milleuno motivi per cui dovreste visitare Sansepolcro, troneggia un solo nome: Piero Della Francesca. Qui il grande pittore ha avuto i suoi natali e qui si trova una delle sue opere più conosciute, simbolo indiscusso del borgo: la Resurrezione di Cristo, recentemente restaurata, illumina la sala principale del Museo Civico, abbagliante nella sua semplicità. Quando giro l’angolo d’ingresso della sala e me lo trovo davanti, incorniciato solo dal semplice intonaco della parete, ho finalmente una visione chiara di come dev’essere quando il karma gira e finalmente giunge il tuo momento di rivalsa sulla vita.

Cristo trionfa con aria severa, reggendo il vessillo della Croce, sui soldati romani addormentati, in un triangolo immaginario di perfezione e gloria divina. Solo dopo qualche minuto mi accorgo che la sua figura divide in due metà esatte il paesaggio sullo sfondo, spoglio e grigio a sinistra, rigoglioso e luminoso a destra, e l’allegoria tra male e bene sta tutta lì.

A pochi passi dal museo, la casa di Piero e il museo Aboca, interamente dedicato alla storia delle erbe medicinali. La giornata si consuma a pochi angoli di strada da queste meraviglie, in un triangolo di localini che concentrano buona parte della movida locale. Tra un drink e l’altro noto un bersaglio appeso al muro e trafitto da frecce grosse come case e Giacomo mi svela l’arcano: ogni seconda domenica di settembre, il borgo ospita il Palio della Balestra e i Giochi della Bandiera. Anno dopo anno, si rinnova la sfida alla città rivale, Gubbio, e i biturgensi (questo il nome degli abitanti di Sansepolcro, nota di Giacomo) vestono i colori di Piero della Francesca.

Forse è proprio settembre il periodo migliore per visitare Sansepolcro: in primis, perché siamo a marzo e si muore ancora di freddo, poi perché – oltre al Palio – a settembre si tiene anche la Biennale di arte orafa e la Biennale del Merletto (scusate, ho dimenticato di dirvi che Sansepolcro è anche casa di una tradizione orafa secolare, stesso dicasi per la trina a spilli). Quando rimetto piede sul treno penso che ventiquattrore non sono abbastanza per visitare Sansepolcro e che la Toscana non smetterà mai di stupirmi. Giacomo lo sa da quando ci è nato, e forse anche per questo ci è tornato.

Carolina Attanasio