29 Giugno 2016   •   Snap Italy

ROVINA Project, il robot-archeologo che arriva dove l’uomo non può

«ROVINA Project è il robot-archeologo che esplora con alta precisione siti archeologici pericolosi all’accesso dell’uomo per poi ricostruirli in realtà virtuale. Per capire meglio come la robotica sta potenziando il campo dell’archeologia abbiamo intervistato Algorithmica, l’azienda italiana che fa capo al progetto»

Esplorare, mappare e digitalizzare il nostro patrimonio culturale è un’attività di grande importanza, perché permette agli studiosi di conoscere nel dettaglio siti di interesse archeologico, riprodurli in modelli virtuali e contribuire alla loro manutenzione nel tempo. Spesso, però, le rilevazioni più importanti vengono fatte in catacombe, cave, bunker e altre rovine sommerse dalla natura o dalle macerie. Luoghi umidi e a rischio crollo in cui l’archeologo, con i suoi strumenti ingombranti, si trova a dover svolgere lavori pericolosi.

Negli ultimi anni lo sviluppo nel campo della robotica ha permesso di risolvere gran parte di questi problemi: nei laboratori di ingegneria informatica sono nati dispositivi leggeri e potenti in grado di sostituire l’attività degli archeologi in siti pericolosi. Tecnologie innovative permettono di analizzare e riprodurre nel dettaglio le più misteriose bellezze del mondo.

In Italia, nell’ambito di un progetto di ricerca europeo è nato quattro anni fa un robot-archeologo costruito per operare autonomamente in luoghi ad alto rischio. Si chiama ROVINA Project (sito web) è dotato di una batteria che resiste anche sei ore e i suoi sensori laser hanno già ricostruito virtualmente due catacombe italiane, quella di Priscilla a Roma e quella di San Gennaro a Napoli.

ROVINA Project ha due obiettivi principali: mettere in gioco tecnologie innovative per il mantenimento del patrimonio culturale che si trova in zone di difficile esplorazione e ricostruire modelli virtuali ad alta precisione di questi luoghi. I robot acquisiscono i dati su cloud e poi permettono agli studiosi di ricostruirli con una grafica coinvolgente e realistica, come quella dei videogiochi.
Questi modelli in 3D potenziano le possibilità di studio per scuole e università, ma sono anche un prezioso strumento a disposizione del turismo: “La maggior parte delle aree archeologiche – spiega Fabio Cottefoglie, uno dei fondatori di Algorithmica –hanno delle aree chiuse al pubblico che spesso sono anche le più belle. Una ricostruzione in realtà virtuale può essere un modo per far vedere siti altrimenti inaccessibili, ma anche una tecnologia per abbattere le barriere architettoniche alle persone che hanno delle disabilità.”
ROVINA Project è un lavoro di sinergia tra sette partner europei: l’azienda italiana Algoritmica, nata nel 2008 da due ex studenti del laboratorio di robotica della Sapienza e ora composta da un team di sei ingegneri informatici e elettronici; ICOMOS, ente di promozione dei beni culturali patrocinato dall’Unesco, e cinque università europee: gli istituti tedeschi di Bonn e Amburgo; La Sapienza di Roma; l’Università di Leuven in Belgio e l’Olanda.
I robot di ROVINA Project, che al momento sono tre, mettono in campo la robotica per rivoluzionare il modo in cui la scuola, l’università e il turismo si approcciano allo studio e alla conoscenza delle bellezze dell’umanità. Siamo stati a fare una chiacchierata con i ragazzi di Algorithmica nel loro luminoso ufficio di Roma, e in sei domande abbiamo provato a capire meglio come funziona ROVINA Project.

Come agisce in pratica il robot, dalla prima esplorazione dell’ambiente fino alla sua riproduzione in realtà virtuale?
Tutto comincia con la prima ricostruzione del luogo da esplorare. Il robot, pilotato remotamente da un operatore, si muove nel sito sotterraneo e attraverso i sensori registra le prime informazioni. Queste vengono inviate al centro di controllo in tempo reale e permettono di interagire da subito con l’ambiente. Ad esempio, se durante l’esplorazione si trova un dettaglio di interesse, come un’epigrafe, si può chiedere al robot di analizzarlo e approfondirne le caratteristiche.
Una volta registrati tutti i dati della prima esplorazione, il robot li carica su un sistema di cloud – l’altra parte del software che abbiamo realizzato con le università partner – a cui accediamo direttamente dall’ufficio e da cui poi tiriamo fuori la ricostruzione parziale del posto esplorato.

A questo punto scatta la fase di elaborazione: i dati delle rilevazioni, ad altissima precisione metrica e semantica, vengono elaborati graficamente su un computer esterno e così si ottiene il modello finale, quello ad alta precisione visualizzabile in realtà virtuale.
La ricostruzione dell’immagine parte dunque da una texture di dati e su questa si lavora fino ad una ricostruzione della realtà molto realistica.

Una volta che è stato sviluppato il modello virtuale, quali sono i suoi possibili campi di applicazione?
Ora i robot si trovano in una fase di studio, che potremmmo definire beta. I pezzi sono facilmente smontabili, aperti alla ricerca e al miglioramento. Una volta che saranno ultimati, la loro applicazione sarà molto vasta; potremmo cominciare da quella accademica: immagina un’università di architettura, o di archeologia, che ha a disposizione un archivio di modelli 3D di siti archeologici. È una cosa che permette di studiare una cava, una tomba o una chiesa difficilmente accessibili in maniera molto più approfondita. Oltre a raccogliere dati metricamente precisi, l’obiettivo è anche quello di esplorare i dettagli semantici di un luogo: ottenere cioè informazioni su epigrafi, decorazioni e altri oggetti d’interesse storico.
Sicuramente, in ambito archeologico interessa il fatto di poter avere un modello virtuale, che è la base per fare previsioni e analisi sullo stato di conservazione di un sito archeologico, ma anche una preziosa memoria per tutti quei monumenti che si stanno deteriorando. In un futuro non troppo lontano potrebbe essere possibile stampare in 3D molti di questi dati.
Poi c’è l’aspetto del turismo. La nostra idea è quella di realizzare tour virtuali sia per incentivare le visite in un determinato luogo, sia per mostrare al pubblico bellezze inaccessibili per motivi di sicurezza o manutenzione, sia addirittura per abbattere le barriere architettoniche alle persone che hanno disabilità.
I luoghi a cui non si può accedere sono anche i più affascinanti: quando facciamo vedere la ricostruzione delle tombe di Priscilla, ad esempio, in pochi si aspettano di trovarci affreschi così particolari.

Qual è il valore aggiunto di ROVINA Project nel campo dell’archeologia? Quali sono i vantaggi principali per gli addetti ai lavori?
I rilievi sono operazioni che vengono fatte da sempre, ma con strumenti e tecniche soprattutto manuali, che per gli archeologi hanno una serie di svantaggi: quando una squadra effettua un rilievo deve andare fisicamente sul luogo, anche se è umido e a rischio crolli o fughe di gas, e poi piazzare con delicatezza sensori molto ingombranti che arrivano a pesare anche a 90 chili.
Normalmente, un monitoraggio senza robot, con laser statici, per analizzare dieci metri impiega una settimana. Con il robot, invece, in due giorni abbiamo fatto tutte le catacombe di San Gennaro.

Nell’ambito di ROVINA Project, voi di Algorithmica siete il partner aziendale, ma il vostro è un lavoro in cui la sinergia con le università è importante. Perché?
ROVINA Project è un consorzio, una collaborazione tra accademia e azienda nell’elaborazione di un prodotto. L’azienda riesce a concretizzarne l’applicazione concreta, mentre le università approfondiscono la ricerca nei suoi aspetti più profondi e rischiosi, in quei campi che non sono mai stati esplorati prima e che senza le università non sarebbe possibile approfondire con facilità.
Quindi, mentre la presenza della ricerca accademica dà una marcia in più allo sviluppo dei software e dei programmi, come quelli che consentono al robot di esplorare in autonomia, il partner aziendale assicura sicurezza al progetto, garantisce che il prodotto sarà utilizzato in ambito commerciale.

Quali sono i riconoscimenti più importanti che avete ricevuto?
Il più importante è stato sicuramente quello ottenuto alla conferenza internazionale Digital Heritage 2015. Abbiamo partecipato con il nostro stand all’esposizione dell’evento per una settimana e mostrato il progetto a una platea di visitatori, tra cui esperti del settore che hanno riconosciuto apertamente il valore del nostro progetto. È una tecnologia innovativa, che è riuscita a mettere insieme cose già esistenti per migliorarle e renderle utili nella risoluzione di problemi reali.
Altro passo importante è stato il premio “Non sprecare 2015”, poi la partecipazione a due edizioni della Maker Faire. Anche qui abbiamo avuto molta attenzione da parte dei visitatori: gli appassionati di robotica vogliono sapere tutto sulla struttura e sulla composizione dei robot; archeologi e architetti si appassionano per le possibilità che ROVINA Project apre ai loro campi di studio.

I siti che avete attualmente esplorato e ricostruito?
Innanzitutto le catacombe di Priscilla a Roma e quelle di San Gennaro a Napoli, che sono stati i primi due lavori di ROVINA Project. Attualmente, poi, noi di Algorithmica siamo stati a fare un rilievo a Cerveteri, al cimitero etrusco, dove la tomba più bella di tutte è chiusa al pubblico e si può vedere solo attraverso un vetro esterno.
Presto andremo a Volterra, dove ci sono importanti testimonianze etrusche, romane e medievali.
Ovviamente, il progetto è di respiro europeo e la sua destinazione non è solo rivolta al patrimonio italiano: l’università di Bonn ha provato il robot in un bunker della Seconda Guerra Mondiale per alcuni esperimenti, e le potenzialità di applicazione ci sono in tutta Europa. Basta pensare a Parigi, dove le catacombe sono moltissime.
Abbiamo intenzione di continuare ad espanderci. I contatti che abbiamo preso, intanto, sono interessanti.

Giulia Capozzi