Qualcuno volò sul nido del cuculo
20 Gennaio 2017   •   Snap Italy

Qualcuno volò sul nido del cuculo: Gassman a teatro

«Qualcuno volò sul nido del cuculo è una lezione d’impegno civile, uno spietato atto di accusa contro i metodi di costrizione adottati all’interno dei manicomi. Un grido di denuncia che scuote le coscienze e che fa riflettere»

Nascosti agli occhi del mondo, sedati dai farmaci, trasformati in zombie dall’elettroshock. Questo è il destino di coloro che non riescono ad adattarsi ai modelli di vita imposti dalla comunità, che rifiutano le regole e danno libero sfogo ai loro istinti. Qualcuno li chiama outsider, altri scarti della società, altri ancora li chiamano pazzi, ma il risultato non cambia. Sono condannati ad una eterna non-vita in una struttura sicura, che gli impedisce di fare del male a se stessi e agli altri, ma non di subire i soprusi di coloro che dovrebbero provvedere al loro benessere. Ed è proprio in un luogo come questo, dove la malattia viene curata con la coercizione, che è ambientato Qualcuno volò sul nido del cuculo, l’opera teatrale diretta da Alessandro Gassmann, che sarà in scena al Teatro Eliseo di Roma dal 10 al 22 gennaio, e che si ispira al romanzo pubblicato da Ken Kesey nel 1962 dopo la sua esperienza come volontario in un ospedale psichiatrico californiano.

La storia vede come protagonista Randle McMurphy, uno sfacciato delinquente che si finge matto per sfuggire alla galera e, rinchiuso in manicomio, porta scompiglio nella vita degli altri pazienti, mostrandogli la bestialità degli infermieri e la strada per la libertà dell’anima. Il racconto di Kesey è agghiacciante, crudele oltre ogni immaginazione, ma talmente grande da adattarsi a qualunque mezzo espressivo senza mai perdere intensità. E non è un caso che dopo aver riscosso un grande successo a Broadway grazie all’adattamento scenico di Dale Wasserman nel 1971 Qualcuno volò sul nido del cuculo sia diventato uno dei film più famosi della storia del cinema, grazie all’impeccabile regia di Miloš Forman e all’interpretazione di Jack Nicholson. Un film che parla la lingua della violenza e del dolore, e che deve il suo successo a una messa in scena tagliente, ma soprattutto all’universalità dei temi trattati, ugualmente brutali, anche se trasposti un altro luogo e in un altro tempo.

Da questo presupposto è partito Alessandro Gassmann che, grazie alla penna di Maurizio de Giovanni, ha rielaborato la drammaturgia di Wasserman e del film di Forman nel qui e ora del teatro contemporaneo, trasferendo la storia dalla California all’Ospedale psichiatrico di Aversa nel 1982, l’anno in cui l’Italia ha vinto i mondiali di calcio. Una scelta che può sembrare azzardata, che mina la sacralità dell’opera originale, ma che allo stesso tempo le dà di nuovo senso. Così l’attaccabrighe Randle McMurphy diventa il più nostrano Dario Danise (Daniele Russo), un pregiudicato partenopeo, che simula una malattia mentale per farsi rinchiudere in manicomio, ed evitare di scontare la sua pena in carcere. Con la sua spavalderia, la sua irriverenza e il suo spirito di ribellione verso le regole che disciplinano la vita nell’ospedale, Dario diventa il peggiore incubo di suor Lucia (Elisabetta Valgoi), l’inflessibile dirigente del reparto, ma allo stesso tempo attira l’attenzione dei pazienti, che in lui vedono la speranza di tornare ad esprimere liberamente le loro emozioni e i loro desideri. Con la sua travolgente carica di umanità Dario risveglia i suoi compagni di sventura dal torpore a cui si erano abbandonati, e mostra loro quanta crudeltà si nasconda nei comportamenti di medici e infermieri, che approfittano della loro vulnerabilità per stordirli e picchiarli con l’illusione di curarli, fino a ridurli a uno stato catatonico, in cui non solo gli è negata la libertà, ma l’umanità stessa.

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Ogni scena è un pugno nello stomaco, una lezione di crudeltà, ma allo stesso tempo una presa di coscienza imprescindibile di una realtà troppo spesso dimenticata o peggio banalizzata nel luogo comune. Scegliendo di portare in scena questo testo, Gassmann si assume la responsabilità della denuncia contro un sistema che appiattisce la diversità con il controllo delle coscienze e addormenta gli animi fino a uno stato di coma collettivo. E lo fa con coraggio, senza temere di fare scelte drammatiche troppo crude. Tutto quello che avviene nell’ospedale di Aversa, accuratamente ricostruito sulla scena, viene portato in scena senza filtri, senza la volontà di edulcorare la realtà. La ribellione, la punizione, la morte e la rinascita, nulla viene risparmiato all’occhio dello spettatore, neanche i sogni che di notte animano le camere buie dei folli e gli riempiono la mente di fantasmi. Per questo Qualcuno volò sul nido del cuculo non è soltanto una richiesta disperata di aiuto, un richiamo alla sensibilità con un elettroshock di violenza, ma sopra ogni altra cosa una profonda dichiarazione d’amore per l’uomo che, anche se afflitto dalle manie più astruse, merita rispetto, amore e compassione, ma soprattutto di tornare a rivedere le stelle e sentirsi finalmente vivo.

Valeria Brucoli