16 Febbraio 2018   •   Carolina Attanasio

Jago, ecco l’uomo che ha spogliato il Papa

«Due chiacchiere con Jago, lo scultore più contemporaneo del suo tempo, social media manager di se stesso e seguace di un unico mantra: avere il coraggio di esprimersi sempre, alla faccia di chi ti dice che non è il tuo momento»

Jago (sito ufficiale) è un fiume in piena. Ciociaro, trentenne, scultore, autodidatta, la sicurezza che ha in se stesso la puoi vedere tutta riflessa nelle sue opere, arcaiche e proiettate nel futuro, vive, puoi sentirle respirare. Ha fatto scalpore, all’epoca, col suo busto che ritraeva Benedetto XVI e che gli è valso l’Onorificenza della Santa Sede Croce Pro Benemerenti: quando Ratzinger si è dimesso, Jago ha “spogliato” l’opera dei paramenti papali, rivelando l’uomo oltre il Pontefice. Da qui, Habemus Hominem, la mostra personale che ha inaugurato il 15 febbraio e che potete visitare fino al 2 aprile, al Museo Carlo Bilotti di Roma. Un viaggio tra le sue opere, fatto di coraggio e umiltà, che non vuol dire umiliarsi, come mi ha spiegato durante la chiacchierata che vi riporto di seguito: prendete nota, perché Jago ci ricorda due o tre cosette che, nella vita, non dovremmo mai dimenticare.

L’arte è coraggio, ti ho sentito affermare. Quanto coraggio ti ci è voluto per arrivare a oggi?
Il coraggio è una cosa che mi è sempre servita e continua a servirmi, non si è estinto, è qualcosa che si rigenera ogni giorno in relazione a quello che faccio. Non è che a un certo punto mi è venuto meno, è sempre lì, mi tiene al mondo. Nessuno ti dà coraggio, te lo dai da solo, è tutto nelle nostre mani. Tutto quello che ho ottenuto è arrivato rimboccandomi le maniche, nessuno l’ha fatto per me. Ho fatto delle scelte, che il più delle volte hanno comportato delle rinunce. Il coraggio all’inizio mi veniva dal desiderio di emulare i grandi Maestri, quelli di cui ci vantiamo all’estero ma che poi a malapena conosciamo. Un Bernini, un Michelangelo – uomini come me e te – che però sono riusciti a fare cose così grandi, radicate nell’immaginario collettivo, perché hanno avuto il coraggio di credere in sé stessi. Questo per me è il coraggio, partire dal gesto di qualcuno per trovare il mio, come un bambino che gioca a calcio e vuole diventare come Totti, che male c’è? Ti dà la carica. Poi capisci che non puoi diventare Totti, puoi diventare te stesso, e sta tutto lì. Io non ho paura di avere coraggio.

Habemus Hominem, un’opera che hai fatto e poi spogliato, ma il Papa (Benedetto XIV) alla fine l’ha vista?
Non te lo so dire, mi è dato sapere che l’opera è nota in Vaticano e ne hanno un’ottima considerazione. Non è un’opera irrisoria, ho la piena consapevolezza di essermi confrontato con un personaggio, un teologo, uno dei pochi che sa parlare e spiegare la spiritualità in maniera semplice e chiara. Lui ha visto l’opera prima che intervenissi nuovamente, mi premiò con la Medaglia del Pontificato. Non so se l’ha vista in seguito alle modifiche, ma so che – dall’alto della sua consapevolezza – ne rimarrebbe piacevolmente stupito e l’accoglierebbe. La forza del mio gesto artistico emerge nel sottolineare come un uomo (Benedetto XVI, ndr) abbia smentito una decisione perfetta (quella del Conclave, che lo elegge in nome di Dio), evidenziando l’aspetto umano della questione. Per me lui, con questo gesto, si è davvero avvicinato agli uomini, da Vicario di Cristo, dimostrandosi ancora più Papa.

La tua Venere è la più umana delle dee, passa attraverso la vita senza finzioni o ritocchi. È così che vedi le donne?
Se una donna è Venere, è Venere sempre. C’è una differenza tra maschio e uomo, tra femmina e donna. Essere uomini e donne si guadagna: essere Venere non ha niente a che vedere con la fierezza estetica del corpo, va oltre, anche quando il corpo decade, puoi comunque essere una Venere. È così che io vedo la donna, non una bellezza da copertina, ma una bellezza che va oltre, un po’ come i Fori imperiali a Roma, così belli e decadenti. Il corpo della Roma di oggi porta su di sé le cicatrici dei tempi che furono, ma mantiene intatto il suo fascino. Così è la mia Venere, decadente nel corpo ma non nei contenuti. In mostra ci sarà di tutto, un Papa che non è un Papa, che guarda una Venere che non è una Venere, e io, Jago, e voi, siamo nel mezzo.

In italia se non sei vecchio non sei nessuno, tu sei chiaramente l’emblema di quelli a cui questa realtà va stretta, Jago cosa si sente di consigliare ai giovani per prendere in mano il loro futuro?
Io me ne frego di tutto quello che dicono, totalmente. Io lavoro sui contenuti, collaboro con dei giovanissimi, che in altri contesti non avrebbero voce in capitolo, invece con me partecipano alle decisioni, perché hanno l’entusiasmo. Facendo così, non dai una possibilità a loro, ma a te stesso. Mi trovo a lavorare anche con persone di una certa età, che non producono nulla, perché sono scocciate, perché hanno già fatto esperienza, non hanno ottenuto risultati, vivono in modo frustrato perché non sono riusciti in quello che volevano. Questo non vale per tutti, chiaramente, Maria Teresa Benedetti (curatrice della mostra, ndr), è più pura di un bambino, per esempio. Se hai i contenuti, nessuno può obiettare su quello che fai. Io mi faccio il culo, come diceva Bernini «nelle mie sculture cago sangue». O fai le cose con abnegazione o niente, non riuscirai mai. Io ho fatto esperienza di due tipologie di persone, quelli che fanno e quelli che si lamentano. Se vuoi ottenere risultati, devi fare e non aver paura di imporre le nostre idee. Possiamo rispettare le opinioni degli altri, ma dobbiamo essere consapevoli del nostro valore: mi dicono sempre che non sono umile perché mi prendo delle libertà e alla gente questo non piace, vorrebbero ridimensionarti per portarti al loro livello, vorrebbero sottometterti umiliandoti. Umile è una cosa, umiliato è un’altra. Il mio consiglio è siate umili, ma non umiliatevi.

In un’intervista hai dichiarato: «immagina se Michelangelo avesse potuto caricare su facebook un video in time lapse della realizzazione del David». Secondo te quanto del tuo successo è dettato dall’utilizzo – ottimo – che fai dei social?
Se ci pensi, Michelangelo era un comunicatore, come Leonardo, come Bernini. Utilizzavano i mezzi del loro tempo, e lo stesso avrebbero fatto oggi. Erano avanguardisti, inventavano nuovi modi di fare le cose. La mia era un po’ una frecciatina sul fatto che gli artisti oggi non realizzano più le loro opere, questa per me è una cosa vergognosa, usano solo la testa, ma non le mani e il cuore e si definiscono artisti. Ma se io e te abbiamo entrambi un’idea, qual è la discriminante tra noi due? È il fatto di riuscire a trasformare la nostra idea in forma, questo è essere artisti. Per questo uso i social e faccio dei video mentre realizzo le mie opere, così la gente capisce che non mando a fare le cose in Cina, il mio è un lavoro artigianale, come uno Stradivari, suonerà sempre diverso. È questo che bisogna recuperare, l’idea dell’eccellenza. Io voglio fare cose belle, punto. Poche cose, di un certo tipo. Per i social, io non dimentico mai che dall’altra parte ci sono persone vere, è importante riuscire a comunicare con loro dei contenuti che vadano oltre le parole.

Quello che fai sembra venire dal futuro e allo stesso tempo è arcaico, primordiale. Forse sono i materiali che utilizzi, ma sospetto che dentro Jago ci sia qualcosa di veramente antico e anche un forte sguardo verso un futuro lontano, mi sbaglio?
Io vivo oggi, però so per certo che c’è una forma di tramando in quello che facciamo, siamo un’espressione di un passato che si rinnova nei nostri gesti, belli o brutti. Nel mio lavoro uso i mezzi del tempo che vivo e sono proiettato nel futuro, ogni cosa che faccio porta con sé il seme di un frutto che ancora non conosco. Le mie opere sono tutte collegate, ma solo oggi capisco il senso vero delle cose che ho fatto in passato. La Venere, ad esempio, l’ho realizzata in base alla percezione di oggi, ma solo domani potrò capirne il vero significato.

L’opera che avresti voluto fare e quella che non hai ancora fatto.
Dato che faccio tutto da solo, forse nella mia vita non riuscirò a realizzare tutto quello a cui penso, ma forse è meglio così. Non voglio più fare cose perché qualcuno mi ha detto di farle, tutto quello che ho fatto fin’ora è quello che volevo e intendo continuare così.

Carolina Attanasio