handmade
15 Maggio 2020   •   Carlotta Giuliano

Handmade, un album per raccontare il rock fatto a mano dei The Toulalan

«Ve lo anticipiamo, la novità in casa The Toulalan è scottante e ha un nome: Handmade. Dieci tracce che compongono un’uscita programmatica, il loro primo album, una playlist di rock artigianale distribuita su tutte le principali piattaforme digitali di streaming musicale.»

Quattro anni e tanta musica dopo, Snap Italy rincontra i The Toulalan in occasione di un lieto, lietissimo evento: l’uscita dell’album d’esordio, Handmade. Avevamo chiacchierato con il gruppo romano in occasione del loro concerto presso il Distretto Zerobarrato, dove ci avevano raccontato che tutto nacque da un’idea del cantante Simone Laurentini, ex frontman dei Five Way Cross. Dopo il loro scioglimento, e qualche altra sperimentazione, nel 2016 Laurentini, accompagnato dal batterista Luca Ceccarelli, dal chitarrista Michele Passeri e dal bassista Dario Amadei, decise di dare vita a un progetto che virasse verso sonorità più rock. Questi sono i The Toulalan che conosciamo e ai quali abbiamo rivolto qualche domanda per ricevere interessanti aggiornamenti dopo il lancio di Handmade.

Ci eravamo lasciati parlando di un giovane progetto e ci rincontriamo (purtroppo virtualmente) dopo l’uscita di ben due singoli e un intero album di passione rock intitolato Handmade. Come si sono evoluti nel frattempo i The Toulalan? Come vi vediamo oggi?

Più maturi, più consapevoli dei propri mezzi. Abbiamo la strada più definita, soprattutto per quanto riguarda il nostro progetto, anche se riteniamo che una band, per risultare credibile, debba essere in continua evoluzione. Probabilmente oggi siamo diversi rispetto a ieri, ma anche domani non saremo certamente quelli di oggi.

Adesso che avete avuto un po’ di tempo per metabolizzare, in che chiave leggete la fatalità dell’uscita del vostro album di esordio, Handmade, appena una settimana prima di un lockdown mondiale?

Con tante parolacce… Una volta metabolizzato, abbiamo focalizzato l’attenzione sui social media, ad esempio decidendo pubblicare una home session per allietare la permanenza in casa dei nostri fan durante la lunga quarantena e fargli sentire che noi ci siamo e la nostra musica è con noi, sempre.

Che senso avete dato alla premiere del nuovo singolo, Castles Blues, a metà marzo, appunto in piena quarantena?

Il video era già pronto e sarebbe dovuto uscire ed essere presentato durante un concerto. Ovviamente non se n’è fatto più nulla per via dell’emergenza, quindi ci è sembrato soltanto naturale promuoverlo durante questo periodo particolare. Siccome si tratta di un brano con un messaggio ben preciso, l’esortazione a non mollare mai, l’obiettivo era anche un po’ quello di tirare su il morale.

In percentuale, quanto c’è di “indie” e quanto di “classic” nel rock di Handmade? E, più in generale, quanto di americano e quanto di romano nella vostra poetica e produzione artistica?

Ci definiamo “indie” perchè siamo una band indipendente, ma sentiamo di avere poche affinità con la scena indie pop italiana. C’è invece tanto di americano nelle nostre maggiori influenze e passate esperienze musicali, come anche tanto di romano, perché nei nostri testi raccontiamo quello che viviamo tutti i giorni a Roma.

Dopo aver inciso un intero album, siete ancora dell’idea che esibirsi live sia la modalità di espressione migliore oppure l’esperienza in studio vi ha fatto cambiare idea? Come si inseriscono i limiti fisici posti dalla quarantena in questa riflessione?

Non abbiamo cambiato idea riguardo alle esibizioni dal vivo, pensiamo che per un musicista il palco sia la massima espressione di tutto quello per cui si lavora. La quarantena ci sta penalizzando e dobbiamo prendere atto della situazione, siamo costretti a inventare nuove soluzioni per veicolare la nostra musica. Ci stiamo mobilitando per aumentare i contenuti online e a breve ci saranno delle novità a riguardo!

Qual è l’esibizione live che ricordate con più affetto?

Senza ombra di dubbio il concerto a “Le Mura”, il music club in zona San Lorenzo a Roma, perché è stata la prima volta in cui c’è stato il forte impatto della fila fuori al locale per entrare. Non c’è soddisfazione più grande per una band. Vorremmo cogliere l’occasione per ricordare quanto sia importante, soprattutto in un momento difficile come questo, sostenere realtà come “Le Mura” che danno la possibilità a tanti artisti (non solo musicisti) di esibirsi ed esprimere la propria arte. Ci auguriamo che riescano a superare questo periodo e invitiamo chiunque abbia la possibilità ad aiutare queste associazioni affinché non siano costrette a chiudere. La loro presenza è un bene per e di tutti.

Quanto è facile/difficile per una band italiana che suona un genere internazionale poi effettivamente emergere in un mercato della musica così globalizzato? È un aspetto che ai The Toulalan interessa oppure avete un target e degli obiettivi differenti?

Potremmo risponderti con il titolo della nostra prima intervista fatta con voi, “Suoniamo per il piacere di farlo”. È difficile sia per una band italiana che straniera. Cantiamo in inglese perché è più nel nostro background, anche se siamo consapevoli del fatto che in Italia è una scelta coraggiosa. Dunque, non ci poniamo limiti o target predefiniti. Ciò che ci sta più a cuore è cercare di esprimerci nel modo migliore e più efficace possibile, sperando di riuscirci!

Che cosa accomuna la vostra formazione all’atleta e personaggio Jérémy Toulalan, il calciatore a cui avete dichiarato che è ispirato il nome della band?

Jérémy è il nostro bassista (per una questione anagrafica, scherzano sul fatto che sia il più “anziano”). Parlando seriamente: la scelta del nome è stata abbastanza casuale. Jérémy aveva un look vintage, un po’ come il nostro sound. Ci piaceva anche il suono del nome “Toulalan”, una parola molto musicale.

Per molti musicisti è praticamente impossibile rispondere, come quando si chiede a qualcuno se nasce prima l’uovo o la gallina. A noi però interessa sapere la vostra opinione: per i The Toulalan nasce prima il testo o la musica?

Sono entrambe domande difficili. Per noi la storia funziona più o meno così: entriamo in saletta con un idea di riff o un giro di accordi e lavoriamo su l’arrangiamento musicale. In un secondo momento Simone adatta il testo alla linea melodica.

Cosa bolle in pentola per il futuro?

Non vediamo l’ora che si sblocchi la situazione in modo da iniziare finalmente la promozione del disco e rivederci tutti in un locale, magari in occasione di un nostro concerto! Nel frattempo vi anticipiamo che a breve uscirà un lyric video di The Rider. Seguiteci sulle nostre pagine Facebook e Instagram per non perdere gli ultimi aggiornamenti.

Carlotta Giuliano