22 Aprile 2016   •   Snap Italy

Giorgieness: “La giusta distanza tra me, il mondo e la musica”

«Abbiamo incontrato Giorgieness la giovane artista indipendente che ci ha raccontato il suo ultimo lavoro e il suo rapporto con la musica italiana, la radio e il mercato discografico»

Avevamo inserito Giorgieness (nome d’arte di Giorgia d’Eraclea) nella nostra Top 5 dedicata alle più interessanti realtà emergenti della scena musicale italiana, oggi ve la raccontiamo in un’intervista esclusiva che la giovane valtellinese ci ha rilasciato.

La carriera di Giorgieness nasce con un progetto nato nel 2011 che ha raggiunto oggi la sua formazione stabile con Andrea De Poi (basso), Lou Capozzi (batteria), Davide Lasala (chitarra), quest’ultimo anche produttore artistico del primo full length rilasciato per Woodworm Label e intitolato “La giusta distanza”. Abbiamo incontrato la cantante in occasione del suo live all’Edoné di Bergamo per parlare della genesi dei brani, di discografia in Italia e progetti futuri.

Com’è nato il progetto del vostro album d’esordio, uscito da pochi mesi?
È stato un processo lungo e anche strano. Abbiamo inserito pezzi già presenti nel primo EP, ma che abbiamo rivisto e rielaborato insieme a Davide, altri invece sono stati scritti in tempi più recenti. Sono circa quattro anni della mia vita “zippati” all’interno di un solo disco, e fortunatamente ho avuto la possibilità di lavorare con persone che hanno subito capito cosa volevo fare e mi hanno dato una mano nel concretizzarlo. I 40 giorni di produzione sono stati un parto, anche perché sono molto testarda e ci metto parecchio a convincermi di qualcosa. Lavorare a questo disco mi ha sicuramente aiutato ad affidarmi agli altri per trovare soluzioni convincenti.

Il disco si intitola “La giusta distanza”: è una “distanza” da qualcuno o qualcosa? Perché “giusta”?Innanzitutto è il titolo di una canzone che doveva essere compresa nell’album, ma che poi abbiamo escluso e che tornerà probabilmente in futuro. In secondo luogo, la “distanza” è quella che a volte ci serve per capire meglio noi stessi, gli altri e quello che ci sta succedendo attorno.

Nel disco convivono due anime: una più cantautorale ed intimista e un’altra più rock. Hai dei particolari riferimenti musicali che ti hanno ispirata in questo?
Ascolto davvero tantissima musica, quindi non saprei dire cosa mi stia effettivamente ispirando mentre scrivo. Trovo inoltre che anche il termine “cantautore” sia oramai piuttosto vecchio, forse perché porta a pensare a qualcosa di serioso e pesante, mentre credo che il cantautorato sia proprio quello che faccio anche io, cioà scrivere pezzi e cantarli. Non credo ci possano essere riferimenti musicali precisi anche perché il disco è nato nell’arco di quattro anni, un periodo di tempo in cui ho ascoltato davvero di tutto cambiando anche gusti. Ad esempio, ci sono album che oramai non riesco più a digerire perché li ho ascoltati troppe volte (ride).

Hai mai pensato di cantare in una lingua diversa dall’italiano?
Inizialmente ho cantato in inglese, ma in fondo credo che la lingua sia a sua volta uno strumento. Al momento mi sto trovando bene a cantare in italiano, dovessi iniziare a fare qualcosa di diverso potrei anche abbandonarlo. Per ora non ne ho motivo, ed è pur sempre la mia lingua madre.

Cosa ne pensi del fatto che spesso gli esordienti che scelgono di cantare in inglese incontrino delle difficoltà ad emergere nel contesto discografico nazionale?
Secondo me non è sempre così, penso a progetti come Joan Thiele e Any Other che stanno seguendo un proprio percorso originale, o anche a L I M (ex Iori’s Eyes) che ora è uscita con un disco bellissimo. Penso che piuttosto ci sia tanta musica, e quella che emerge riesce a farlo indipendentemente dalla lingua perché ha un proprio valore.

La radio spesso ignora un intero panorama indipendente, che sia cantato in italiano o no. Credi che una situazione diversa potrebbe giovare ad artisti della tua scena? Quanto può valere per te un passaggio radiofonico?
Per me è ancora un canale importante. Un tempo non l’ascoltavo, mentre invece l’ho approfondita ultimamente scoprendo dei risvolti interessanti. Mia madre l’ha sempre ascoltata ad esempio, e come lei tante persone, quindi può essere ancora un mezzo utile per raggiungere un potenziale pubblico.

Cosa ne pensi della decisione di un paese come la Francia, che per promuovere la produzione musicale nazionale ha previsto nell’airplay radiofonico “quote” obbligatorie di musica francese, e tra questa un tot di musica indipendente?
Non so mai bene come reagire a questo discorso delle “quote”, forse perché sono donna e sono anni che sento parlare di “quote rosa” ad esempio (ride). Credo piuttosto che sia necessario un maggiore coraggio da parte di chi si occupa della programmazione musicale nelle radio, anche se sono consapevole del fatto che questi operatori non godano di un ampio potere decisionale. Ad esempio, ci siamo sentiti dire che “K2” era un pezzo troppo forte per la radio. Penso che più di una legge, ci vorrebbe un diverso spirito d’iniziativa.

Nel pop mainstream i nomi degli autori e dei produttori tendono oramai ad essere quasi sempre gli stessi. Credi che questa situazione possano produrre un eccessivo ristagno a livello musicale?
Tutta la parte pop della musica è sacrosanta, ma trovo che, in questo ambito, a livello produttivo ci siano stati ritardi enormi rispetto all’estero. La produzione elettronica che ora sta arrivando su molti pezzi di artisti italiani è una realtà già da dieci anni negli Stati Uniti, ed è forse proprio per questo che artiste come Beyoncè o Rhianna sono qualcosa di totalmente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati. Un altro dato è la mancanza di ricambio tra gli autori: ovunque esistono interpreti che cantano i brani scritti da altri; quello che manca da noi più che altro è un grande numero di persone capaci di scrivere che possano instaurare un rapporto ottimale con i propri interpreti. Noi siamo contenti di poter attaccare le nostre chitarre e suonare, facciamo quello che ci piace, mentre credo che il pop più tradizionale, vista la sua natura, abbia bisogno di una maggiore attenzione: bisogna sapere creare un personaggio attorno a chi canta.

Da artista della scena indipendente, pensi che il panorama major abbia perso il coraggio di investire su nuove proposte?
Le major sono sempre interessate al mondo indipendente e alle sue band, le guardano, le studiano, spesso le distribuiscono. Più che altro manca il coraggio di investire in un progetto sin dall’inizio, preferiscono che le band abbiano già un proprio seguito prima di iniziare a lavorarle. Si cerca di minimizzare i rischi, puntando su qualcosa che già funzioni. Penso sia normale data la crisi degli ultimi anni.

In questo ultimo anno il nostro mercato musicale è cresciuto del 21%. Da musicista, come vedi il tuo futuro e quello della nostra discografia? Secondo te perché in questo dato hanno ancora molto peso i CD?
Penso che le cose stiano migliorando, anche se sinceramente non sono una che pensa molto al futuro; tendo a concentrarmi sul presente e a vivere la giornata. Per quanto riguarda il CD, è perché l’oggetto fisico ha ancora il suo fascino: è qualcosa che rimane, e dato che la maggior parte li vendiamo ai concerti, penso che siano ancora un oggetto che ci lega agli ascoltatori. Riguardo a me, sono arrivata a Milano a diciotto anni dalla Valtellina: non conoscevo nessuno, e ora sono qui a fare quello che davvero voglio; penso che, ancor  più del talento, forse conti crederci e trovare le persone giuste, quelle che spesso ci credono addirittura più di te. La vita che ho scelto è pesante, si vive con poco, ti ci devi adattare, ma spesso basta salire sul palco una volta alla settimana per capire che è esattamente lì che vorresti essere.

Un ringraziamento a Carlo di Ja.La Media Activities per la disponibilità.