Comete è come te. L’intervista al cantautore romano
«Comete lo abbiamo conosciuto a XFactor 2019, ha conquistato il pubblico interpretando grandi brani prima e il suo inedito Cornflakes. Poi, da poco, è uscito il suo ultimo singolo Ma tu, basta ascoltarla una volta e non te la levi più dalla testa. Di canzoni ne ha scritte centinaia anche se alcune, dice, non usciranno mai dal cassetto. Noi aspettiamo la prossima ma intanto lo abbiamo intervistato per voi.»
Comete vuol dire Come Te. Il significato del nome d’arte me lo ha spiegato il suo proprietario, Eugenio Campagna, in un caldissimo pomeriggio di questa strana estate 2020. Il lockdown è finito ma la pandemia no. C’è il distanziamento, ci sono le mascherine, i gel igienizzanti ma non ci impediscono di chiacchierare. La passione di Comete per la musica, la sua musica, la percepisci da ogni parola. Parla ma sembra che stia cantando, sì perché le frasi dei suoi testi fanno parte del suo modo di esprimersi. Il suo desiderio più grande è scrivere per arrivare alle persone, far si che si rivedano in quelle emozioni, che si sentano confortate, stimolate. «Io sono come te, è questo il messaggio che voglio mandare, il mio valore» mi ha detto lui.
Comete è nato a Roma, cresciuto a piazza Bologna dove vive ancora e fin da piccolo sapeva che avrebbe fatto il cantautore «anche se da bambino andavo matto per Indiana Jones e per un periodo dicevo che sarei diventato archeologo». Ha tanti idoli ma «l’identità per me è una cosa seria, cerco di non ispirarmi a nessuno» ha aggiunto mentre mi dice che nei suoi testi vuole raccontare prima di tutto i sentimenti, l’interiorità, le persone, le piccole cose del vissuto quotidiano e l’amore «perché diciamocelo, alla fine, tutto gira intorno all’amore». Per Comete la canzone non è solo ritmo, quello ti fa ballare, tiene il tempo ma perché si fissi dentro c’è bisogno di più e a fare la differenza sono i testi. I suoi nascono da una serie di appunti, pensieri e stimoli che trascrive su post-it o sul cellulare. Mi aspettavo un Comete tra il timido e il duro, era lui il tenebroso di XFactor invece parliamo tantissimo, gli ho fatto tante domande. Per la prima mi sono ispirata a lui e gli ho citato una frase di Ma tu.
Comete, “parlami di quello che non so”
Ahahah, bella questa domanda…È la voglia di novità, messaggio e parte centrale della canzone. È una richiesta da rivolgere prima di tutto a te stesso e poi all’ “altro”. La canzone nasce dall’esperienza quarantena, questo periodo assurdo che abbiamo vissuto, in cui sembrava che sapessimo tutto quello che c’era da sapere perché tutto ruotava intorno al covid e al bollettino. Io sentivo il desiderio forte di cambiare focus, dal macro, il globale al personale, che poi è un mondo a sua volta. Nella relazione amorosa, in amicizia o l’avventura di una sera. Parlami rappresenta un vissuto. Connessione speciale che ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva.
Ma tu ci sarebbe stata senza quarantena?
No, è figlia della quarantena, poi ci sono riferimenti personali a prescindere da quel periodo, anche alla mia storia d’amore precedente. La canzone in parte è dedicata. Ma tu è la soluzione anche se non dovrebbe essere così perché le risorse che abbiamo dentro dovrebbero bastarci. L’ho scritta di getto, tranne il ritornello ma poi l’ho modificata in corso d’opera. All’inizio si chiamava Ma però, non mi convinceva e poi grazie a una collaborazione di coscrittura si è trasformata. Un’altra prospettiva è stata fondamentale.
Come è stato il periodo post XFactor?
Molto stancante e intenso, poi il lockdown. Ho scritto tanto, una decina di pezzi, testi lunghi, tematiche varie, non solo amore. C’è Stefano è vero che parla di amicizia, Stefano non è solo il mio amico ma “l’amico”, quello di tante persone. Poi c’è un testo che parla di me, del mio carattere, molto autobiografico. Tisana invece racconta la necessità di calma e tranquillità in una quotidianità frenetica in cui ci troviamo quasi obbligati a dover uscire, distrarci, stare sempre in movimento.
Qual è il tuo rapporto con il processo creativo?
Ho un problema con la disciplina però la quarantena mi ha aiutato, mi sono esercitato nel darmi dei tempi. Trovare un equilibrio è fondamentale per gestire questo lavoro che è fatto di tanti stimoli, periodi molto frenetici ma anche di momenti “morti”. Passi dall’avere mille impegni al sentirti frustrato quando ti fermi. In quarantena ho riscoperto l’importanza della scrivania che è parte del processo creativo. Prendo appunti continuamente, per strada, ovunque io sia e qualunque cosa stia facendo poi però è importante riordinarli e per farlo mi devo sedere, con i miei strumenti e nel mio spazio. Le mie canzoni sono vere, quando le scrivo, ci metto me stesso, il mio vissuto e quello di chi mi circonda. Mi piace confrontarmi, chiedo pareri, soprattutto nella fase iniziale, quando ancora sono solo idee. Mio fratello grande ne sa qualcosa.
Prima la musica o prima il testo?
Il testo. A volte parte nella testa già musicato e mentre la scrivo scandisco già una metrica, parte tutto da una nota. Uso molto i vocali per ricordarmi le melodie che mi piacciono.
Hai mai pensato di scrivere per altri?
Sì, ci ho pensato molto. Mi piace di più l’idea di collaborare, con un artista che stimo, con il quale mi trovo affine ma non per forza del mio genere, mi piacerebbe lavorare con chi fa musica opposta alla mia.
Con chi ti piacerebbe realizzare una collaborazione?
Mi piacerebbe collaborare con Tiziano Ferro oppure con Lucio Corsi. Se potessi tornare indietro nel tempo invece mi sarebbe piaciuto farla con Ivan Graziani, Pino Daniele e Lucio Dalla. Con Battisti no, troppa emozione, non avrei retto!
Cambieresti il tuo genere, “qual è il tuo prezzo”?
Dipenda qual è il fine, se c’è un bel progetto dietro sì ma non lo farei per moda sicuramente, preferisco tenere alto il valore del mio percorso o della mia identità.
Quando scrivi pensi all’impatto dei tuoi testi sul pubblico?
Sì ma non voglio vincolarmi troppo, cerco di esprimermi il più liberamente possibile. Sento molto la responsabilità del messaggio che mando, allo stesso tempo penso che tematiche negative, tipo l’uso di alcool o droghe, che oggi possiamo trovare in molte canzoni siano comunque rappresentative di quello che viviamo. È da ipocriti stupirsene. Poi voglio avere fiducia anche nel buon senso delle persone, nell’intelligenza di non fare qualcosa solo perché sta nel testo di una canzone insomma.
Come è nata la tua passione per la musica e il cantautorato?
Come molto spesso accade, mi sono appassionato grazie alla musica che ascoltavano i mie genitori. Avevo voglia di suonarle, cantarle: Acqua azzurra, acqua chiara o La canzone del sole di Battisti, La Gatta di Gino Paoli, De Gregori. Entrambi i miei genitori suonavano e sono stati loro a iniziarmi agli strumenti musicali, ho cominciato a suonare la chitarra a 6 anni e poi mi è venuta voglia di scrivere. Quando ero piccolo scrivevo poesie e poi la prima vera canzone, registrata nello studio cantina di un amico a 13 anni si chiama Mai più come prima e parla della mia prima ragazza. La ricerca dell’amore, di una persona con la quale condividere esperienze, la vita, per me è sempre stato importante. La relazione amorosa e poi la famiglia che si può creare per me è prioritaria. L’amore è quello che mi muove e dalla mia musica si vede. Coccolare con una canzone, dedicare una canzone, sono forme di manifestazione d’amore.
Che formazione hai avuto?
Non sono stato un bambino prodigio, avevo la voce ma dovevo allenarla, prendevo lezioni di canto con alti e bassi sempre a causa del mio essere indisciplinato, quello che ha fatto la differenza è stato suonare in strada. Quella è stata la vera gavetta, l’ho fatta per quattro anni. Suonavo cover tra Via del Corso e Piazza del Popolo a Roma, mi divertiva ma dovevo adattarmi a quello che piaceva alla gente, ho suonato di tutto, il repertorio lo improvvisavo in base a chi passava.
Le tue influenze musicali?
Sono da sempre in fissa con i Red Hot Chili Peppers, mi ha sempre affascinato il loro carisma, poi i The Smiths e Battisti.
Cantante preferito?
Mi piace molto Giovanni Truppi, Salmo, Ben Howard, sono fuori di testa per lui e la sua chitarra. Vado a periodi, oggi non sono un grande fan di nessuno come potevo essere quando ero piccolo, vado più per canzoni. Uno storico che mi piace da sempre però è Jovanotti e quando ero piccolo avevo due fisse: Negramaro, il loro album La finestra, uscito quando ero al liceo, è stato un continuo spunto per me e Afterhours. Il sole e la luna.
La tua canzone preferita?
La collina dei ciliegi di Lucio Battisti, mi fa impazzire. Però ne ho anche altre alle quali sono molto legato come Cornerstone di Benjamin Clementine o Across the Universe dei The Beatles.
Cartone preferito?
The Simpson, li vedo e li rivedo, ancora.
Film preferito?
Forrest Gump che per me è così semplice e così ricco allo stesso tempo, mi fa sempre emozionare. Poi sono in fissa con le saghe, Indiana Jones, Ritorno al Futuro, Il Signore degli Anelli, Harry Potter. Sono un grande fan delle maratone.
Serie TV preferita?
A parte il mitico The OC, il primo True Detective è un vero capolavoro, mi è rimasto nel cuore. Mi piace molto il genere che approfondisce la realtà interiore dei personaggi, che scava e racconta più di quello che semplicemente vedi o percepisci, cosa che ritrovo anche in Breaking Bad. Poi c’è Lost che mi è molto piaciuta. Di nuove invece mi sono piaciute Stranger Things e Dark. Le serie mi ispirano, in una prossima canzone mi piacerebbe parlare dell’impatto che hanno su di noi. Quanto spesso ci capita di immedesimarci nel personaggio che ci piace dell’ultima serie che stiamo vedendo.
Libro preferito?
Le metamorfosi di Apuleio è un libro che mi ha colpito e mi è rimasto sempre addosso, sembra scritto ieri. L’ho letto a 19 anni e lo lego a tutta la mia vita. Sono tanti i libri che mi piacciono, che mi hanno emozionato, Kierkegaard ha avuto un forte impatto su di me. Studiavo filosofia e mi ha riempito, mi ha dato delle risposte. Il lungo addio di Chandler.
Tre aggettivi per descriverti?
Problematico, appassionato, fragile. Sono mutevole e a XFactor si è notato, è stato difficile inquadrarmi, a volte ero così sicuro di me da sembrare arrogante quando in realtà sono molto sensibile e mi faccio mille problemi.
Parliamo ancora di XFactor. Quanto aiutano i talent?
Aiutano ma dipende sempre da te, devi sapere sempre chi sei, qual è la tua identità. Io avevo provato due volte prima del 2019 e non era andata. Non per sfiga o ingiustizia, semplicemente non era il momento, non mi conoscevo bene e soprattutto non ero ancora “Comete”, dovevo formarmi ancora, raggiungere la maturità. È stata una bellissima esperienza ma non ne farei un altro di talent. La visibilità è stata importante ma di più imparare a lavorare sotto stress. Noi ragazzi eravamo molti uniti, le giornate sono dure e noi abbiamo fatto molto “famiglia”. Musicalmente abbiamo avuto sempre appoggio da parte della squadra, soprattutto per le scelte musicali come nel caso di En e Xanax. L’avevo sempre tanto ascoltata ma mai cantata prima. A XFactor ho capito che la sapevo fare, a modo mio e senza paragoni. Ho un legame profondo con questa canzone, nato e consolidato durante un momento “no” della mia vita in cui era tutto nero e al di là della sua bellezza, mi ha coccolato, mi ha fatto piangere, riflettere e penso che questo vissuto si percepisca nella mia versione, è quello che arriva alla gente. Per questo dopo XFactor ho voluto fissarla realizzando il video della cover, con il benestare di Bersani.
Un po’ scontato ma…l’Olimpico.
Un rito scaramantico prima di salire sul palco?
Mi faccio il segno della croce, non per scaramanzia ma per protezione. Poi ho un portafortuna, un oggetto piccolo che sta in tasca, me lo ha dato un artista di strada quando ero piccolo e mi ci sono affezionato. Nessuna crisi pre esibizione, sono emotivo ma sul palco trovo la mia tranquillità.
Un festival a cui vorresti partecipare?
Sogno in grande, Sanremo. Lo vedo religiosamente ogni anno, è un appuntamento serio, faccio la mia classifica con tanto di voti. Una volta mi sono anche vestito elegante per l’ultima serata. Sono pazzo di Sanremo, per me rientra a pieno nelle festività, è un bel momento di aggregazione, ci fa stare insieme.
Che ne pensi della scena musicale romana?
Roma è magica, che banalità eh! Però è così, stimola tanto la creatività. Apprezzo molto Franco 126, Tommaso Paradiso che è un bel vanto, è un personaggio carismatico, scrive bene e fa un bel pop, è un comunicatore. Poi ci sono Niccolò Contessa de I Cani, Coez. Roma è una città artisticamente viva ma pigra, non apre possibilità concrete di lavoro, ti ispira ma poi devi andare a Milano!
Che valore dai al Made in Italy?
È un patrimonio prezioso, lo ricerco nella musica così come nel cibo. Io stesso mi sento molto “Made in Italy” in questo periodo della mia vita e della mia carriera. Voglio cantare in italiano. La mia strada è l’Italia ora, poi non escludo di cantare in inglese, cosa che ho fatto tanto quando facevo l’artista di strada ma.
Comete, Comete, Comete, Comete, Comete
Cecilia Gaudenzi