Cassandra Raffaele: tutta la mia vita dedicata alla musica
«Da X-Factor ad un disco che suona Beatles, la “cantora” siciliana si racconta»
Abbandonare un posto fisso in ospedale per dedicarsi alla musica, è quello che ha fatto Cassandra Raffaele, siciliana, che a suon di ukulele e una voce dalle venature blues sta facendo la sua strada nel panorama musicale italiano.
Dopo la partecipazione alla quarta edizione di X Factor e prestigiosi premi vinti in tutta Italia, tra i quali spicca il premio Musicultura, Cassandra è tornata nel 2014 con l’album, “La valigia con le scarpe”, ricco di suoni indie, british, senza dimenticare le radici cantautoriali italiane.
Ami definirti “cantora”, cosa distingue una cantora da una cantautrice?
In realtà non ci sono grosse differenze. Ho voluto aggiungere una nota letterale di “bellezza” alla definizione di cantautore. Alla maniera dei poeti greci che per rendere piacevole l’ascolto delle loro poesie aggiungevano le note musicali, così definisco quelli che usano la musica per dire, a volte contenuti anche non facili. Io perseguo questa strada di semplicità e leggerezza.
E poi francamente, avendo iniziato di recente a scrivere, non mi sentivo all’altezza della parola, se paragonata a certi mostri sacri.
Scelta sofferta o no quella di abbandonare un posto fisso per dedicarti completamente alla musica?
È stata una scelta follemente lucida. Del resto, sentivo di non avere scampo. Non potevo più sottrarmi a quella che non era più una semplice passione. Stava lentamente diventando la mia attività artigianale per eccellenza. Ed era fondamentale che le dedicassi un tempo necessario ed opportuno, una vita.
Hai partecipato al talent X Factor, guidata dal grande Elio. Come guardi quell’esperienza a distanza di anni? La rifaresti?
Non so se la rifarei. E’ stata un’esperienza unica ed indimenticabile e forse come tale non è da ripetere. Non dimentico nulla. Né i momenti felici, né quelli difficili, all’interno dei quali non riuscivo ad avere il pieno controllo di quello che mi accadeva attorno e realizzare quello che stavo soprattutto vivendo io, catapultata in prima serata. Da allora, tanti incontri, scelte, esperienze che hanno influenzato il mio cammino e la mia scelta di vita radicale. Ma soprattutto, da quel momento in poi, ho cominciato a scrivere canzoni, brutte o belle che siano, ma oggi questo faccio nella vita.
Parlaci del tuo Buzz Tour, come è nata l’idea?
L’idea del buzz è nata quasi cinque anni fa, in un momento nel quale sentivo l’esigenza di condividere quello che facevo con la gente e di farmi conoscere. Prima ancora che ci fosse il boom dei secret concert, delle home session, ho lanciato l’idea di un tour che fosse virtuale perché diffuso in rete, ma ripreso nella realtà, in maniera imprevedibile, in contesti non convenzionali, da “buzzare” e condividere. La rete mi ha aiutato tanto. Sono riuscita ad alimentare il mio “mondo musicale” e a tenere un contatto con la gente che mi ha scoperto e mi segue tuttora, grazie anche alle piattaforme sociali. Resto in ogni caso, una grande sostenitrice del live e del contatto umano reale.
Nel tuo Ipod non mancano mai…
Il mio ipod segue delle fasi. Adesso è in piena fase di contaminazione indie rock folk. Sto ascoltando Lissie, PJ Harvey. Ma non mancano assolutamente Goldfrapp, sempre presenti e che adoro, ma anche vecchi album dei Beatles, Bon Iver, Brunori Sas tra gli italiani, Ben Harper, e un po’ di soul e rock viscerale per le sveglie e i viaggi mattutini più arditi.
Nel tuo album “La valigia con le scarpe” si amalgamano armonicamente culture musicali diverse. A quali artisti e correnti musicali si ispira maggiormente?
La valigia è carica di folk. Ha richiami “popular” inglesi, volutamente “beatlesiani” ma anche sfumature filo jazzistiche e swing che contaminano la mia matrice più viscerale e grezza.
Nel disco troviamo varie collaborazioni, dai Baciamolemani fino alla TintoBrass street band. Ma non solo, anche la grafica è stata affidata ad artisti emergenti. Quanto è importante la cooperazione fra artisti in un’epoca in cui la concorrenza fa da padrona?
La cooperazione oggi è fondamentale, soprattutto in un lavoro fatto d’arte. Stringersi attorno a gente con diverse competenze ma che fa lo stesso “ viaggio” ti arricchisce , ti carica, ti supporta e può farti raggiungere risultati. L’unione fa la forza e mai come ora. Si crea una rete di operosità. Ci sentiamo tutti vicini e sulla stessa barca, viaggiamo meglio.
È stata protagonista di “Musicultura 2013”, un festival che fa della parola cantata il proprio fulcro. Nei suoi testi racconta di donne innamorate che “ricamano le braccia sui colli immaturi dei loro figli che non riescono ancora ad imbrunire”, ma anche di donne “tappetino”. Come ha ritratto questi diversi profili di donne?
Ho incrociato un po’ di donne tappetino lungo la mia strada, devo dire. Ci sono le esperienze emozionali vissute magari da me in prima persona. C’è la colazione di mia madre che mi svegliava la mattina, quando vivevo ancora a casa dei miei, ci sono i volti delle donne che ho incontrato, dalle quali ho raccolto fonti d’ispirazione come nel caso della famigerata donna tappetino, che ho conosciuto e sdrammatizzato come figura nevrotica, immaginandola in equilibrio sui trampoli. E poi ci sono io, donna trasandata ed inquieta che pratica l’allegria per domare la sua malinconia di natura, e che naturalmente trasferisce parte di se stessa in quello che vive.
La musica in tre parole per Cassandra Raffaele.
Gioia, tormento, coraggio.
Giuseppe Barone