Visitare Calcata
08 Aprile 2017   •   Snap Italy

Visitare Calcata: una volta fatto non potrete non tornarci

“Appena oltrepassi le mura di Calcata vecchia, il telefono ti avvisa: nessun segnale. Esci dai social, da whatsapp ed entri in un borgo che sa di umido, di gente che vive con lentezza”.

Visitare Calcata vuol dire decidere di trascorrere una giornata in un borgo considerato uno dei più incantevoli del Lazio. Calcata è un piccolo comune in provincia di Viterbo, che nonostante si trovi a 40 km da Roma, è riuscito a conservare intatti i proprio patrimoni storici e naturali. Sorge arroccato su una montagna di tufo, il che lo rende molto particolare, oltre che attraente per artisti e turisti avventurosi. La sua folta e impenetrabile vegetazione fa da eco ai caldi toni rossi e marroni delle rocce tufacee, che formano alte pareti, pinnacoli, gole e tagliate.

Uno dei motivi principali per visitare Calcata è la sua caratteristica di piccolo borgo medievale.

Le origini di Calcata, il cui stesso toponimo rimane un enigma etimologico, si perdono nella notte dei tempi. Sicuramente abitata nell’era preistorica, la zona divenne in epoca pre-romana importante avamposto della civiltà falisca, una popolazione culturalmente affine ma non assimilabile a quella etrusca, e forse ancora più antica. Tuttavia per tutto il periodo falisco (e romano) la rupe di Calcata restò deserta, e in realtà non esistono informazioni certe sulla sua nascita come centro abitato: il nome di Calcata, compare per la prima volta molto più tardi, in un documento del 772-795.

Nel Duecento, Calcata entrò nell’orbita della nobile famiglia degli Anguillara, che vi eressero un castello e la cinta muraria.

Dopo una lunghissima solitudine, dagli anni ’30 del Novecento il paese iniziò a spopolarsi a causa dei frequenti crolli della fragile rupe tufacea, fino agli anni immediatamente posteriori alla guerra, quando il borgo si salvò dall’abbattimento sancito dalle istituzioni soltanto per un fortuito cavillo burocratico. I calcatesi si trasferirono a circa 2 km di distanza, costruendo un piccolo centro moderno, Calcata Nuova.

Ormai completamente abbandonata ed esposta ai cedimenti del terreno, Calcata fu allora chiamata il paese che muore, appellativo che allo stesso tempo era stato conferito alla più celebre Civita di Bagnoregio. E tuttavia, proprio grazie al suo fascino decadente e surreale, il borgo fantasma comincia ed essere ripopolato da artisti, artigiani ed intellettuali, che a partire dagli anni ’60 vennero da ogni parte del mondo, in cerca di una dimensione di vita genuina e in contrasto con la società industriale e consumistica. Infatti tra i tanti motivi per visitare Calcata, c’è quello di entrare all’interno del “borgo degli artisti”.

Calcata ha ottenuto la Bandiera Arancione, il marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra. Le vie che si irradiano dalla lunga piazza, che è il centro del vissuto collettivo e il punto di ritrovo nel quale si è allo stesso tempo spettatori e attori, portano tutte verso gli strapiombi della rupe. Al di sotto del livello delle stradine e delle piazze molte case hanno grotte spesso anche a più piani sotterranei. Sono depositi, cantine e, a volte, tombe e antichi luoghi di culto.

A tutto questo si aggiunge il fatto che leggende e misteri da sempre tracciano la storia del piccolo borgo di Calcata Vecchia.

Pare, infatti, che si svolgano in qualche abitazione di Calcata e in alcune delle numerose grotte sottostanti, riti esoterici ed iniziatici. A ciò si aggiunge una vicenda che ha reso nei secoli Calcata nota al mondo religioso e devozionale, e che è legata ad un’incredibile reliquia che venne custodita sino a pochi decenni fa nella Chiesa del SS. Nome di Gesù, vale a dire il prepuzio di Gesù.

Recisogli otto giorni dopo la sua nascita, venne conservato con cura dalla Vergine Maria, dopo di che non se ne ebbero notizie certe fino all’Alto Medioevo, quando, secondo una antica credenza, l’imperatore Carlo Magno lo ricevette in dono da un angelo e pare lo depose in qualche posto segreto della Città Eterna. Durante il Sacco di Roma, nel 1527, il Santo Prepuzio, contenuto in un cofanetto, fu trafugato da un lanzichenecco al soldo dell’Imperatore Carlo V, il quale, in punto di morte, avrebbe poi confessato di averlo nascosto in una grotta a Calcata. Trent’anni dopo venne ritrovato proprio nel luogo indicato, ma nessuno fu in grado di aprirlo: ci riuscì in seguito, solo una ragazza dall’animo puro. La sacra reliquia fu poi protagonista di altri miracoli, ben noti alla tradizione popolare, fino a che, circa quaranta anni fa, scomparve misteriosamente; alcuni ritengono che sia stata nuovamente rubata, ed altri invece pensano che venga tenuta ben nascosta nella parrocchia poiché ritenuta troppo imbarazzante.

Per visitare Calcata vecchia è necessario muoversi a piedi. Si entra nel borgo grazie ad una doppia porta e una strada in salita. Non ci sono edifici importanti o grandi opere d’arte ma l’insieme è unitario e armonico. Le vie che si irradiano dalla lunga piazza, portano tutte verso gli strapiombi della rupe. Il turista non deve visitare Calcata frettolosamente ma deve entrare negli studi e nelle botteghe, parlare con la gente, affacciarsi agli strapiombi, sedere sui lunghi sedili di pietra della piazza e fare escursioni nella sottostante Valle del Treja, il fiume che, tra noccioleti e lecci, circonda il borgo.

Per chi volesse concedersi una pausa culinaria, è consigliato prenotare alla Piazzetta di Calcata, il ristorante migliore del paese, dove tutto è genuino e gustoso. Basti pensare a: fagioli all’uccelletto, cacio e pepe, gricia, polenta al sugo, salsicce con finocchiella. E per i più romantici, imperdibile il tramonto su Calcata dalla terrazza della Sala da tè : oltre 100 tipi di tè provenienti da tutto il mondo e una ventina di tisane e tè della casa. In ogni angolo del piccolo locale decine di teiere di qualsiasi forma e grandezza.

Insomma non resta che salire in macchina e andare a visitare Calcata per dire di avere passato una giornata vecchio stile, lontani dal caos della vita quotidiana e dalle mille distrazioni della tecnologia.

Chiara Rocca