26 Aprile 2016   •   Snap Italy

Teatro Patologico, cultura e medicina unite per la cura

Siamo andati alla presentazione del Festival del Cinema Patologico, ideato e promosso dal regista e attore Dario D’Ambrosi che nell’intervista ci racconta il progetto “Teatro Patologico”

A volte si è portati a pensare che la diversità sia una condizione da allontanare o peggio ancora da ghettizzare ma in realtà non è altro che essenza del mondo intero. A tal proposito, si è conclusa da poco la settima edizione del Festival del Cinema Patologico, una manifestazione piccola e indipendente che riesce a dare voce ad un progetto molto importante e soprattutto a chi, direttamente o indirettamente, combatte ogni giorno con la malattia mentale. Il Festival si è svolto nella sede del Teatro Patologico, in via Cassia, a Roma, dal 13 al 17 aprile.

Noi di Snap Italy siamo stati alla serata di inaugurazione, alla quale hanno partecipato importanti personalità della medicina italiana, come il magnifico rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, Giuseppe Novelli, esperto di genetica, e il medico psichiatra Alberto Siracusano. Il tema della serata era quello dell’autismo. A tal proposito sono state proiettate delle scene tratte dal nuovo film di Vittorio Sindoni, “Abbraccialo per me”, in cui Stefania Rocca è la mamma di un ragazzo affetto da problemi mentali, interpretato da Moisè Curia. Si racconta la storia di questa mamma, delle difficoltà che quotidianamente deve superare insieme al figlio, e dell’amore immenso che si donano reciprocamente, nonostante tutto. Un film molto toccante, che l’attrice Stefania Rocca, dedica a tutte le mamme. Regista e attori erano presenti all’evento, e hanno ringraziato Dario D’Ambrosi per aver permesso loro di girare l’ultima scena del film proprio in quella sede. Più tardi, ancora sul tema dell’autismo, è stato proiettato il film “The special need” di Carlo Zoratti.

Tra gli altri ospiti della serata anche l’onorevole Laura Coccia, affetta da tetraparesi spastica, e l’ex calciatore della A.s. Roma, Francesco Rocca.

A questo elenco non poteva di certo mancare il protagonista assoluto di questo progetto, colui che non solo ha avuto l’idea, ma l’ha anche saputa sviluppare. Parliamo di Dario D’Ambrosi, attore e regista italiano. Il coraggio e la tenacia sono stati importantissimi in lui, e ora, mentre continua a fare grandi passi avanti, grazie anche al sostegno dell’Università di Roma Tor Vergata, prima sostenitrice del progetto, ottiene la soddisfazione di veder sorridere chi per molto tempo aveva dimenticato come si facesse, i ragazzi affetti da disturbi mentali e soprattutto i loro familiari.

Noi di Snap Italy lo abbiamo intervistato per voi

Come e quando nasce il Teatro Patologico ?
Il Teatro Patologico nasce negli anni ’80 dopo una mia esperienza in un ospedale psichiatrico, l’ormai ex Paolo Pini, a Milano. Uscito da lì cominciai a raccontare le storie dei pazienti che avevo conosciuto. A quel punto un critico scrisse: “Signori, con gli spettacoli di Dario D’Ambrosi è nata una nuova forma di teatro che io definirei Teatro Patologico.” E da lì ho mantenuto questo marchio, e penso che non esista nome più adatto di questo per il nostro progetto.

Pensa che il teatro possa essere per questi ragazzi un modo per esprimere se stessi, per comunicare con il resto del mondo ?
Ne sono convinto, ancora di più sentendo un grande esperto di genetica come il professor Novelli dire che se questo primo corso al mondo di Teatro Patologico verrà riconosciuto, sarà medicina per un sacco di ragazzi del mondo intero. Il teatro andrebbe portato come materia d’obbligo nelle scuole elementari, è molto importante, serve a superare tantissimi problemi, come quello della comunicazione o quello del bullismo o ancora quello dell’integrazione. E a maggior ragione per questi ragazzi disabili, il teatro non è solo mezzo di espressione artistica, ma anche e soprattutto mezzo di comunicazione.

Pensa che il Teatro Patologico aiuti questi ragazzi anche a livello clinico, medico?
Assolutamente si, a maggior ragione dopo aver sentito dai genitori gli effetti reali che questo ha sui propri figli, non si tratta di ipotetici risultati scientifici, ma di un qualcosa di tangibile. Quando ti dicono: “Lo psichiatra ci chiede cosa stia succedendo a Paolo, cosa stia succedendo a Claudia”, capisci di aver colpito nel segno e di essergli molto utile. Vedono infatti dei miglioramenti che neanche dopo 10 anni di psicofarmaci sono riusciti ad ottenere. Poi c’è da dire che stando bene un ragazzo disabile, stanno bene tante altre persone attorno a lui. Si tratta quindi di un miglioramento sociale, non solo individuale.

Quanta veridicità dà al teatro il fatto che questi ragazzi portino le loro problematiche in scena?
Molta. Vederli recitare è un qualcosa di profondamente coinvolgente ed emozionante, oltre che del tutto realistico. Ad esempio, basti vedere le pause. Una qualsiasi lunga pausa al teatro fa perdere la concentrazione, mentre nel Teatro Patologico non è così. In essa c’è un misto di tensione, dolore, patologia e questo ti permette di viverla a pieno, come una pausa riflessiva. Diventa quindi parte e bellezza dello spettacolo stesso.

Gli spettacoli del Teatro Patologico hanno anche viaggiato molto…
Sì, siamo arrivati in diverse città. Tra le esperienze più importanti abbiamo la rappresentazione al Wilton Theatre, che è il musical più antico al mondo e dove abbiamo vinto il Wilton Price, premio del Regno Unito per la drammaturgia, nel 2013. L’anno scorso, invece, siamo stati all’Off-Broadway. Adesso stiamo organizzando una tournée a Los Angeles e una a Tokyo.

Com’è andata la rappresentazione de la “Medea” al Teatro Argentina di Roma dello scorso settembre?
Devo dire che in questo caso il direttore è stato molto coraggioso a far debuttare la stagione con una compagnia composta da ragazzi diversamente abili. È andata molto bene. Si tratta di un dramma molto violento, di questa donna che ammazza i figli per gelosia, anche in un certo senso purtroppo un dramma moderno, perciò l’impegno dei ragazzi è stato massimo e sono rimasti tutti molto colpiti.

In cosa consiste la settima edizione del Festival del Cinema Patologico?
Si tratta di un festival piccolo ed indipendente, che è arrivato alla sua settima edizione in cui diamo la possibilità ad un pubblico interessato, affascinato e curioso di cinema, di vedere film particolari. È un festival che tratta in generale il tema della difficoltà a livello sociale. È un momento di grande scambio tra i ragazzi e gli ospiti, artisti come Claudio Santamaria, Claudia Gerini, i ragazzi di Romanzo Criminale, Edoardo Leo e tanti altri. E poi è il primo festival al mondo ad avere una giuria composta da ragazzi disabili.

Come si colloca il vostro progetto nel panorama artistico italiano?
Lo definirei un progetto coraggioso. Con questo primo corso di teatro integrato siamo più avanti di almeno cinquanta anni rispetto agli altri paesi, tantochè che nell’ultima tournée Hilary Clinton ha sostenuto di voler assolutamente portare questo progetto negli Stati Uniti, qualora diventasse presidente. Negli altri paesi questi ragazzi sono ancora tenuti legati ai letti di contenzione, con le camice di forza, mentre noi gli stiamo offrendo un corso di laurea ! Se tutto andrà bene nel 2018 si aprirà in tutte le università d’Italia. Si tratta di una follia, ma di una follia che è indice di grande emancipazione, oltre che di futuro. Perciò direi coraggiosa. Senza dubbio.

Chiara Rocca