teatro 2017
05 Gennaio 2017   •   Snap Italy

Teatro 2017: il nuovo anno va in scena

«Si è appena alzato il sipario del teatro sul 2017 e su una stagione teatrale ricchissima di eventi. Ma quali sono gli spettacoli più attesi del nuovo anno?»

I teatri di Roma hanno offerto al loro pubblico una programmazione stellare per le vacanze di Natale, presentando nell’ultimo mese dell’anno alcuni tra gli spettacoli più belli presenti in cartellone, spaziando tra i generi e i linguaggi espressivi senza mai trascurare la qualità della performance. Ora per il 2017 ci si aspetta una stagione a teatro ugualmente brillante, vivace e provocatoria come la precedente, ma soprattutto in grado di offrire al pubblico spunti di riflessione più che risposte, stimolando la partecipazione emotiva degli spettatori. L’obiettivo è mostrare al pubblico qualcosa che non conosce, accompagnarlo fuori dalla comfort zone del teatro classico per farlo entrare in dinamiche recitative più attuali, che mirano a sconvolgere la coscienza per rimanere per sempre impressi nella memoria.

  • Casa di bambola

    di Henrik Ibsen, adattamento e regia Roberto Valerio
    dal 26 gennaio al 5 febbraio 2017 al Teatro Vascello di Roma

Il primo spettacolo è un classico di Henrik Ibsen, rappresentato per la prima volta nel 1879, ma che al tempo aveva suscitato scandalo e polemica perché interpretato come il manifesto di un femminismo estremo. Ma, al di là di ogni contenuto polemico, il dramma resta opera di una grande e complessa modernità, abitata da personaggi capaci di parlare ancora ai nostri contemporanei, e per questo Casa di bambola torna in scena, ma in una veste nuova. Dopo un’attenta riscrittura e rielaborazione scenica del testo, Roberto Valerio ha ridotto lo spettacolo a un “dramma nudo”, spogliato di orpelli ottocenteschi e convenzioni borghesi, per concentrare l’attenzione sull’intreccio dialettico di una crisi, di una transizione, di un passaggio, di un percorso evolutivo, di un disperato anelito alla libertà che crea però angoscia e smarrimento. I personaggi si muovono in uno spazio scenografico essenziale, oscillando tra il sogno e la veglia, tra la verità e la menzogna, tra il desiderio e la necessità. Uno spazio onirico che trasfigura la realtà in miraggio, delirio, allucinazione, incubo.

Cinema e teatro si incontrano sul palco del Teatro dell’Orologio, mentre un ragazzo e una ragazza col sogno di diventare grandi attori si incontrano ad un provino per uno spettacolo teatrale dedicato alla filmografia del maestro del brivido, Alfred Hitchcock. Insieme sfiorano le fitte trame di Caccia al ladro, Intrigo internazionale, Vertigo, Il delitto perfetto, Psycho, La finestra sul cortile e Gli uccelli, sviluppando l’azione scenica in un divertente alternarsi tra la vita privata dei due protagonisti e la storia dei personaggi che interpretano. Lui si pavoneggia come Cary Grant per esorcizzare il terrore di confrontarsi con i grandi attori del passato, lei, impeccabile nel suo costume anni ’50, sa che passerà il provino perché è bella come Grace Kelly, ma entrambi sanno che fascino e talento non bastano per sfondare nel teatro contemporaneo affamato di sperimentazione. Così Leonardo Ferrari Carissimi mette in campo il cinema dal passato per volgere la sua critica sottile al teatro del presente, disorientando gli spettatori in un gioco meta-teatrale che metterà in crisi tutte le loro certezze.

  • Acqua di colonia

    di Elvira Frosini e Daniele Timpano
    dal 28 febbraio al 2 marzo 2017 al Teatro India di Roma

Elvira Frosini e Daniele Timpano sono da sempre i maestri della provocazione, dell’osservazione ossessiva della realtà, che fanno a pezzi senza pietà per far saltare agli occhi degli spettatori tutte le contraddizioni che li ingabbiano e li rendono schiavi. Il loro percorso è iniziato nel 2013 con Zombitudine, per poi continuare nel 2016 con Carne, fino ad arrivare con Acqua di colonia a toccare l’Africa, un mondo indistinto, generalizzato, lontano, un luogo comune in cui racchiudere il pregiudizio e la paura prescindendo dalle specificità di ogni sua terra, nazione, popolo. Ai nostri occhi gli africani sono tutti uguali, e lo sono le masse indistinte di profughi, di migranti che ogni mattina incrociamo per strada, sull’autobus o in stazione. Una triste constatazione da cui parte la riflessione su quello che è ed è stato il colonialismo nostrano, una storia bicentenaria di abusi e prevaricazioni che viene sistematicamente rimossa, ricacciata sotto il tappeto e dimenticata, lavata via come un cattivo odore da una bella passata di acqua di colonia. Ma se l’acqua di colonia si limita a rimanere in superficie, a sfiorare il corpo per poi svanire, questo spettacolo arriverà invece fino alle viscere degli spettatori, fino a toccargli l’anima e a metterli irrimediabilmente in crisi.

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  • Lear di Edward Bond

    di Lisa Ferlazzo Natoli
    dal 28 marzo al 9 aprile 2017 al Teatro India di Roma

Lear torna in scena, ma questa volta Shakespeare è un eco lontano, un’ispirazione più che un soggetto, un’opera che nel 1971 tra le mani di Edward Bond è diventata qualcos’altro, e che ora con Lisa Ferlazzo Natoli assume una forma ancora diversa. Il nuovo allestimento affronta infatti la questione tutta contemporanea dei confini e delle ferite su cui si sono edificate le controverse democrazie occidentali. Tutto gira intorno a un muro, a una compressione, a uno stato di peri­colo diffuso. Trentacinque personaggi si muovono su una scena che somiglia a un edificio in costruzione o alle rovine di un palazzo crollato, che lascia intravedere un’anima di ferro in cui sono rimaste impigliate porte, finestre, sedie, garze preziose. Tutto è sul punto di crollare, compresi i nervi dei personaggi. Perché qui l’unico linguaggio comprensibile è quello della violenza emotiva, fisica, allucinatoria. Lear di Lisa Ferlazzo Natoli è uno spettacolo tagliente, che non lascia le scene più crude all’immaginazione, ma che racconta come nessun altro prima d’ora l’essere umano e tutta la malvagità di cui è capace.

E se all’improvviso la penisola Iberica si staccasse dal resto d’Europa e si consegnasse alle acque, come una gigantesca zattera lasciata in balia dei flussi imprevedibili dell’Oceano? E se, come per magia, un numero imprecisato di uomini di etnie, culture e radici lontanissime si trovasse a vivere insieme l’esperienza estrema del naufragio? Finisterre, liberamente tratto dal romanzo La zattera di pietra di José Saramago, porta in scena i venticinque detenuti-attori del carcere di Rebibbia per compiere insieme agli spettatori un viaggio archetipico a cavallo tra reale e immaginario, che si fa paradigma di ogni apolide ricerca di patria. L’incontro tra il pubblico e gli attori avviene sul terreno comune della letteratura, che unisce a chi è saldo sulla terraferma e chi è naufragato e vive su quella “zattera di pietra”, disancorata dal resto del mondo, che è il carcere. Qui il teatro fa da ponte tra il mare e la terra, annulla le distanze, e fa scaturire nuovi guizzi di solidarietà e nuove vie condivise, per saldare una volta per tutte le spaccature dell’esistenza in uno spazio da sempre estraneo alle gabbie stereotipate del pregiudizio.

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Valeria Brucoli