Lo chiamavano Jeeg Robot torna nelle sale cinematografiche
«Lo chiamavano Jeeg Robot torna al cinema. Dopo aver ottenuto 16 candidature ai David di Donatello, il film sul supereroe italiano cavalca l’onda di questo incredibile successo, grazie anche a una campagna marketing che non ha nulla da invidiare a quelle dei cinecomics americani»
Enzo Ceccotti sta per tornare – Vi siete persi il film evento dell’anno ed ora siete disperati perché non riuscite ad attendere l’uscita del Dvd? Tranquilli, darsi alla pirateria non sarà necessario. Lucky Red (casa distributrice del film) ha infatti annunciato che per celebrare la vittoria del Premio Ettore Scola come Migliore Opera Prima durante il recente Bif&st di Bari nonché il successo clamoroso ai David di Donatello (tra le candidature troviamo Miglior Attore Protagonista Claudio Santamaria, Migliore Attrice Protagonista Ilenia Pastorelli, Miglior Attore Non Protagonista Luca Marinelli e Miglior Regista Esordiente Gabriele Mainetti), Lo chiamavano Jeeg Robot tornerà nelle sale cinematografiche italiane dal 21 aprile, animato da una nuova linfa vitale: per l’occasione infatti sono stati rilasciati un trailer e un poster inediti che oltre a spingersi verso una nuova creatività, sfruttano anche la tagline dei David di Donatello, un po’ come succede in America quando un film viene canditato all’Oscar.
Il rimando alle strategie pubblicitarie americane non è un caso. Oltre ad essere senza dubbio uno dei film più interessanti del panorama italiano degli ultimi anni, Lo chiamavano Jeeg Robot è un film che si caratterizza anche per essere il primo caso in Italia di un film la cui campagna promozionale si è svolta intereamente basandosi sui modelli di quella tipica hollywoodiana, fatta di teaser, trailer, banner, character poster, artwork mirati e sponsorizzazione social massiccia: tutti elementi quasi alieni rispetto alle strategie a cui siamo abituati. Ma prima di addentrarci nell’analisi di questa peculiare ma quanto mai azzeccata scelta pubblicitaria, una breve analisi della pellicola è d’obbligo.
Il film ci racconta la storia di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), un asociale ladruncolo di Tor Bella Monaca la cui vita viene stravolta completamente quando, per sfuggire ad un inseguimento della polizia, cade nel Tevere e viene a contatto con una sostanza radioattiva che gli dona poteri straordinari. All’inizio sfrutterà questa forza per dare una svolta alla sua carriera di delinquente, ma tutto cambia quando incontra Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza dal passato difficile convinta che lui sia l’eroe del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d’Acciaio. Ma non esiste supereroe senza la sua nemesi, ed ecco che Enzo Ceccotti si scontrerà con Fabio Cannizzaro, detto Lo Zingaro (Luca Marinelli), il capo di una piccola banda di criminali romani ossessionato dall’ambizione di diventare qualcuno.
Siamo nell’era dei cinecomics è inutile negarlo. Il pubblico li acclama, vuole vederli al cinema e non ne ha mai abbastanza: basti pensare che tra i progetti della Marvel Studios e quelli della casa rivale Dc Comics infatti ci sono in programma quasi 30 film per i prossimi sei anni. Questo trend mondiale è apprezzato anche da noi (incredibile i fumettari, i geek e i nerd esistono anche in Italia!) e lo dimostrano le sempre maggiori folle che si accalcano alle varie fiere del fumetto che stanno crescendo anche nel nostro paese. Nonostante questo siamo però da sempre abituati a pensare che per essere punto da un ragno radioattivo o riuscire a trasformarsi in un enorme omone verde bisogna necessariamente vivere a New York. Cosa succederebbe invece se ad acquisire poteri straordinari non fosse un bravo ragazzo amante della fotografia oppure un miliardario playboy filantropo, ma piuttosto un criminale di bassa lega della periferia di Roma?
Lo chiamavano Jeeg Robot è il film che tutti stavamo aspettando proprio perché risponde a questa domanda che avrebbe potuto trovare risposta molto prima se non fosse stato per i rifiuti che il regista Gabriele Mainetti ha dovuto incassare negli ultimi cinque anni da parte di major troppo timorose di investire in un progetto tanto poco italiano. Ma la perseveranza alla fine paga e il determinato Mainetti ha deciso perciò di autofinanziarsi: attraverso la Goon Films (la casa di produzione di sua proprietà) e con il supporto di Rai Cinema è riuscito trovare i fondi per produrre il suo primo lungometraggio. Dopo infatti i corti Basette (con protagonista Lupin III) e Tiger Boy (riferimento all’Uomo Tigre), Mainetti si affida alla sceneggiatura di Nicola Guaglianone e Roberto Marchionni, dando vita ad un film che nuovamente prende spunto da un personaggio della cultura giapponese per arrivare a creare un supereroe tutto nostrano.
Il titolo infatti oltre ad unire il rimando al mondo dei manga si rifà anche alla famosissima saga western con Bud Spencer e Terence Hill, Lo chiamavano Trinità, ed è in questa commistione che il film trova la sua chiave di lettura: unendo elementi tipici del cinema italiano come la commedia e il racconto della criminalità organizzata con altri totalmente esterofili come i superpoteri, Lo chiamavano Jeeg Robot è un ibrido particolarissimo che piacerà a tutti, non solo agli amanti del genere. È come se il film avesse uno scheletro da tipico cinecomic americano, ma con un’anima ed un cuore tutto italiano, anzi romano: ciò che più cattura del film è la possibilità di riconoscere al suo interno tutti gli stilemi tipici del genere supereroistico (dalle inquadrature della trasformazione alle scene di lotta fino al frame finale che senza fare spoiler sembra citare il Batman di Christopher Nolan) ma allo stesso tempo vederli completamenti traslati all’italiana (la presenza del dialetto romano, la location dello Stadio Olimpico, l’attenzione al degrado della periferia e all’ingiustizia sociale). Il risultato è un film che esalta perché riesce a conciliare elementi apparentemente distanti tra loro in una cornice perfetta sia dal punto di vista artistico, con un cast quanto mai azzeccato che regala interpretazioni iconiche, sia dal punto di vista tecnico, grazie ad una regia brillante, un montaggio fluido, un’attenzione ai dettagli maniacale ed una colonna sonora memorabile.
Ma c’è qualcos’altro che è completamente inedito in Lo chiamavano Jeeg Robot: oltre al suo contenuto (che è una vera e propria ventata di aria fresca per il cinema italiano) è la forma con la quale il film è stato concepito e pubblicizzato. Per un film italiano è davvero bizzarro sentir parlare di una campagna marketing così oculata: nonostante il basso budget, Lucky Red ha messo in atto una strategia perfetta per rendere accattivante il prodotto, lavorando principalmente sul web e puntando su contenuti che di norma esaltano i fruitori di prodotti legati ai supereroi. Il pubblico appassionato di fumetti ha infatti potuto ritrovare gli stessi elementi che si è soliti trovare in campagne promozionali legate a film come Batman v Superman o Captain America – Civil War: poster che prendono ispirazione dalle atmosfere di Sin City, un website dedicato pieno di gif animate, rivisitazioni di cover e fanarts, nonché una fanpage Facebook che conta 70mila likes e che offre la possibilità ai fan di realizzare e condividere contenuti sul film.
Lucky Red ha perfino realizzato un blog i cui contenuti hanno un’altissima media di condivisione, senza contare l’attenta campagna video del film: teaser, trailer ufficiale, trailer reverse, trailer-sigla, video backstage e addirittura un videoclip in cui Claudio Santamaria canta la sigla originale del cartone animato in una rivisitazione originalissima destinata ai fan più nostalgici. Si è puntato molto agli effetti visivi, ai dettagli che sono diventati iconici dopo la visione del film ma che mostrandoli prima hanno contribuito a generare curiosità, come il barattolo di yogurt giallo (l’unico cibo ingerito da Enzo Ceccotti), la scarpa di camoscio, il sampietrino, il termosifone sformato e la maschera di Jeeg cucita ai ferri. Questo tipo di operazione ha senz’altro contribuito ad inserire Enzo Ceccotti nella schiera dei supereroi più amati, al pari di Spiderman o Capitan America, ed i fan si sono divertiti a creare fantasiosi mash-up (come questo video, che inserisce lo Zingaro, da tutti considerato il Joker italiano, all’interno del trailer del nuovo film della Warner Bros, Suicide Squad).
Addirittura il 20 febbraio, un paio di giorni prima dell’uscita del film, Lucky Red in collaborazione con La Gazzetta dell Sport hanno realizzato un fumetto di 32 pagine basato proprio sulla pellicola di Mainetti, con soggetto e sceneggiatura di Roberto Recchioni (storico curatore di Dylan Dog), disegni di Giorgio Pontrelli e colori di Stefano Simeone e con quattro diverse copertine ad opera di quattro autori di spicco del panormama vignettistico italiano, ovvero Giacomo Bevilacqua, Leo Ortolani, Zerocalcare e Recchioni stesso. La peculiarità del progetto è che non è un adattamento visuale del film, ma una breve storia autonoma e successiva ai titoli di coda dell’originale pellicola (si consiglia pertanto la lettura dopo la visione, per evitare la minaccia spoiler). Un’iniziativa questa che dimostra il coraggio di un film che sceglie di evadere dal solo mezzo cinematografico e sconfinare nel fumetto, abbracciando l’arte sequenziale ed espansa, proprio come succede nelle operazioni americane dei film della Marvel ad esempio, che con la creazione del MCU (Marvel Cinematic Universe) ha allargato la fruizione delle storie dai fumetti ai film passando anche dalle serie tv.
Prima ancora d’iniziare la campagna pubblicitaria, il film fu presentato alla Festa del Cinema di Roma e al Lucca Comics and Games, vero tempio italiano della cultura geek, e in occasione del rilancio della pellicola per il 21 aprile, la produzione non si è fatta di certo sfuggire la possibilità di partecipare anche al Romics, la Fiera del Fumetto capitolina svoltasi la scorsa settimana, dove il panel su Lo chiamavano Jeeg Robot ha visto l’intervento del regista Mainetti e di Claudio Santamaria. Il fenomeno che il film è diventato lo si è potuto constatare nuovamente in questa occasione, dove oltre ai cosplayers dei soliti supereroi acclamati come Batman o Deadpool, c’erano anche un gruppo di appassionati vestiti come Alessia ed Enzo: non c’è consacrazione più grande di questa all’interno del mondo nerd.
L’insieme di questi elementi ha dato vita quindi ad una strategia di comunicazione brillante e coraggiosa per un film italiano, mirata ad un target preciso in grado di accrescere l’hype intorno al film. Una strategia che si è dimostrata più che vincente visto che il film ha raggiunto quota tre milioni al botteghino, e questo solo fino ad ora: il successo del passaparola è stato così forte che il film si è mantenuto benissimo in sala fin dall’inizio, nonostante le solite critiche radical chic (della serie “un film italiano sui supereroi? Sarà sicuramente una schifezza!”). Essendo un film che sfida tutte le regole del cinema italiano il passaparola è stato decisivo e il suo ritorno nelle sale non farà che confermare che questa scommessa è stata ampiamente vinta.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un’opera sorprendente e necessaria, il primo mattone per la rinascita del cinema di genere anche in Italia. Mainetti inventa un nuovo genere, quello del cinecomic all’italiana, che ha tutta l’aria di essere un nuovo trend molto promettente. Le tematiche sono sempre state la forza del nostro cinema, mentre dai nostri amici americani abbiamo molto da imparare per quanto riguarda saper vendere un prodotto nel modo giusto: Lo chiamavano Jeeg Robot dimostra che piano piano anche noi stiamo imparando.
Serafina Pallante