16 Novembre 2020   •   Carolina Attanasio

Come lavorare in smart working ha cambiato il viaggio

«Lavorare in smart working ha cambiato molte abitudini degli italiani, anche quelle di viaggio. In bene o in male? Scopriamolo»

Proprio oggi ho letto un articolo che ironizzava sul nostro esserci quasi fatti una ragione della vita in lockdown (o semi tale). La speranza (leggi #andràtuttobene), i lieviti in forno e le canzoncine dai balconi hanno lasciato posto prima a un’estate di dimenticanze e, ora, a un autunno di quieta rassegnazione. Neanche la notizia di un vaccino – riporta l’articolo – ci ha dato quella botta di adrenalina necessaria a riprendere pienamente coscienza del nostro io prima del Covid. Così succede anche quando si tratta di lavorare in smart working: un’abitudine che molti di noi hanno dovuto fare propria nel giro di pochi giorni, con tutte le difficoltà che questo comporta.

Ha cambiato qualcosa nel nostro modo di viaggiare?

lavorare in smart working

Lavorare in smart working e le vacanze nei luoghi d’origine

Per quanto “lavorare in smart working” non sia proprio il termine giusto (spesse volte si tratta di lavoro agile, o da remoto), la vita nel 2020 questo c’ha dato, e questo ci teniamo. Nelle prime settimane, il trauma: chiusi a casa e circondati dai tutti i nostri doveri messi insieme. A giugno, già meglio: in parecchi, precari o remotizzati, pensano bene di tornare al paese natìo per ottimizzare le spese. È la grande rivincita di borghi, campagne e località più o meno sperdute, dove però – per lavorare – bisogna votarsi al più vicino santo del wi-fi o, nei casi gravi, all’hotspot di cellulari in bilico sui davanzali per trovare un po’ di linea. Tuttavia, proprio queste scelte hanno aiutato a determinare un turismo estivo fatto di italiani in Italia, col computer sulla spiaggia dove da piccoli facevano le capriole.  Settembre ci riporta, controvoglia, alla possibilità di richiuderci in casa: qui si vede lo spartiacque tra chi ormai dal paese non va più via e chi pensa che tornare a vivere circondati da ospedali, in città, non sia poi così male, sia mai che. Questi ultimi riscoprono con piacere attrazioni e luoghi della propria metropoli o nei dintorni, il cosiddetto turismo di prossimità.

lavorare in smart working

La vita da nomadi

E poi ci sono loro, i nomadi digitali, quelli che fino a allo scorso anno erano gli influencer del travel blogging. Gente che ci siamo sempre chiesti come facesse a campare andandosene in giro per il mondo zaino in spalla. Poi è arrivato il Covid e ha chiarito un po’ le idee di tutti, forzandoci a realizzare che – quando si può – un computer e un segnale decente bastano a chiunque sappia lavorare in autonomia per gestirsi bene da ovunque.

Beunsocial, rivista di antropologia digitale, parla approfonditamente della vita del vanlifer (quelli che comprano un camper e via, verso l’avventura), favorita dal digitale e dalle sue possibiltà. A fine lockdown (il primo), non sono pochi coloro che hanno considerato questa come la possibilità della vita, anche in vista di altre chiusure. Vuoi mettere avere una casa mobile e poter scappare dove ti pare, in barba alle restrizioni?

Vivere un po’ qui, un po’ lì

Pare proprio che i tempi del turismo mordi e fuggi, almeno per ora, siano finiti. Lo smart working ci ha fatto tornare indietro di qualche decennio, alle villeggiature lunghe settimane dei nostri genitori. Potendo lavorare ovunque, scegliamo di stare un po’ qui, un po da un’altra parte, e non solo per qualche giorno. Permanenze più lunghe negli stessi luoghi fanno posto a un altro tipo di turismo. Quello di chi se la prende con calma e, quando se ne va in giro, lo fa sapendo di godersi qualcosa che un altro lockdown gli può togliere dall’oggi al domani.

lavorare in smart working

Qualche difetto

Perdere il contatto con la realtà, coi colleghi, arrivare a odiare le call su Zoom e – la peggiore di tutte – non riuscire mai a staccare davvero, saltando anche le ferie. Quando il lavoro può seguirti ovunque, diventa difficile separarsene. La differenza tra vita privata e lavorativa si assottiglia così tanto da non vedere più la linea di confine: lavorare in smart working diventa un lavorare in continuazione, e questo è l’esatto opposto di ciò che il vero smart working persegue: lavorare meno, e meglio. Almeno potete farlo dal vostro panorama preferito.

Carolina Attanasio