museo nazionale romano
04 Maggio 2017   •   Carolina Attanasio

Un tour nel Museo Nazionale romano, tra i volti della Storia

«In secondo piano rispetto ai luoghi più famosi della Capitale, il Museo nazionale romano è il posto che dovete visitare per conoscere davvero Roma»

Per molte persone, che sono state a Roma una o più volte, il primo desiderio appena fuori dalla Stazione Termini è fiondarsi in centro alla velocità della luce: i gastrofighetti alla ricerca di qualche bel localino hipster – dove lo chef osa rivisitare la carbonara – e tutti gli altri armati di reflex impostata su “automatico” e scarpe comode, pronti a mangiare la polvere sui sampietrini, girovagando nel classico tour che dal Colosseo porta fino a San Pietro, o viceversa. I più impavidi si spingono nei luoghi dell’arte moderna e contemporanea, relegati alle spalle di Villa Borghese o in qualche spazio post-industriale che si è pensato bene di votare all’arte. In realtà, vi basterebbe guardare verso sinistra uscendo dalla stazione e, fra gli autobus e i taxi in fila, notereste un bel palazzo ottocentesco, messo lì, all’angolo della strada che porta verso Piazza della Repubblica. Quello è Palazzo Massimo, è una delle sedi del Museo nazionale romano e di una delle più straordinarie collezioni d’arte classica al mondo. Se volete conoscere Roma, il vostro tour deve cominciare da qui.

Teste, teste romane dappertutto. Nei primi piani del Museo nazionale romano, l’evoluzione della scultura si avvicina sempre più ai classici greci, ritraendo imperatori, nobili, principi e principesse di dinastie perdute. Se ne stanno lì, impalate, spesso e volentieri col naso rotto, e ti guardano come se volessero prenderti e trascinarti indietro nel tempo. Il sapiente gioco di luci sulle teste e nelle stanze fa sì che ogni marmo catturi la nostra attenzione e ci parli della sua unicità, i volti non si confondono tra loro ma anzi, ci catturano, lasciandoci immaginare quante ne avranno viste nel corso dei secoli. Più avanti, le teste diventano corpi stupendi, fieri e muscolosi e senza un braccio, o senza volto. Così, ci ritroviamo a osservare estasiati delle meraviglie mutilate, che tuttavia non perdono un briciolo della loro potenza. Volti di anziani imperatori su corpi giovani, a testimoniarne la grandezza, capelli ricci e severi nascosti nei cappucci delle tuniche.

Adesso resettate tutto: a un certo punto vi troverete in una piccola stanza con due statue in bronzo. La prima, il Principe Ellenistico, neanche vi degna di uno sguardo, spavaldamente guarda l’infinito appoggiato alla sua lancia, in nudità eroica. Forse è Attalo II di Pergamo, o forse un romano che ha visto la Grecia, non lo sapremo mai, ma a lui non interessa, è già proiettato nel futuro. Avrete appena il tempo di girare lo sguardo a sinistra che la crudeltà della condizione umana vi arriverà dritta in faccia con un pugno, quello del Pugilatore in riposo, un bronzo che – ve l’assicuro – suda e respira affannosamente. Attribuita al grande scultore Lisippo, questa statua è stata rinvenuta a Roma nel 1885, scavando sotto il Quirinale: immagino la faccia che avrà fatto chi l’ha trovato, quando, dalla terra, ha visto uscire quegli occhi stanchi. Ha girato il mondo per otto anni come una superstar, per poi tornare al Museo nazionale romano: è un uomo tonico e smilzo, uno che nella vita deve averne schivate parecchie. Grandi spalle e pettorali a riposo tra le braccia sfinite, gomiti sulle ginocchia, seduto sulla roccia. Non ce la fa più, guarda di lato e la luce gli illumina le orecchie tumefatte, il volto tagliato, i segni sul corpo. Se lo fissi troppo capisci che non ci sente, la botta è stata dura e le sopracciglia disegnano quella curva di chi non ha capito bene cosa gli stanno dicendo. Nessun campione è mai stato rappresentato così, con le ferite, i Bronzi di Riace sono dei ragazzi fortunati in confronto a lui, ed è per questo che lo amerete, perché è l’uomo medio. Uno che combatte ogni giorno per trovare se stesso, ritratto nel momento di maggiore sconforto, ma state certi che si alzerà e un giorno non lo troveranno più lì.

Se vi scappano le lacrime andate avanti, perché dritti dal Lago di Nemi spuntano fuori i resti delle navi di Nerone: balaustre, prue, enormi facce di leone che hanno sfidato le acque. Sembra di starci, su queste navi, che a quanto pare venivano utilizzate per battaglie simulate sul lago.

Al piano superiore vi aspetta il Discobolo Lancellotti, celebre copia del Discobolo di Mirone, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu sottratto all’Italia per volere di Hitler, che ne fece la sua statua preferita. C’è spazio anche per l’arte funeraria e la magnificenza di alcuni sarcofagi finemente lavorati, come quello di Portonaccio, che raffigura una scena di guerra in altorilievo dove cavalli e cavalieri si intrecciano in una linea continua di sangue e gloria, da togliere il fiato. All’ultimo piano del Museo nazionale romano, è l’ora dei mosaici: ricostruzioni d’intere stanze romane affrescate e pavimentate documentano gli usi della decorazione domestica dell’epoca.

Sottoterra vi aspetta il bunker numismatico, un enorme caveau che custodisce la storia della moneta dai romani a oggi e un curioso reperto, la mummia di Grottarossa, una bambina di 8 anni morta nel II secolo d.C. e perfettamente conservata, esposta all’interno di una teca di vetro a temperatura controllata, per impedirne la decomposizione.

Una volta fuori dal Museo nazionale romano la città non vi sembrerà più la stessa, ne vedrete la storia vera, fatta non di pietra ma di quei volti che vi hanno osservato lì dentro, e che non dimenticherete.

Carolina Attanasio