Marco Rea
15 Giugno 2017   •   Carolina Attanasio

Marco Rea, l’artista che distrugge il superficiale

«Andare oltre quello che vediamo, tuffarsi nell’intimo, Marco Rea libera la fotografia di moda dalla perfezione e ci regala un viaggio onirico nella bellezza»

Devo incontrare Marco Rea (sito internet) alla Galleria Parione9, incastonata nel dedalo di vicoli del centro storico di Roma. Come al solito sono in anticipo, mentre la città dormicchia nel sabato mattina di giugno. Camminando, i turisti assonnati mi sbandano addosso mentre si perdono nei vicoli che intersecano via del Corso, dei romani neanche l’ombra, sono ubriachi dalla sera prima o già sul raccordo, nel timore che qualcuno rubi loro il posto al mare più vicino.

Quando arrivo, me lo trovo subito davanti e guardandolo negli occhi vedo la somiglianza con le foto dei quadri che ho visto in cartella stampa, scuri, profondi, indagatori, curiosi, sono quelli di un artista che va oltre le cose che lo circondano, alla ricerca dell’anima e della diversità oltre la superficie.

Marco Rea è, attualmente, uno dei maggiori esponenti della lowbrow art italiana, quel surrealismo che prende tanto dalla cultura pop, dai colori accentuati, decorativi. Sta avendo successo ben oltre le Alpi (ha esposto a Londra, negli Stati Uniti e a breve anche a Tokyo), ma la sua base operativa continua a essere l’Italia, è un romano de Roma e ama la sua città, con tutte le difficoltà e gli sforzi che questo comporta.

Fare due chiacchiere con lui è una piacevole immersione nel suo mondo, un po’ onirico, oscuro, con sprazzi di colori accesi dove meno te lo aspetti perché, come disse pure Leonard Cohen, «c’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce». Buona visione.

Carolina Attanasio