05 Aprile 2017   •   Redazione

L’Italia “non è un paese per giovani”: partire come unico modo per realizzarsi

«Ecco, ci siamo: ho una laurea! E ora? Questa la domanda che tanti giovani  si fanno una volta finito il percorso di studi scelto. Scarsa è la risposta del mercato del lavoro in Italia. La soluzione? Partire»

“Non è un paese per giovani”: questo il titolo dell’ultimo film di Giovanni Veronesi nelle sale dal 23 Marzo. Le aspettative in merito al film sono state alte fino alla sua uscita: dal nome del regista alla chiave narrativa proposta nel trailer, la pellicola ha tutti i presupposti per essere degna di nota. Dal titolo ci si aspetta un approfondimento sulla situazione lavorativa attualmente vissuta dai giovani in Italia e – parlando da giovane laureata alla ricerca di lavoro – uno spiraglio di positività, magari, un’interpretazione della realtà lavorativa italiana che possa addolcire la pillola tanto amara. Andando al cinema ci si ritrova a sperare nel celebre lieto fine, in un “nonostante tutto ce la farete”, in Italia o all’estero.

I giovani protagonisti del film si trovano a dover scappare dall’Italia, l’amato paese d’origine in cui però non vedono prospettive concrete per il futuro e in cui troppo spesso, come i milioni di giovani che incarnano, possono solo sognare di riuscire: sognare di aprire quel ristorante, di poter avere certezze lavorative, di arrivare a fine mese, di realizzarsi nell’ambito professionale per cui hanno studiato e faticato per anni sui libri universitari. Ed è proprio questo il punto, questa la realtà dipinta in maniera approssimativa da Veronesi: l’Italia non è un paese per giovani. Ci si deve accontentare, si deve ringraziare se ci si vede proposti tirocini di quaranta ore a settimana retribuiti quattrocento euro al mese per sei mesi e in cui la prospettiva di assunzione è quantomeno nebulosa perché, si sa, “nessun lavoro è perfetto” e “più di così non si può pretendere oggi in Italia”.

Non è un paese per giovani è una frase che ci sentiamo ripetere costantemente, con queste o altre parole, il cui succo rimane sempre lo stesso. Quasi come un mantra, da chiunque: dai genitori, che ogni giorno sperano sia quello in cui vedranno i propri figli realizzarsi e poter cominciare a costruirsi un futuro. Dai giornali, che non mancano mai di denunciare la situazione attuale e di far presente quanto i governi, non importa di che colore, non siano in grado di far fronte a questa emergenza. Dalle statistiche Istat, che ogni anno ci forniscono un impietoso confronto con quello precedente e i dati rispetto a ciò che potrebbe accadere l’anno successivo.

I numeri parlano chiaro: la disoccupazione giovanile in Italia si attesta al 40,1%. Secondo le statistiche nel 2016 circa 115.000 connazionali si sono trasferiti all’estero; il dato è in aumento di quasi il 13% rispetto al 2015 e sei volte maggiore rispetto al 2010 (circa 40.000). La stragrande maggioranza delle persone che se ne vanno sono nella fascia dei giovani, tra i 18 e i 34 anni.

Numeri tanto chiari quanto freddi e che non possono ritrarre fedelmente ciò che la pellicola di Veronesi cerca di rappresentare, quello che ogni giovane italiano si trova costretto a fronteggiare: la paura di non farcela, di rimanere fino a quarant’anni a casa coi genitori; la certezza che seguire il suo sogno, qualunque esso sia, potrebbe non dargli mai una retribuzione sufficiente per costruirsi una vita propria; la paura di dover rinunciare ai propri sogni per provare ad accaparrarsi quei lavori che rendono possibile l’indipendenza economica: il famoso posto pubblico a tempo indeterminato, dopo anni di precariato, diventa così il sogno che ogni ragazzo o ragazza non sapeva neanche di avere; la paura dell’ignoto che è poi soltanto quella certezza che lentamente si fa strada dentro ognuno: per avere il futuro desiderato – e non solo quello concesso – bisogna partire.

Lavorare all’estero creandosi una strada che passi per l’Italia solo durante le vacanze diventa la sola via percorribile per non dover rinunciare ai propri sogni. La prospettiva, che per alcuni potrebbe non essere nemmeno tanto male, implica un grandissimo cambiamento e molte rinunce: dalla famiglia al buon cibo, dalle amicizie di sempre alla storia d’amore, i sacrifici da fare per partire possono sembrare talmente gravosi che molti giovani scelgono di reinventarsi continuamente e passare da un lavoro all’altro pur di restare nel proprio paese.

Voler rimanere in Italia è un diritto, rinunciare ai propri sogni – o, in alternativa, a un’adeguata retribuzione – una condizione quasi del tutto necessaria per esercitarlo. Per tutti quelli che scelgono di andare via, invece, le prospettive lavorative sono molto più rosee ma a un caro prezzo: partire soli per crearsi una nuova vita dal nulla. Ognuno di noi fa la propria scelta, ma un giorno sarebbe bello poter impegnarsi per avere il futuro sperato in un’Italia che desse il giusto valore al lavoro e al tempo che si impiega per lavorare.

Ilaria Roncone