Francesco Zizola
20 Giugno 2017   •   Snap Italy

Francesco Zizola: «la fotografia è un linguaggio mondiale»

«“Ogni racconto richiede uno svolgimento grammaticale ma anche uno svolgimento emozionale, per evitare che diventi sterile: questo vale anche in fotografia”. Parole di Francesco Zizola, fotoreporter e artista di fama mondiale.»

Siamo stati di nuovo alla Scuola di Fotografia Romana, per ascoltare la lectio magistralis di un’altra eccellenza della fotografia italiana. Parliamo di Francesco Zizola. Fotoreporter romano, nato nel 1962, laureato in antropologia e artista di fama mondiale. Ha cominciato a occuparsi di fotografia in modo professionistico nel 1981. Le sue foto sono apparse su riviste di tutto il mondo, dal New York Times a El Mundo, passando per tante altre.

Si tratta di scatti crudi e intensi, che raccontano la parte più dura della quotidianità nel mondo. Quella fatta di guerre, malattie, violenza e inquinamento. Le foto di Francesco Zizola (sito ufficiale) non lasciano nulla al caso, sono curate nei minimi dettagli, sono forti e vere. Emozionano e nello stesso tempo lasciano spazio alla riflessione su quelli che sono i problemi della nostra società. Sono sempre fortemente espressive di realtà da cui, spesso e volentieri, ci sentiamo distanti. Francesco Zizola riesce, con i suoi lavori, a farci immedesimare, a trasmetterci quel dolore che i volti dei soggetti delle sue foto lasciano trapelare perfettamente.

Nel 1996 Francesco Zizola è stato vincitore del più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, il World Press Photo of the Year. Il lavoro vincitore è stato quello sulle vittime delle mine antiuomo in Angola, in particolare la foto di una bambina angolana che stringe nelle braccia una bambola. Ha ottenuto altri nove riconoscimenti nell’ambito della stessa competizione ed è stato premiato quattro volte al Picture of the year. Lo scorso anno ha ottenuto il secondo premio nella sezione “Contemporary Issue” del World Press Photo 2016, con una serie intitolata “Sulla stessa barca”. Si tratta di foto scattate nel Canale di Sicilia lo scorso 26 agosto 2015. Mostrano circa 500 migranti provenienti dalla Libia su una barca di legno da pesca che vengono salvati dai medici dell’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere.

Durante l’incontro Francesco Zizola ha trattato tematiche inerenti la sua fotografia, proiettando alcuni suoi lavori, accompagnati da brevi video. Ma si è anche concentrato molto sull’insegnamento.

Se sono qui non è per dirvi quanto sono bravo, ma per cercare di darvi qualcosa che possa aiutarvi concretamente.
Francesco Zizola

In modo particolare ha trattato il rapporto della fotografia con i media, sottolineando come questo abbia influenzato il modo stesso di fare fotografia oggi.

“Prima, quando si pubblicava sulla carta stampata, la fotografia era lì, parlava a tre dimensioni: c’era il soggetto, la sua rappresentazione da parte dell’autore e la lettura del pubblico. Lo scopo era trasmettere qualcosa, magari provocare anche un cambiamento, ma la fotografia era fine a se stessa. Adesso, con i social network, il lettore può reagire, può commentare.”
Francesco Zizola

A tal proposito Francesco Zizola, ha anche affrontato l’argomento delle fake news. È vero che vengono costruite in rete ma è proprio dalla stessa rete che vengono poi smontate. Tutti possono avere delle prove al giorno d’oggi. Tutti possono smascherare una falsità. La rete è una fucina di notizie false, è vero, ma è altrettanto utile per portare a galla la verità.

“Sono l’unico al mondo che dice finalmente all’utilizzo dei cellulari per scattare fotografie.”
Francesco Zizola

Afferma che sicuramente la qualità di una foto scattata con il cellulare è più bassa, ma che nello stesso tempo per la prima volta in questo modo la fotografia viene usata dagli esseri umani per comunicare. Fino a qualche decennio fa è stata esclusivo dominio della classe agiata che la utilizzava per rafforzare il proprio potere. Si trattava di una minoranza. Tuttavia il mondo è grande e in quanto tale necessita di una comunicazione mondiale. Oggi finalmente la fotografia è un linguaggio mondiale. Poi il fatto che ci sia uno scadimento qualitativo nella fotografia attraverso i cellulari, è normale, secondo Francesco Zizola.

“È come parlare di bambini che stanno andando ancora all’asilo; gran parte delle persone non conoscono il linguaggio, non sono cresciuti in una cultura che insegni il significato dell’immagine. Bisogna dargli tempo.”
Francesco Zizola

Da buon antropologo, Francesco Zizola afferma di notare già un’evoluzione da 15 anni a questa parte. Ci sono in giro belle immagini, degne di nota, scattate da persone non professioniste con mezzi altrettanto non professionistici.

Dietro una foto fatta con il telefonino ci può essere la stessa complessità, la stessa professionalità di una foto fatta con la macchinetta. Perché quello che conta non è la macchina fotografica ma il percorso che vi porta a individuare e vedere una determinata immagine, relazionarla con quella realtà e domandarvi perché fare una foto. Insomma creare contenuto, senso.”
Francesco Zizola

Si rivolge poi ai giovani. Li invita a pretendere di più nel capire qual è il meglio da fare nel loro presente e nel loro futuro. E ancora a interrogare i più “anziani” proprio su questo, non sul passato, ma sui nuovi linguaggi.
A questo punto parte un video su uno dei reportage più famosi di Francesco Zizola. Si tratta di quello relativo al naufragio di eritrei nell’ottobre del 2013, primo grande naufragio che fece poi muovere la comunità internazionale. L’obiettivo è stato quello di «costruire una storia su un evento già concluso per cercare di comunicare in modo diverso un tema forte come quello delle tragedie dei naufragi dei migranti, all’epoca neanche soccorsi».

L’audio di questo filmato è molto significativo. Tra le voci, si sente anche una citazione molto pesante dell’allora primo ministro David Cameron, il quale sostiene che sia necessario impedire le operazioni di soccorso in quanto motivo di attrazione di nuovi migranti, «bisogna lasciarli affogare».

A questo punto Francesco Zizola, passa a trattare il tema del suo ultimo progetto, su cui sta lavorando da due anni, ma che durerà circa 10-12 anni e verrà presentato questa volta a pezzi, diviso in quattro capitoli. Il progetto si chiama Hybris, che dall’antico greco vuol dire tracotanza. Per gli antichi greci indicava l’attitudine dell’uomo ad essere arrogante verso gli dei, verso il dominio divino.

“Nel 2017 la hybris è proprio uno dei problemi principali del nostro tempo, cioè il fatto che gli esseri umani non riconoscano i loro stessi limiti e vadano a calpestare un territorio che non è più quello degli dei ma quello della natura, la quale si vendica in maniera precisa, puntuale, veloce.”
Francesco Zizola

Il progetto è stato diviso in quattro elementi: acqua, terra, fuoco, aria. Di ogni elemento si racconta la relazione uomo-natura. Parte dall’acqua, attraverso dei testimoni ancora vivi, vecchi pescatori, testimoni di come il mare, quando gli si fu chiesto di dare sostentamento alle comunità, abbia risposto positivamente per migliaia di anni. Oggi non più. Nel momento in cui si è introdotta la necessità per alcuni di prendere dal mare per guadagnare, per creare profitto, il mare e la natura si sono iniziati a vendicare.

“Il mare sta diventando ormai deserto bagnato”
Francesco Zizola

Arrivati alla fine dell’incontro, Francesco Zizola risponde ad alcune domande. Gli viene chiesto se la sovrapproduzione di fotografie non posso portare ad una totale perdita di significato per l’immagine stessa, in generale. «Dipende cosa chiedi all’immagine – attacca Zizola – se andassimo nella più grande biblioteca del mondo, ci potremmo chiedere se tutti quei libri non siano inutili, non siano semplici oggetti che nessuno legge. Ma anche lì la risposta sarebbe la stessa: dipende da cosa stai cercando. Se i libri ti parlano saranno utili, se invece non stai cercando nulla, i libri saranno degli oggetti vuoti, dei soprammobili da spolverare.»

Risponde poi alla domanda di un giovane ragazzo, relativa al futuro da fotografo e agli stenti che questo lavoro ormai porta con sè. Francesco Zizola si dimostra molto sincero. Ammette che al giorno d’oggi le agenzie (che lui conosce bene possedendone una insieme ad altri soci), non hanno grandi possibilità economica per assumere e stipendiare giovani emergenti. Ma lancia loro qualche consiglio. «Se volete iniziare a fare della vostra passione come narratori per immagini una professione, dovete puntare tantissimo sulle vostre capacità e sulle vostre idee. La cosa che scarseggia di più al mondo sono le buone idee, le buone narrazioni. Iniziare con un progetto individuale e poi cercare di realizzare un progetto collettivo. La possibilità di trovare finanziamenti, dipende da cosa riuscite ad offrire ad un eventuale sponsor.»

L’ultima domanda penso sia la più interessante: perché il fotoreportage tratta soltanto argomento tristi?
La risposta di Francesco Zizola è altrettanto accurata e soddisfacente. Parte sostenendo che il loro mestiere non è quello di semplici fotografi, ma di giornalisti. «Tra la fotografia pura e quella giornalistica c’è una differenza enorme. Un fotografo può fare tutto, può prendersi licenze artistiche; un narratore per immagini no, deve necessariamente essere credibile, non può modificare la realtà creando delle situazioni o manipolando le immagini. La storia che realizza deve essere strettamente legata alla realtà, non può essere una fiction sulla realtà ma una storia che si sviluppi attraverso la realtà stessa.»

Per quanto riguarda la tematica in genere è il fotografo a scegliere. Ma la storia del giornalismo, fin dai tempi dei graffiti nelle grotte, ci mostra come l’uomo voglia informarsi per sapere se lontano dal suo sguardo o dal suo orecchio stia succedendo qualcosa che possa mettere a repentaglio la sua stessa vita: gli uomini vogliono sapere per essere al sicuro.

Chiara Rocca