Da Umberto
31 Marzo 2016   •   Snap Italy

Da Umberto, tradizione italiana nel cuore di New York

«Siamo andati a conoscere Vittorio Assante proprietario del ristorante “Da Umberto”, uno dei migliori ambasciatori della cucina italiana nella Grande Mela»

Gli italiani, nel corso dei secoli, hanno abbandonato la loro patria, costretti dalle precarie condizioni in cui si trovavano o in cerca di fortuna. Questo è avvenuto soprattutto nel periodo che va dalla fine dell’800 agli inizio del ‘900 e ha visto come protagonista, in qualità di paese di approdo, l’America. La migrazione è un fenomeno conosciuto da sempre e che probabilmente non smetterà mai di esistere, essendo strettamente legato all’altrettanto certa vita altalenante del genere umano. Ma gli italiani in America non sono pochi e ciò che probabilmente contraddistingue il nostro popolo, è la capacità di andare altrove portando sempre nel cuore la patria d’origine. Molti sono stati gli italiani che, dopo aver lavorato sodo e dopo essersi sistemati, hanno pensato di portare la cultura del Belpaese nella terra d’approdo, dando così la possibilità a tutti di conoscere la storia italiana. Lo si è fatto in diversi settori, basti pensare al Made in Italy, marchio nato proprio con la volontà di sottolineare la nostra capacità di fare e soprattutto la nostra attenzione alla qualità del prodotto, qualunque esso sia. La cucina è indubbiamente uno dei settori che fa innamorare un qualsiasi straniero del nostro paese.

A tal proposito, durante un viaggio a New York, noi di Snap Italy abbiamo avuto la possibilità di intervistare Vittorio Assante, proprietario del ristorante italiano “Da Umberto”, nel quartiere Chelsea della grande mela, nonché figlio appunto di un toscano emigrato negli Usa in cerca di fortuna.

Siete una famiglia di provenienza italiana, di dove precisamente?
Mio padre, Umberto Assante, da cui prende nome il ristorante, è di Firenze, mentre io sono nato e cresciuto qui a New York. “Da Umberto” è qui dal 1987.

Qual è la storia di suo padre? Perché il trasferimento a New York?
Mio padre è venuto per trovare l’America, come tanti negli anni ’60. È venuto per trovare lavoro, per fare un’esperienza e per vedere il mondo. Ha iniziato a lavorare nei ristoranti italiani a New York, e lo ha fatto per circa 25 anni prima di aprirne uno tutto suo. È rimasto contento di ciò che ha trovato oltreoceano, ma l’Italia rimane la sua prima casa.

Quali ostacoli incontra un italiano nel trasferirsi in un paese nuovo e diverso come gli Stati Uniti?
Non è facile, così come non è stato facile per mio padre. Non era difficile trovare lavoro, come non lo è oggi qui in America, ma ha dovuto lavorare molto, come cameriere, barista. Ha meritato e sudato quello che poi ha costruito. Sono stati necessari impegno, fatica, capacità di trovare la propria strada in un Paese nuovo, prima di realizzare la sua passione, ovvero diventare ristoratore, portando così la sua amata Italia anche oltreoceano.

La cucina italiana è sicuramente indice di qualità e di eccellenza in una città come New York…
A New York c’è un alto livello di cucina e noi sicuramente ne facciamo parte. La nostra è una cucina italiana Doc, utilizziamo le tecniche della nonna, alimenti genuini, prodotti rigorosamente Made in Italy. Inoltre, in un ambiente come quello newyorkese, la cucina italiana è molto richiesta, in quanto cucina per eccellenza, indice di sicura qualità. D’altronde anche gli americani hanno capito che i sapori della cucina italiana sono unici.

Che tipo di clientela frequenta il vostro locale ?
Abbiamo una clientela molto mista. Ci sono clienti fedeli, che vengono qui da 29 anni, da quando abbiamo aperto il ristorante, poi ci sono persone che vivono nel quartiere, altre che lavorano negli uffici di Wall Street, e infine non manca la clientela internazionale. Non posso parlare di un solo tipo di clientela perché davvero abbiamo di tutto e non possiamo certo lamentarci.

La gente riconosce la vera cucina italiana?
Ovviamente ci sono cibi che vanno di moda, di tendenza per un certo periodo, che vanno e vengono, ma la cucina italiana resta. Vent’anni fa non si capiva bene cosa fosse la cucina italiana, anche perché giravano molti prodotti italo-americani, mentre ora la gente sa riconoscere davvero i nostri sapori. Anzi è anche in grado di distinguere la cucina regionale, perciò capisce se sta mangiando toscano, emiliano, campano.

Questa consapevolezza della forte qualità della cucina italiana è innata negli americani o è il risultato di un percorso formativo ?
Diciamo che all’inizio il cambiamento spaventa, quindi era difficile vendere e portare avanti un’attività diversa dal sostrato americano. Ma con il tempo le persone sono stata istruite da noi ristoratori. Abbiamo fatto assaggiare loro prodotti tipicamente italiani mettendoli a confronto con ciò che consumavano abitualmente e hanno constatato la differenza, basti pensare alla mozzarella di bufala ad esempio. Ora quindi riconoscono il cibo italiano e penso che dopo averlo conosciuto, non lo abbandoneranno più.

A suo padre manca la terra natia? E lei, da americano, come la vive?
L’Italia è rimasta nel suo cuore ed è presente anche nel mio e in quello della mia famiglia. Io, come figlio, sono immerso nella cultura italiana e ho fatto in modo che lo fossero anche i miei figli, con i quali almeno una volta l’anno vado in Italia. È la nostra casa, non c’è altro da dire.

Come definirebbe l’Italia in una sola parola?
La definirei “speciale”.

 

 

Chiara Rocca