alberto angela
09 Febbraio 2018   •   Carolina Attanasio

Alberto Angela, fenomenologia di un divulgatore

«La divulgazione è pop? Sì, se a farla è Alberto Angela, che a 55 anni non è più solo il figlio di Piero, ma un fenomeno social da 6 milioni di spettatori»

Se tutti i figli di papà fossero come Alberto Angela (pagina fan ufficiale), allora il mondo dovrebbe essere fatto solo di gente che prende in mano il lavoro del padre e non solo lo fa bene, ma lo porta a un livello che il genitore non avrebbe mai immaginato di toccare, se non altro per la differenza d’età e di mezzi a disposizione. Questa è la storia del figlio di una divinità, e lungi da me sfiorare la blasfemia paragonandolo a Gesù però insomma, nel suo settore di casi del genere se ne contano pochi, nessuno, e sempre più Alberto Angela assume i toni del giovane supereroe spedito dal padre a riaccendere i neuroni di noi poveri ventitrentenni, schiavi dell’internet ma con una certa sensibilità hipster verso le cose belle e brave.

Riavvolgiamo il nastro: Alberto, figlio di Piero (considerato ormai l’oracolo dell’universo, un uomo che sa tutto di tutto, anche prima che il tutto fosse creato, l’essere umano più vicino a Dio dopo il Papa, praticamente) comincia la sua gavetta da figlio del padre un po’ come tutti, cioè col timore reverenziale di non essere all’altezza dell’onniscienza paterna. Lo stesso timore del figlio dell’imprenditore, del macellaio, dell’architetto, con la differenza che suo padre ha voce in capitolo su ogni argomento noto all’uomo, e provateci voi a tenere testa a uno così. Ma Piero mica è scemo, nella sua infinita misericordia spiana la strada al nostro Alberto Angela nel modo più politically correct possibile: quando la vita lo fa approdare in TV al cospetto del padre, Albertone parla già tre lingue, ha una laurea da 110 e Lode in Scienze Naturali, corsi frequentati a Harvard, Columbia, UCLA, con relative specializzazioni in paleontologia e paleoantropologia, più tot anni di ricerca e scavi sul campo nei posti più remoti che mente umana ricordi.

La sua parlantina, accompagnata da una versione in slow motion del noto gesticolare italiano, lo lancia fortuitamente nella Televisione Svizzera Italiana, dove muove i primi passi mentre Piero tiene banco in Italia con Quark (di cui vi è già partita in testa la sigla, lo so, l’Aria sulla quarta corda di Bach, rifatta dagli Swingle Singers). Dopo una gavetta così, sei degno di lavorare con tuo padre, e così avviene l’esplosione cosmica che trasforma Quark in Superquark, di cui Alberto è co-autore. Al contempo, per Viaggio nel Cosmo, mette a segno due-tre tiri che ci fanno capire di che pasta è fatto: è il primo, con la sua troupe, a entrare nella più grande tomba egizia mai scavata, la KV5, si ritrova poi in Antartide a filmare a 30 gradi sotto zero con la stessa nonchalance con cui io faccio il caffè la mattina e, last but not least, realizza un servizio mentre galleggia in assenza di gravità. Standing ovation, subito. Da qui in poi, è una lunga scalata padre-figlio verso una missione impossibile: rendere la divulgazione scientifico-culturale una roba per tutti, spiegando con parole comprensibili anche a un’ameba il perché di questo e di quello.

Se Piero, col passare del tempo, inizia ad avvicinarsi sempre più all’immagine di un Santone immortale, uno che non ha neanche più bisogno di dirle, le cose, perché la sua sola presenza divulga tutto lo scibile, il nostro Alberto Angela si trasforma inesorabilmente in un’icona pop della cultura. Lui non vorrebbe, è timido, ma il capello al vento, il gilet multitasche da esploratore, la voce zen e la calma olimpionica con cui ingoia anche la sabbia nel deserto durante una tempesta, fanno il miracolo: Albertone si trasforma in una rockstar, con un bacino di utenza che non si vedeva dai tempi dei Beatles, che piacevano alle madri così come alle figlie. Secondo me il punto di rottura, che l’ha consacrato alla storia, è stato il momento in cui Neri Marcoré ha iniziato a imitarlo, dissacrando il suo unico difetto, la flemma nella parlata. Detto fatto, superata la prova della satira, è tutto in discesa, il secondo passo verso la santità è il mondo dei social, che tutto crea e parecchi distrugge: qui è la consacrazione, un fiorire di pagine dedicate, come Rimanere a casa il sabato sera per guardare Ulisse con Alberto Angela (qui il link), è tutto un festival dei meme e della sapiosatira (qui credo di aver appena coniato un nuovo termine).

Il fenomeno è inarrestabile, se ne accorge perfino mamma Rai, che con Meraviglie toglie l’ultimo velo di vecchiume, tipico dei suoi programmi di divulgazione: via le brutte grafiche in 3D, largo ai droni, agli ospiti d’eccezione, alle voci fuoricampo di livello, e poi c’è lui, Albertone, che scivola suadente sulle note di The Passengers di Iggy Pop e ti fa così con la mano, per dire «vieni che ti faccio vedere io come si divulga». Il giorno dopo ogni puntata, è tutto un brulicare di articoli osannanti e post deliranti, record di ascolti battuti (ormai si doppia da solo, come faceva Schumacher) e strage di donne innamorate perse.

alberto angela

Tutto questo per dirci cosa? La divulgazione può diventare pop? Da poco ci è riuscita anche la danza classica, vincendo facile con Roberto Bolle, che per meriti evidenti è l’unico che può insidiare i primati d’ascolto di Alberto Angela. Di fatto, qualcosa sta cambiando: dopo anni, decenni di bagaglini e compagnia bella, una buona fetta di audience televisiva sta determinando l’evoluzione che tanti di noi aspettavano. Siamo figli di Netflix, decidiamo cosa vedere e quando, se un programma non ci piace lo cassiamo con un bel pollice verso cliccando sullo schermo, cerchiamo l’ironia e non la risata gratuita, la storia imperfetta e non la favoletta, combattiamo le fake news su internet in nome della verità e della bellezza. Cos’è la bellezza? È l’arte, è la cultura, è la conoscenza. Se il tizio che ce la racconta ha un aspetto piacevole ed è maledettamente bravo nel suo lavoro, ben venga se è un figlio di papà, la sua missione si sta compiendo: renderci più sensibili, aperti, curiosi, rispettosi, grati per la bellezza che abbiamo intorno. Riuscendo finalmente a capirla, siamo disposti a difenderla, in barba ai secoli e alle brutture che la vita ogni giorno ci mette davanti. La bellezza ci salverà, ma anche Alberto Angela non scherza.

Carolina Attanasio